Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 07-06-2011, n. 22768 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di consegna di M.V.E., inoltrata dalle autorità giudiziarie rumene con mandato di arresto Europeo, per l’esecuzione della pena di anni quattro di reclusione per i reati di frode e falso, commessi nel 2007. 2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore del M., chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– (primo motivo) la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 7, in quanto il mandato di arresto Europeo risulterebbe non tradotto in lingua italiana in alcune pagine (segnatamente le nn. 10, 11 e 12) e la conseguente nullità non potrebbe ritenersi sanata dalla traduzione effettuata da un interprete all’udienza del 29 marzo 2011;

– (secondo motivo) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), per aver ritenuto valido il mandato di arresto Europeo, ancorchè non compiutamente tradotto in lingua italiana, così adottando un’interpretazione che di fatto verrebbe ad abrogare il precetto dell’art. 6, comma 7 cit., che prevede l’obbligo dello Stato di emissione di trasmettere il mandato in lingua italiana;

– (terzo motivo) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione sollevata dalla difesa in ordine alla violazione dell’art. 6, comma 7 cit., limitandosi soltanto a rilevare che nessuna norma impediva di integrare la traduzione incompleta attraverso la nomina da parte dell’autorità giudiziaria italiana di un interprete;

– (quarto e quinto motivo) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), e la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 3, essendo la motivazione della sentenza impugnata basata su elementi di fatto del tutto inesistenti. In particolare, la Corte di appello, a fronte della mancata trasmissione della sentenza di condanna emessa dalle autorità giudiziarie rumene, avrebbe ritenuto sufficiente la descrizione, contenuta nel mandato di arresto Europeo, degli elementi richiesti dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. e). Tuttavia, nel mandato di arresto Europeo, mancherebbe la descrizione della condotta (anche sotto l’aspetto del luogo di consumazione e del grado di partecipazione), riguardante specificamente il consegnando nei reati di truffa e falso attribuiti al correo S.M.I.;

– (sesto motivo) la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 2, e art. 16, non avendo il giudice di merito supplito alle suddette carenze del mandato di arresto Europeo con il previsto potere di acquisizione integrativa;

– (settimo motivo) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la motivazione risulterebbe carente ed illogica in relazione alle dedotte carenze della documentazione inviata dalle autorità rumene;

– (ottavo motivo) la violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. g), non risultando dalla documentazione trasmessa se il consegnando abbia subito un equo processo, condotto nel rispetto dei diritti minimi previsti dall’art. 6 della Cedu e, per tale motivo, la Corte di appello avrebbe dovuto decidere chiedendo previamente le necessari informazioni;

– (nono motivo) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, in quanto la Corte di appello avrebbe affermato apoditticamente la sussistenza di tutti i presupposti di legge per l’accoglimento della richiesta, pur risultando mancanti nella documentazione inviata i necessari ed indispensabili elementi per farsi luogo alla richiesta consegna.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Quanto ai primi tre motivi di ricorso, va ribadito che la statuizione contenuta nella decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, circa l’obbligo di traduzione del mandato di arresto Europeo nella lingua ufficiale dello Stato membro di esecuzione – al pari della previgente disposizione di cui all’art. 23 della Convenzione Europea di estradizione – pone a carico dello Stato istante un onere allo scopo di assicurare la funzionalità ed il celere svolgimento della procedura di consegna, ma non determina di per sè la invalidità del mandato di arresto Europeo e della relativa procedura.

Sul piano interno, la L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 7, nel fare propria la citata disposizione della decisione quadro, non prevede infatti specifiche sanzioni nel caso in cui il mandato sia pervenuto non tradotto nella lingua italiana.

Pertanto, se il mancato assolvimento di tale onere giustifica la richiesta di adempimento da parte dello Stato di emissione e può determinare – in caso di totale e persistente assenza della collaborazione sollecitata – l’emissione di una pronuncia che dichiara l’inesistenza delle condizioni per procedere alla consegna, dati i brevi termini d’esecuzione del mandato d’arresto Europeo, ciò non significa che l’autorità giudiziaria italiana sia priva del potere di ricorrere all’ausilio di un interprete (nelle forme previste dal nostro ordinamento) per colmare eventuali omissioni o lacune della traduzione o per ottenere integrazioni e chiarimenti ritenuti utili ai fini della decisione da adottare.

Di talchè il motivato e corretto esercizio di tale potere da parte del giudice non determina la dedotta violazione della legge processuale. Nè a maggior ragione può ritenersi viziata la motivazione della sentenza impugnata che si è conformata al predetto principio.

Tale approccio è tra l’altro in linea con le Raccomandazioni adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel giugno 2010, all’esito del quarto ciclo di valutazioni reciproche condotte (cfr. Doc. Consiglio 8302/4/09 COPEN 68), con le quali il Consiglio ha incoraggiato gli Stati membri a prendere in esame, qualora non l’abbiano ancora fatto, l’adozione di un "approccio flessibile" ai requisiti linguistici, sulla base dell’art. 8, paragrafo 2 della decisione quadro, che consenta di accettare i MAE e le informazioni supplementari in lingue diverse dalla o dalle lingue ufficiali degli Stati membri.

4. Manifestamente infondati sono anche il quarto, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso.

Deve essere ancora una volta affermato il principio che considera legittima la decisione di consegna in relazione ad un mandato di arresto Europeo esecutivo al quale non sia stata allegata o acquisita in via integrativa la sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta, quando la documentazione in atti contenga tutti gli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per l’adozione della decisione (tra le tante, Sez. 6, n. 15223 del 03/04/2009, dep. 08/04/2009, Burlacu, Rv. 243081).

Le lacune dedotte dal ricorrente sono da ritenersi nella specie insussistenti.

Il fatto attribuito al consegnando è compiutamente descritto, così da consentire lo svolgimento da parte del giudice italiano del previsto controllo.

La descrizione del fatto è infatti funzionale alla verifica dell’insussistenza di cause ostative alla consegna (segnatamente il difetto della cosiddetta doppia incriminabilità, laddove richiesta, il bis in idem, la giurisdizione concorrente dello Stato italiano, la litispendenza, la natura politica del reato, ecc.), ma non certo, nella prospettiva del ricorrente, per stabilire la colpevolezza del consegnando, soprattutto quando si tratti, come nel caso in esame, di un m.a.e. esecutivo.

Nel mandato di arresto Europeo trasmesso dalle autorità rumene è contenuta la descrizione delle circostanze del fatto, comprensiva della data, del luogo e del grado di partecipazione del ricercato.

In esso si precisa infatti che lo M. è stato condannato, perchè ritenuto responsabile a titolo di concorso delle frodi bancarie e dei falsi perpetrati dallo S.M.I..

Quest’ultimo reclutava soggetti bisognosi economicamente, in particolare disoccupati, per ottenere crediti dalle banche (segnatamente dalla Banca Commerciale Romena – filiale di Hunedoara – e dalla BRD Group Società Generale – succursale di Deva), falsificando le loro attestazioni di reddito, i libretti di lavoro e talvolta i cedolini degli stipendi, e istruendoli sul come dovevano presentarsi e rispondere al funzionario bancario. Tra le persone reclutate vi era anche il M., che aveva stipulato due contratti di credito rispettivamente il 13 ed il 6 marzo 2007 con le citate banche BRD di Hunedoara e BCR di Deva, ritirando le somme di 18.000 e 25.000 lei. Le indagini peritali condotte nel processo avevano stabilito che la documentazione utilizzata dal predetto per ottenere i crediti era stata falsificata dallo S.M.I..

5. Miglior sorte non va assegnata all’ottavo e al nono motivo di ricorso.

Le autorità rumene hanno evidenziato nel m.a.e. che la sentenza di condanna emessa nei confronti del M., in quanto pronunciata in absentia di quest’ultimo, è soggetta alla garanzia della rinnovazione del giudizio, ad istanza del condannato, prevista dall’art. 522 c.p.p..

Tale garanzia offerta dall’ordinamento dello Stato di emissione, che soddisfa quanto stabilito dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 19, comma 1, lett. a), è diretta a sanare – in conformità con la giurisprudenza della Corte Europea per i diritti dell’uomo (tra le tante, Corte edu, sent. del 10 novembre 2004, Sejdovic, 55) – ogni eventuale violazione dei diritti minimi della difesa garantiti dalla Cedu realizzatasi nel procedimento svoltosi in Romania.

Ragion per cui diviene irrilevante accertare nella procedura di consegna se ci siano state violazioni dei diritti della difesa del M. nel corso del procedimento penale celebrato in sua absentia.

6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000. La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *