Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-10-2011, n. 20451 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento notificato il 14 dicembre 1998, l’Ufficio Imposte di Pesaro rettificò la dichiarazione IRPEG ed ILOR presentata dalla Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a. per l’anno 1992. La rettifica si basava sui seguenti rilievi: 1) non deducibilità della somma di L. 9.800.000.000 imputata a conto interessi passivi; 2) non deducibilità della somma di L. 1.851.706.093 imputata come costo per l’acquisto di titoli di una società collegata; 3) non deducibilità di una somma di L. 182.187.000 in quanto non di competenza del 1992.

La Commissione tributaria provinciale accolse parzialmente il ricorso della società contribuente annullando i primi due recuperi. La sentenza venne impugnata solamente dal fisco il cui ricorso è stato respinto dalla Commissione tributaria regionale con sentenza n. 97/2/05 depositata il 4 ottobre 2005.

Contro tale pronunzia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso al quale la Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso l’amministrazione finanziaria deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, nonchè vizio di motivazione. 11 motivo, nella parte in cui denunzia violazione di legge, è fondato.

Esso riguarda la prima delle due poste in contestazione, quella rappresentata dalla somma di L. 9.800.000.000 portata in detrazione come interessi passivi. E’ pacifico tra le parti ed è riconosciuto dalla sentenza impugnata che la Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a. non ha mai corrisposto, nè accreditato tale somma nè a titolo di interessi passivi nè ad altro titolo e che la stessa banca non ha mai compiuto operazioni suscettibili di determinare un tal suo debito per interessi. Tale dato di fatto è sufficiente a confermare la legittimità della ripresa a tassazione, secondo l’argomentazione esposta dall’Ufficio: "una volta scoperto che i costi non sono effettivi, cioè non attengono ad operazioni economico finanziarie reali, questi costi non sono deducibili".

La controricorrente sostiene che a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, – secondo cui le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto dei profitti e delle perdite relativo all’esercizio di competenza – l’imputazione al conto economico è l’unico requisito (necessario e sufficiente) per la deducibilità degli elementi negativi del reddito di impresa. La norma non ha il significato che ad essa pare attribuire la controricorrente e comunque non ha il significato di escludere il potere del Fisco di negare la deducibilità di spese accertate come inesistenti, pur se imputate in bilancio al conto delle perdite.

La difesa della società contribuente e la sentenza impugnata ammettendo il carattere fittizio della iscrizione hanno in realtà dato rilievo alla deduzione secondo cui una perdita vi sarebbe stata effettivamente anche se per un titolo diverso (o, per meglio dire, per un fatto diverso) e non risultante dal bilancio. La perdita sarebbe derivata da operazioni in valuta e la banca non le avrebbe riportate in bilancio come tali ma, al fine di mascherare la propria condotta, avrebbe iscritto per pari importo la suddetta voce di interessi passivi.

La deduzione non è rilevante in quanto una "compensazione" di tal specie non è ipotizzabile, e non per motivi di qualificazione o classificazione della perdita, ma per motivi sostanziali. La deducibilità di interessi passivi mai corrisposti e mai maturati deve essere esclusa ex se e non può essere affermata sulla base della deduzione di altre perdite effettivamente subite in conseguenza di altre e diverse operazioni ma non contabilizzate nè in bilancio nè nella dichiarazione. Non si tratta di una questione di qualificazione o classificazione: il carattere fittizio o veridico di ciascuna iscrizione deve essere valutato a sè ed una iscrizione falsa non può essere compensata con la mancata iscrizione di una posta effettiva di segno economico inverso.

Tanto è sufficiente e decisivo, ma vi è anche da rilevare che il controricorso e la sentenza impugnata nulla dicono circa la fonte (i presupposti fattuali) ed il modo di rilevamento della pretesa perdita su cambi e sulla prova della effettività di essa elementi in assenza dei quali la perdita su cambi sarebbe stata comunque indeducibile.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, (nell’illustrazione della censura, l’amministrazione finanziaria richiama anche il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9).

Il motivo è fondato.

Anche in questo caso i dati di fatto della questione, quali enunciati dalla sentenza impugnata, sono sostanzialmente incontroversi. La Banca Popolare dell’Adriatico s.p.a. ha acquistato da una consociata alcuni tìtoli a prezzo superiore a quello di mercato (al presumibile fine di effettuare indirettamente un finanziamento in favore della collegata stessa). E’ cioè pacifico che la spesa iscritta a bilancio era superiore al valore di mercato dei titoli acquistati quale definito dal D.P.R. n. 917, art. 9, e che il sovraprezzo non aveva funzione di corrispettivo ma di finanziamento presumibilmente gratuito. Nessun rilievo ha la circostanza che i titoli acquistati siano stati appostati al valore (fittizio) di acquisto, nè che in tal modo la società cessionaria dei titoli non abbia potuto far valere la minusvalenza collegata alla riduzione di valore dei titoli in questione, nè che la società controricorrente dovrà – potrà prima o poi far valere la minusvalenza corrispondente alla differenza tra il prezzo pagato e il minor valore di mercato (ed anzi tale eventualità conferma ulteriormente l’illegittimità della deduzione del prezzo artificiosamente gonfiato).

La sentenza impugnata ed il controricorso sono incentrati sulla non sindacabilità del prezzo dichiarato dalle parti. La deduzione è infondata: allorquando il prezzo sia in tutto o in parte fittizio come tale trattandosi di una maggiorazione del prezzo non giustificata sul piano della corrispettività è indiscutibile la sua non inerenza e comunque la mancanza di prova in ordine a tale requisito.

Il ricorso deve quindi essere accolto e poichè non sono necessari altri accertamenti la causa può essere decisa nel merito con il rigetto integrale del ricorso opposto all’accertamento n. (OMISSIS) Irpeg-Ilor 1992 notificato il 14 dicembre 1998. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza mentre possono compensarsi per giusti motivi quelle dei gradi di merito.
P.Q.M.

– accoglie il ricorso;

– rigetto il ricorso proposto dalla Banca popolare Adriatico s.p.a. in opposizione all’accertamento n. (OMISSIS) Irpeg – Ilor 1992 ad essa notificato il 14 dicembre 1998;

– condanna la Banca popolare Adriatico s.p.a. alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 20.000, di cui Euro 200 per esborsi oltre 1 spese prenotate a debito;

– compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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