Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-02-2011) 06-06-2011, n. 22307 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 7 maggio 2010 il Tribunale di Salerno – Sezione per il Riesame – pronunciandosi sulla istanza di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP del Tribunale di Nocera Inferiore in data 8 aprile 2010 emesso nei confronti di C. V. indagata per i reati di concorso in abuso di ufficio ( artt. 110 e 323 c.p.) e concorso in lottizzazione abusiva (art. 110 e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c, commesso in territorio del Comune di Pagani, confermava il detto provvedimento cautelare.

Il Tribunale rigettava la richiesta di riesame desumendo la sussistenza del fumus criminis sulla base della avvenuta realizzazione di insediamenti produttivi assentiti dal Comune di Pagani nonostante l’intervenuta scadenza del piano attuativo PIP e nonostante l’inidoneità delle opere di urbanizzazione a sopportare il relativo carico urbanistico determinato dalla realizzazione di 23 insediamenti industriali (tra i quali quello di pertinenza dell’indagata). Rilevava anche il fumus commisti delicti con riguardo all’ipotizzato reato di cui all’art. 323 c.p. essendo stato il relativo permesso di costruire rilasciato in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 2.

Quanto al periculum in mora, esso veniva desunto – per quanto riguardava i complessi industriali non ancora realizzati o in corso di realizzazione – dal concreto pericolo che la loro eventuale realizzazione (o ultimazione) avrebbe contribuito a rendere ancor più intollerabile il carico urbanistico della zona parzialmente inurbanizzata e in ogni caso prevedibilmente insuscettibile di ulteriore urbanizzazione nel triennio; rilevava, poi, con riferimento ai complessi industriali già realizzati, la sussistenza di identico pericolo giustificato dalla necessità di impedire che i proprietari dei complessi versanti in colpa concorrente con i funzionali del Comune nel reato di lottizzazione abusiva, attesa la loro consapevolezza della non completa ed esaustiva urbanizzazione della zona, potessero vendere a terzi i complessi così impedendo la possibilità di confisca beni nei confronti di terzi acquirenti di buona fede.

Propone ricorso a mezzo dei propri difensori C.V., deducendo, dopo una premessa riguardante la ricostruzione storica delle vicende riguardanti la nascita del piano PIP, violazione di legge per avere il Tribunale qualificato come cd. "zona bianca" (prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9) una zona che – una volta venuta meno per decorso del termine decennale, la vigenza del piano PIP – aveva ripreso la sua originaria destinazione di zona D1 a insediamento industriale (come affermato dallo stesso consulente tecnico del P.M.) con conseguente legittimità della realizzazione di insediamenti urbanistici. Evidenziava al riguardo che il Tribunale, in modo del tutto irragionevole ha ritenuto che fosse applicabile il regime previsto per le cd. "zone bianche" a quello previsto per le zone industriali D1.

Deduce, ancora, violazione di legge e difetto di motivazione per avere il Tribunale ritenuto non conforme a legge il permesso di costruire e la successiva variante.

Deduce ulteriore violazione di legge e difetto assoluto di motivazione, oltre che travisamento di fatto per avere il Tribunale erroneamente ritenuto che nella specie esistesse il fumus del reato di lottizzazione abusiva in violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9 e/o dell’art. 12, medesimo D.P.R., evidenziando che, una volta recuperata la destinazione industriale mai venuta meno per effetto della scadenza di validità del piano ed in coerenza con quanto previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 2, ben avrebbe potuto il proprietario dell’area oggetto di insediamento produttivo essere onerato della realizzazione di opere di urbanizzazione in realtà in parte eseguite ed in parte già esistenti nel pieno rispetto del menzionato art 12, lamentando mancata valutazione di tale circostanza da parte del Tribunale ed omessa motivazione sul punto.

Deduce, in ultimo, vizio di motivazione sul punto relativo alla presunta inesistenza del parere dei VV.FF. (irrilevante per il rilascio del permesso, ma di fatto esistente) e in merito all’asserito mancato inizio dei lavori, nonostante le allegazioni difensive dimostrative del contrario. Il ricorso è infondato.

E’ anzitutto da disattendere il rilievo preliminare mosso dalla difesa della ricorrente per omessa o illogica motivazione sul punto relativo alla sussistenza del fumus compissi delicti. Contrariamente all’assunto difensivo, infatti, il Tribunale ha, anzitutto ripercorso in linea di fatto le vicende storiche che avevano caratterizzato, nel tempo, l’intero procedimento amministrativo volto a dare attuazione al piano degli insediamenti produttivi: operazione, questa assolutamente necessaria per comprendere quale fosse il connotato di illegittimità della attività lottizzatoria ed edificatoria, desunta proprio da una mutata situazione del quadro urbanistico complessivo in funzione anche dell’approvazione di nuovi piani di attuazione sostitutivi del precedente – risalente all’anno 2000 – interrotto forzosamente dal Comune di Pagani a causa delle numerosissime controversie insorte con i vari proprietari destinatari degli atti di espropriazione. La mutata situazione urbanistica della zona comportava, come condivisibilmente affermato dal Tribunale sulla base sia della documentazione amministrativa acquisita che della consulenza tecnica disposta nell’ambito del procedimento penale, una modifica in aumento dei carichi urbanistici nella zona pur sempre a vocazione industriale, correlata alla necessità della effettuazione di ulteriori opere di urbanizzazione primaria in aggiunta a quelle altre previste nel piano e non ancora realizzate, a loro volta realizzate in parte minima proprio a causa dell’impossibilità di attivare la procedura espropriativi.

Sicchè il Tribunale ha correttamente tratto il convincimento di una sostanziale insufficienza delle opere di urbanizzazione primaria a sopportare il (maggior) carico urbanistico conseguente alla realizzazione dei nuovi insediamenti produttivi oggetto dei provvedimenti concessori rilasciati dal Comune, per tale ragione contra legem.

Non solo la motivazione offerta dal Tribunale appare sotto tale peculiare aspetto esaustiva e coerente con i dati fattuali e con quelli normativi, ma soprattutto appare rispettosa del principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (pur esso puntualmente richiamato nell’ordinanza impugnata – v. pag. 5) in virtù del quale nel caso di adozione di misure cautelari reali, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve esser limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, ed a maggior ragione delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo giustificata la condotta dell’indagato; circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice del merito (Cass. Sez. 3A 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218).

Con precipuo riferimento alla materia urbanistica ed ai correlati provvedimenti cautelari di natura reale oggetto di istanza di riesame o appello è ben possibile che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del sequestro preventivo proceda ad una valutazione di tipo incidentale avente per oggetto una concessione edilizia illegittima: ma, anche in questo caso, l’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti è limitato alla verifica della configurabilità astratta dell’illecito penale in rapporto al fatto contestato desumibile dalla imputazione, senza che sia necessario compiere alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’accusa ed alla probabilità di una pronunzia sfavorevole per l’indagato (Cass. Sez 6A 17.2.2003 n. 23255 Marrone ed altri, Rv.

225674).

Naturalmente tale opera di verifica non potrà essere disancorata dall’esame delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice, quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2A 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197; Cass. Sez. 3A 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134).

Ovviamente, poichè è compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza del fumus commissi delicti (in questo senso Cass. Sez. 4A 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Cass. Sez. 3A 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).

Corollario di tale proposizione è che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potrà (rectius dovrà) essere revocato.

E’ certo che con riferimento al caso di specie le allegazioni difensive prodotte dalla ricorrente in sede di riesame, seppure degne di attenzione nella fase propria del giudizio di merito, sono (ed erano in sede di riesame) inidonee a superare le contrarie argomentazioni del Tribunale in quanto da esse non emergeva affatto l’insussistenza ictu oculi del fumus criminis, ma soltanto elementi di perplessità inidonei a formare oggetto di un giudizio di riesame:

ciò senza dire che l’indagine del Tribunale ha comunque specificamente preso in esame le obiezioni difensive e la documentazione di corredo, correttamente disattendendole alla stregua di elementi documentali di indubbio ed oggettivo significato, contrario alla tesi difensiva.

In questo senso deve allora escludersi rilievo alla tesi difensiva secondo la quale il Tribunale avrebbe immotivamente argomentato sulla sussistenza del fumus basandosi su una interpretazione (ritenuta dalla difesa errata, dei contenuti del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 9.

Corretta appare anche la soluzione offerta dal Tribunale in merito alla astratta violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 2 (che la difesa ha contestato, senza tuttavia addurre specifici elementi tali da condurre ad una conclusione diversa per come ha esaurientemente argomentato il Tribunale), in quanto l’esistenza – da intendersi come sufficienza ed idoneità come più volte affermato nella ordinanza impugnata – delle opere di urbanizzazione primaria o la previsione di una loro fattibilità nel triennio sono state considerate quali indefettibile presupposto per la configurabilità astratta del reato ipotizzato dall’Accusa).

Le considerazioni svolte in punto di astratta configurabilità dei reati e di non manifesta infondatezza dell’ipotesi accusatoria assorbono quindi le doglianze difensive proposte con l’odierno ricorso, anche con riferimento alla supposta – ma del tutto indimostrata – liceità del permesso di costruire che il Tribunale ha, invece, coerentemente con i dati relativi all’assetto urbanistico, ritenuto illegittimamente rilasciata.

Quanto alla mancata valutazione del grado di urbanizzazione dell’area tale da rendere superflua l’adozione di strumenti attuativi si tratta di una quaestio facti che correttamente andrà esaminata nella fase di merito, e non in sede di riesame come preteso dalla ricorrente.

Per quanto poi riguarda i residui rilievi mossi con riguardo alla omessa valutazione da parte del Tribunale della documentazione comprovante secondo la difesa della ricorrente l’esistenza (asseritamente negata dal Tribunale) del parere dei vigili del Fuoco e la tempestività della comunicazione di inizio dei lavori, si tratta ed evidenza di questioni del tutto superale a fronte della ritenuta violazione della normativa urbanistica di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).

Ed infine, con riferimento alla censura relativa alla omessa motivazione da parte del Tribunale della configurabilità astratta del reato di cui all’art. 323 c.p.p., va specificato che il decreto di sequestro preventivo oggetto di riesame attiene al solo reato di cui all’art. 110 c.p. e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (reato commesso in (OMISSIS)), senza che sia dato leggera alcun cenno o riferimento al delitto di abuso di ufficio che, quanto meno ai fini della misura cautelare reale, non è stato tenuto in considerazione. Ciò è tanto vero che il richiamo testuale fatto dal Tribunale di Salerno si riferisce al capo n. 32 del decreto di sequestro contemplante la sola contravvenzione alla legge urbanistica: ne deriva che nessuno specifico obbligo di motivazione aveva il Tribunale, entrando in gioco ai fini del giudizio sulla revoca, o meno del sequestro preventivo, solo la violazione alla disciplina urbanistica e non altro.

Il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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