Cass. pen., sez. Feriali 15-09-2008 (11-09-2008), n. 35288 Mandato di arresto europeo – Consegna per l’estero – Contenuto del mandato di arresto – Omissioni Questione di giurisdizione – Onere di allegazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con sentenza 2 9 luglio 2007 la Corte di appello di Torino dichiarava l’esistenza delle condizioni necessarie per l’accoglimento della richiesta di consegna di F.F.C., raggiunta dal mandato di arresto europeo emesso il 14 maggio 2008 dalla Pretura di Monaco, in quanto nei suo confronti era stato spedito mandato di cattura dall’Amtsgericht della stessa città per concorso in una serie di truffe commesse in danno di operatori economici ai quali era stato fatto credere che era possibile ottenere grossi finanziamenti che sarebbero confluiti su conti aperti presso la Banque Prive Paribas o la BNP Paribas di Monaco, finanziamenti mai erogati, nonostante cospicue somme di danaro fossero state depositate nei conti appositamente aperti per conseguire le erogazioni promesse dagli imputati, somme che venivano da costoro sottratte, raggirando gli interessati con l’esibizione di falsi estratti conto.
La consegna della F. veniva subordinata alla condizione che l’interessata, "dopo essere stata ascoltata", fosse "rinviata nello Stato italiano per scontare la pena o la misura di sicurezza eventualmente pronunciate nei suo confronti nello Stato di emissione".
Descritti i singoli contegni truffaldini, la Corte contestava l’esistenza della causa ostativa alla consegna indicata dalla ricorrente, l’essersi, cioè, una parte della condotta compiuta in Italia: sia perchè la diminuzione patrimoniale ed il correlativo ingiusto profitto risultano realizzati in Monaco sia perchè la circostanza che la falsificazione degli estratti conto sarebbe stata posta in essere dalla F. in territorio italiano – oltre che soltanto affermata e, quindi, assolutamente non dimostrata – era del tutto irrilevante in quanto improduttiva di effetti in mancanza dell’utilizzazione dei documenti falsificati, in territorio italiano;
soltanto in Germania, infatti, gli estratti conto erano stati impiegati proprio al fine di tacitare i clienti indotti dalla falsa rappresentazione dell’erogazione dei finanziamenti ad effettuare le rimesse sui conti. A tale stregua, priva di ogni rilievo sarebbe la valutazione delle dichiarazioni di C.P. che aveva chiamato in causa la F., nonchè l’acquisizione della documentazione dalla stessa richiesta. 2. Ricorre per Cassazione la F. articolando una variegata serie di motivi che possono così sintetizzarsi:
a) Violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 10, comma 4, per essere stata la camera di consiglio per la trattazione della consegna fissata in calce all’ordinanza di audizione dell’arrestata, "con conseguente nullità di tutti gli atti prodromici e successivi alla sentenza nonchè della stessa decisione". b) Violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 6, comma 1, lett. e, e comma 5, per la mancata indicazione del tempus e del locus commissi delicti e del grado di partecipazione al fatto della F.;
c) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione e violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, lettera p, perchè parte della condotta, più in particolare, la falsificazione della documentazione occorrente per predisporre gli artifici e i raggiri ai danni degli operatori economici, risulta – anche alla stregua delle dichiarazioni del correo C.P. – commessa in Italia. c) Gli ulteriori motivi si incentrano sulla parziale trasmissione del mandato di arresto europeo e sulla conseguente nullità di esso, sulla perdita di efficacia del provvedimento e sulla caducazione della misura irrimediabilmente derivante; le altre censure addebitano ora al provvedimento di base ora alla stessa decisione (per la parte relativa alla mancata acquisizione delle dichiarazioni del C.) difetto di motivazione.
Il ricorso è infondato.
3.1. Manifestamente pretestuoso è da qualificare il primo motivo, annoverabile nel catalogo delle cause di inammissibilità di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3.
Risulta, infatti, dall’ordinanza che avrebbe determinato la nullità del giudizio sulla consegna, l’indicazione della data dell’udienza e che l’ordinanza stessa venne letta "alla presenza delle parti come da verbale". 3.2. La prima parte del secondo motivo è anch’essa manifestamente priva di ogni fondamento, per essere stati puntualmente indicati – come si ricava dal mandato di arresto europeo e dalla documentazione ad esso allegata – tutti gli elementi richiesti dalla L. n. 69 del 2006, art. 4, nel suo complessivo contesto, risultando pacifico, anche alla stregua del diffuso e circostanziato provvedimento di base, che i fatti sono stati commessi a Monaco a partire dall’anno 2000, mentre è stato rigorosamente descritto – come si avrà occasione di precisare fra poco – il contributo volontario (e causale) addebitabile alla F..
3.3. La seconda parte di tale censura, più volte reiterata nel ricorso – che nell’oscillare degli addebiti ora al provvedimento di consegna ora all’efficacia della misura cautelare, appare talora di non agevole comprensione – oltre ad essere non di rado sprovvista del necessario requisito della specificità (non si comprende il rilievo processuale delle dichiarazioni del C. ai fini di stabilire il locus commissi delicti considerando le valutazioni risultanti dalla nota 11 luglio 2008 del Leitende Oberstaatsanwalt Munchen che ha preciso riferimento alla sentenza pronunciata a carico del C. ed a quanto da costui dichiarato all’Autorità giudiziaria Tedesca), è anche priva di fondamento.
La Corte territoriale ha, infatti, escluso, da un lato, in presenza del contesto dichiarativo e documentale risultante dal mandato di arresto europeo e dalla documentazione allegata, il rilievo dell’attività che sarebbe stata compiuta in Italia, precisando che, in effetti – pure a prescindere dalla configurabilità di fattispecie di tipo diverso, qui, peraltro, neppure considerate (e comunque irrilevanti) – l’eventuale ideazione della truffa non poteva assumere rilevanza giuridica (neppure) come attività meramente preparatoria.
Senza contare che, sempre a quel che risulta dalla relazione del Leitende Oberstaatsanwalt, manca ogni traccia di condotte penalmente significativi ai fini del procedimento ora al vaglio della Corte poste in essere in territorio italiano. In più, dallo stesso mandato di arresto emerge che alla F. era stato assegnato il compito di fingere di "gestire i contatti con la banca e di poter provvedere all’apertura del conto" nonchè di procurare "gli estratti conto che in realtà erano falsificati" (v. anche il provvedimento di base ove è contenuta un’ articolata descrizione dell’attività truffaldina posta in essere dal "comitato di affari" di cui faceva parte la F.).
Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminoso. Connotazione che tuttavia non può essere riconosciuta ad un generico proposito, privo di concretezza e specificità, di commettere all’estero fatti delittuosi, poi lì integralmente realizzati, sotto il profilo soggettivo e oggettivo (cfr., ex plurimis, Sez. 6, 7 gennaio 2008, Lichtenberger).
Quel che più rileva, dunque, ai fini di ribadire l’infondatezza dell’eccezione, è che la ricorrente si è limitata a proporre una questione di giurisdizione senza allegare alcun elemento dimostrativo del compimento in Italia di un segmento dell’attività criminosa; un’ allegazione, quella adesso ricordata, di particolare rigore, perchè a mezzo di essa rispetto a fatti caratterizzati tutti da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento italiano – è, a sua volta, possibile individuare un elemento di estraneità rispetto all’oggetto della procedura il cui esito viene così neutralizzato; secondo un modello ricavabile, a contrario, dall’art. 6 c.p.p., comma 2; in sintesi, la presenza di un contributo causale di quella parte dell’azione la cui collocazione nello spazio va, pertanto – di fronte ad allegazioni che ne comprovano l’assenza – dimostrata.
3.4. L’ulteriore motivo da vita, poi, ad una arbitraria sovrapposizione delle esigenze cautelari alla tematica della giurisdizione; si richiamano, ancora una volta, le dichiarazioni del C. che avrebbero determinato l’adozione della misura cautelare e, subito dopo, del mandato di arresto europeo. Anche sotto il profilo della verifica dei gravi indizi di colpevolezza, poi, l’acquisizione delle dichiarazioni del C. è stata ritenuta priva di rilevanza essendo apparso sufficiente – attesi i limiti della cognizione demandata al giudice della consegna – quanto rigorosamente esposto sia nel mandato di arresto sia nel provvedimento di base. Occorre, in proposito rammentare che, in tema di mandato di arresto europeo, l’autorità giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fattoreato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (cfr., proprio in questi termini, Sez. un., 30 gennaio 2007, Ramoci, tra l’altro, ricordata proprio dalla ricorrente).
3.5. Anche gli ulteriori motivi sono infondati.
La sostanziale genericità della censura avente ad oggetto il non completo invio del mandato di arresto europeo ne preclude l’esame, solo considerando sia l’allegazione del provvedimento di base sia l’assenza di ogni specifica indicazione da parte del ricorrente del rilievo del contenuto omesso, così da non consentire alla doglianza di superare il vaglio di ammmissibilità. Tanto più che la ricorrente allega, poi, la violazione della L. n. 69 del 2005, art. 4, lettera a, "per parzialità della relazione allegata e delle relative fonti di prova, oltrechè, inevitabilmente, del principio generale in materia di diritto di difesa", che appare collegarsi a dati esclusivamente formali, sovrastati sia dall’atto di base sia dalla relazione illustrativa. Il tutto pure considerando che, come ha avuto occasione di statuire la più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema, anche a voler ammettere – per assurdo – la nullità degli atti sopra ricordati, si sarebbe in presenza di una invalidità sostanzialmente non lesiva ed innocua o, a tutto concedere, di una invalidità per così dire "circoscritta", che non ha avuto effetti diffusivi sull’ulteriore sviluppo del procedimento. La nullità, infatti, è sanzione che rivela la più tipica specie di invalidità, espressamente comminata dalla legge (principio di tassatività) con riferimento a patologie dell’attività processuale. E se è pur vero che, in base al vigente sistema di rito, rimane privo di rilievo, di fronte ad un atto nullo, il ricorrere di un concreto pregiudizio all’interesse protetto, considerato che tale pregiudizio deve considerarsi, come sostenuto da autorevole dottrina, "immanente nella circostanza pura e semplice che lo schema legale non si sia realizzato" è anche vero che lo stesso sistema legittima una lettura non rigorosamente formalistica degli effetti connessi ad un atto processuale nullo, che in concreto non ha dato luogo ad un "danno" misurabile e non ha aggredito il nucleo della garanzia oggetto di tutela, ove si considerino la prevista categoria concettuale della sanatoria per "conseguimento dello scopo", il richiesto interesse – concreto ed attuale – a fare valere la nullità e gli effetti diffusivi o no di questa. Una regola che si è tradotta nell’affermazione di principio secondo cui se le forme processuali sono un valore "lo sono in quanto funzionali alla celebrazione di un giusto processo, i cui principi non vengono certamente compromessi da una nullità in sè "irrilevante" o inidonea a riverberasi sulla validità degli atti processuali successivi" (cfr., ex plurimis, Sez. un., ottobre 2007, Michaeler).
Il che trascina nell’infondatezza anche il successivo motivo avente ad oggetto la perenzione dell’arresto provvisorio in forza della tardiva trasmissione (integrale) del mandato di arresto europeo, tra l’altro, ancora una volta, surrettiziamente sovrapponendo la tematica della cognizione sulla consegna qui all’esame della Corte con quella delle misure restrittive adottate dall’autorità giudiziaria italiana.
Un vizio che contamina pure l’ulteriore censura con la quale, peraltro arbitrariamente addebitandosi al provvedimento di base carenza di motivazione sulle esigenze cautelari, si sconfina, ancora una volta, nel catalogo delle cause di inammissibilità di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3. 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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