Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-02-2011) 06-06-2011, n. 22295 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 7.4.2009, in parziale riforma della sentenza 10.12.2007 del Tribunale di Torre Annunciata – Sezione distaccata di Sorrento, ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di B.F. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire, un corpo di fabbrica in cemento armato di mt. 11,20 x 7,65 ed una scala in cemento armato – acc. in (OMISSIS));

– al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72;

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato le opere anzidette in assenza della prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico) e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stata ritenuta la continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., determinava la pena complessiva (condizionalmente sospesa) in mesi 4, giorni 15 di arresto ed Euro 15.900,00 di ammenda, confermando gli ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la B., la quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:

– la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell’attività di edificazione abusiva alla sua persona;

– la prescrizione dei reati in epoca anteriore alla pronunzia della decisione di secondo grado.
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. In ordine alla ritenuta responsabilità per l’esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema – condivisa dal Collegio – è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un’area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva. Il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori edili illeciti, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l’esecutore dei lavori abusivi.

Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l’esecutore dell’opera abusiva ed il proprietario; dell’eventuale presenza "in locò" di quest’ultimo durante l’effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull’esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa vedi Cass., Sez. 3:

27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone.

La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell’area interessata dal manufatto, dall’esistenza di un consapevole contributo all’integrazione dell’illecito, ma grava sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale ed altro) Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito – con motivazione adeguata ed immune da vizi logico- giuridici – hanno ricondotto all’imputata l’attività di edificazione illecita in oggetto sui rilievi che ella è proprietaria del fondo su cui è stata realizzata l’opera abusiva, ne ha la disponibilità giuridica e di fatto e non ha prospettato nè dimostrato che la costruzione sia avvenuta con il suo dissenso ovvero a sua insaputa.

2. L’accertamento del reato risale al 5.6.2004, epoca in cui i lavori non erano ancora "ultimati", in quanto: vennero ancora rinvenuti sul posto materiali costruttivi; non erano state inserite sotto traccia le guaine per i cavi elettrici; mancava l’impermeabilizzazione della copertura.

La scadenza del termine ultimo di prescrizione sarebbe coincisa, pertanto, con il 5.12.2008.

Va computata, però, una sospensione del corso della prescrizione per complessivi mesi 9 e giorni 15 dal 12.6.2006 al 27.3.2007 in seguito a rinvii disposti su richiesta del difensore, non per esigenze di acquisizione della prova nè a causa del riconoscimento di termini a difesa (vedi Cass., Sez. Unite, 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese).

Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 20.9.2009.

La inammissibilità del ricorso non consente, però, il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e pertanto non può tenersi conto della prescrizione dei reati scaduta in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).

3. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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