Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-02-2011) 06-06-2011, n. 22290 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

utato nella persona dell’Avv. BARRESI Fulvio.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 16 giugno 2009, la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza emessa in data 12 dicembre 2005 dal Tribunale di Benevento con la quale L.D., imputato del delitto di violenza sessuale aggravata continuata in pregiudizio del nipote L.F. minore degli anni dieci (art. 81 cpv, art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., u.c. e art. 609 quater c.p., commi 1 e 4) e tentata violenza sessuale aggravata in pregiudizio del nipote L. A., minore degli anni dieci (artt. 56 e 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., u.c. e art. 609 quater c.p., comma 1 e u.c.). (Fatti commessi in epoca antecedente e prossima agli inizi del 1998 e sino alla metà del mese di giugno 2002) era stato ritenuto colpevole dei suddetti reati e condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti ed unificati i reati per continuazione, alla pena complessiva di anni sei di reclusione oltre alle pene accessorie di legge ed alle spese. Con la detta sentenza la Corte partenopea rigettava anche l’appello proposto dal P.M. in punto di trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivamente mite.

In risposta alle doglianze difensive contenute nell’atto di appello (consistenti: 1) nella richiesta di assoluzione per entrambi i reati e con qualsivoglia formula; 2) nella richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale; 3) nella concessione in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e nella riduzione, comunque, della pena originariamente inflitta) la Corte territoriale, dopo aver ripercorso sinteticamente l’evolversi delle vicende che avevano dato luogo al processo, analizzava in modo articolato le varie doglianze evidenziando:

a) la completezza dell’attività istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado, le cui prove venivano ritenute dalla Corte medesima convergenti e certe;

b) la piena attendibilità delle dichiarazioni delle due piccole parti offese, nonostante i loro racconti fossero caratterizzati da alcune incertezze e/o contraddizioni, ritenute – diversamente da quanto opinato dalla difesa – marginali o comunque spiegabili ed, in ogni caso, non rilevanti nell’intera economia del racconto;

c) l’adeguatezza della pena in relazione, non solo alla gravità dei fatti ma, soprattutto, alle loro modalità di svolgimento ed al rapporto di stretta parentela intercorrente tra l’autore del reato e le piccole vittime (nipoti ex fratti).

Ricorre avverso la detta sentenza L.D. a mezzo del proprio difensore fiduciario affidando il ricorso a due distinti motivi: 1) violazione della legge processuale ( art. 192 c.p.p.) e omessa, contraddittoria e/o illogica motivazione con riguardo alla valutazione delle prove esistenti in atti ed alle numerose contraddizioni, incompletezze ed incertezze che contrassegnavano le dichiarazioni dei minori parti lese, considerate dalla Corte il nucleo essenziale della prova a carico; 2) violazione della legge penale ( art. 133 c.p.) con riguardo alla illogica motivazione in punto di mancato diverso bilanciamento delle circostanze di opposto segno già concesse in termini di equivalenza ed anche in punto di mancata riduzione della pena senza che fosse stato tenuto conto delle particolari condizioni soggettive (stato di incensuratezza) dell’imputato.

I motivi sono manifestamente infondati: da qui la inammissibilità del ricorso per le considerazioni che seguono.

Premesso che è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova poste a base delle rispettive decisioni, si salda con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8886), va rilevato che, nel caso in esame, le censure rivolte alla Corte in ordine alla ritenuta attendibilità delle piccole vittime sono del tutto prive di fondamento.

Il giudice territoriale, infatti, ha preso in esame le dichiarazioni dei due minori analizzandone anche i punti di dissonanza intrinseca ovvero di incompletezza, fornendo, in proposito, adeguate spiegazioni sia in merito alla pressochè nulla incidenza in termini favorevoli per l’imputato, sia in merito alle stesse ragioni che avevano potuto determinare alcune imprecisioni o amnesie mnemoniche sull’epoca dei fatti, o sui luoghi o sulle modalità e ciò attribuendo sia alla tenera età dei bambini abusati (rispettivamente quattro e otto anni), sia al consistente intervallo temporale intercorso tra le date degli abusi e la data di assunzione delle testimonianze in sede di incidente probatorio.

Le dichiarazioni dei piccoli abusati sono state giudicate dalla Corte, in modo logico e contestualizzato rispetto agli avvenimenti da loro raccontati, particolarmente attendibili in quanto costanti, dettagliate e soprattutto spontanee e non caratterizzate da rancore.

Così come la Corte, mostrando particolare interesse per una specifica doglianza difensiva riferita ad un possibile intento calunniatorio che avrebbe indotto i minori (e, di riflesso, il loro genitore naturale L.G., fratello dell’imputato) e la matrigna ( G.G. convivente del L. e che aveva tenuto in casa propria i due bambini – formalmente affidati alla nonna paterna dopo la separazione dei due genitori naturali – prestando loro tutte le cure ed attenzioni affettive proprie di una madre naturale), si è data carico di analizzare in termini estremamente accurati quegli eventuali elementi condizionanti di tenore negativo che avrebbero potuto, secondo l’opinione difensiva, influire sulla genuinità delle accuse, escludendoli in termini logici quanto puntuali.

Anche con riguardo alle testimonianze che – secondo la difesa del ricorrente – la Corte avrebbe trascurato in quanto non ritenute favorevoli all’imputato, il giudice territoriale ha offerto una spiegazione esauriente del perchè le dichiarazioni di tali testi non acquisissero quell’importanza ai fini difensivi attribuitale dall’imputato, ribadendo quel convincimento in ordine alla inclinazione dei due testi (si trattava della sorella e di un nipote dell’imputato) a favorire il loro congiunto – l’imputato) e spiegando in modo convincente le ragioni di tale conclusione, individuata nella totale inverosimiglianza della versione del rifiuto opposto da L.G. ad una richiesta di prestito di somme di denaro avanzata dal fratello D..

In modo altrettanto logico è stata esclusa la rilevanza di una mancata percezione da parte di tali testi degli abusi cui i bambini erano sottoposti dal loro zio (vds. pag. 13 della sentenza impugnata), evidenziandosi come anche ragioni di carattere temporale (convivenza di tali parenti con l’imputato e le sue "vittime") circoscritta fino al 1998 (epoca iniziale degli abusi protrattisi fino al giugno del 2002), rendessero del tutto improponibile tale versione.

Anche le incongruenze – giudicate a ragione, dalla Corte, apparenti – rinvenibili nel racconto del piccolo F. rispetto alle conclusioni della consulenza medico-legale eseguita sul detto minore relativamente alla localizzazione corporea dei riferiti abusi ed alle loro modalità, sono state analizzate scrupolosamente dal giudice territoriale che, sul punto, ha fornito risposte assolutamente appaganti non solo sul piano logico ma anche su un piano strettamente medico. Conseguentemente, appaiono manifestamente infondate le censure rivolte ad una erronea applicazione della legge processuale penale ( art. 192 c.p.p.), avendo la Corte fatto un uso corretto dei criteri di valutazione della prova dichiarativa, sia sottoponendo ad una rigorosa analisi le dichiarazioni delle persone offese, vero nucleo centrale del tessuto probatorio, sia estendendo il proprio giudizio ad elementi esterni ad esse con risultati ancor più confortanti. E – a dimostrazione della manifesta infondatezza delle censure contenute nel ricorso – non può non sottolinearsi come le stesse altro non siano che mera riproposizione di doglianze già sollevate con l’atto di appello ed esaurientemente esaminate dalla Corte che ha dato risposte complete e immuni da vizi di natura logica.

Ancor più troncante il giudizio di manifesta infondatezza afferente al secondo motivo di ricorso (trattamento sanzionatorio), avendo la Corte affrontato funditus il problema della pena da applicare, soprattutto ove si consideri che quella originaria (giudicata adeguata al fatto attraverso un bilanciamento delle circostanze attenuanti con le aggravanti che ha tenuto conto dello stato di incensuratezza dell’imputato e soprattutto in relazione al livello sostanzialmente prossimo al minimo edittale) era stata rimessa in gioco dall’appello del Pubblico Ministero che la Corte ha ritenuto infondato "per eccesso".

Se a tali notazione si aggiunge la considerazione della sostanziale genericità del motivo, incentrantesi sostanzialmente su quella situazione di incensuratezza presa doverosamente in considerazione dalla Corte e che, per incidens, non può valere come criterio generale assoluto per una irrogazione della pena nel suo minimo edittale, ben si comprende la ragione della manifesta infondatezza del motivo.

Segue alla pronuncia di inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e all’ulteriore pagamento della somma – determinata in via equitativa – di Euro 1.000,00 da versarsi alla Cassa delle Ammende trovandosi il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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