Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 05-05-2011) 07-06-2011, n. 22498

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. C.G. propone ricorso avverso la sentenza del 18/6/2010 della Corte d’appello di Reggio Calabria con la quale è stata confermata la sua condanna per il reato di omissione d’atti d’ufficio, per non aver dato seguito alla diffida inoltratagli da un cliente dell’ufficio postale di cui C. era direttore, di versargli quanto portato sul suo libretto, o di fornirgli spiegazioni circa il ritardo nell’esecuzione di tale richiesta.

Con il primo motivo il ricorrente contesta la qualità di incaricato di pubblico servizio attribuitagli, richiamando le disposizioni in materia creditizia, che, in attuazione della direttiva comunitaria, hanno qualificato tale attività come esclusa da quelle pubbliche, inquadrandola nell’attività di impresa, di natura privatistica, valorizzando a conferma la veste giuridica dell’ente Poste, ormai strutturato in forma di società di capitali, a fortiori quando, come nella specie, l’azione non riguardi l’unica attività in cui agisce in qualità di concessionaria esclusiva, come la distribuzione della corrispondenza, ma in concorrenza con gli enti bancari, per lo svolgimento della quale non è sottoposta al controllo della P.a.. Si chiede conseguentemente l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’art. 328 cod. pen. e art. 192 cod. proc. pen. per non aver la sentenza valorizzato che il blocco del conto era ascrivibile alle procedure interne delle Poste, come lo stesso creditore ben sapeva, avendo inoltrato una prima richiesta alla direzione centrale dell’amministrazione, e solo di seguito anche all’ufficio locale di Locri e che, rispetto alla situazione creatasi, nessun potere di intervento era riconducitele a C., il quale non era infatti stato raggiunto, neppure successivamente, da un provvedimento disciplinare dell’ente. A riprova di tale circostanza di fatto si rileva che la somma non era stata posta a disposizione del cliente neppure a seguito della notifica del decreto ingiuntivo, circostanza che conferma l’inesigibilità per il C. del comportamento preteso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, costituendo mera riproposizione delle allegazioni contenute in atto di appello, e non confrontandosi con la decisione di secondo grado, che dovrebbe costituire oggetto del presente procedimento, fondato. In particolare, la contestata qualità di incaricato di pubblico servizio, attribuita al direttore delle Poste, anche ove si faccia riferimento alla mera funzione di raccolta di risparmio, è stata ormai fissata dalla S.C. con pronunce costanti (da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 33610 del 21/06/2010, dep. 15/09/2010, imp. Serva, Rv. 248271); i principi posti a base di tali pronunce non sono superati dalle diverse allegazioni del ricorrente, che prescindono del tutto dallo sviluppo argomentativo che ha condotto a tali arresti giurisprudenziali.

In particolare nel gravame si contesta la riconducibilità della natura di attività pubblica della raccolta del risparmio eseguito dalle Poste spa, sulla base di una pretesa equiparazione con l’analoga attività svolta dalle aziende di credito, senza superare in diritto l’avvenuta valorizzazione della funzione pubblica di tale tipo di attività in ragione della connessione tra la raccolta del risparmio, attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi, funzionale all’attività della Cassa depositi e prestiti, sul cui rendiconto si esercita il controllo della Corte dei conti, ente che, a sua volta è tenuto a riferire annualmente al Parlamento sull’andamento di tale gestione.

Rispetto alle richiamate conclusioni, già valorizzate dal giudice di merito, nessuna diversa allegazione in fatto ed in diritto supporta il proposto ricorso, circostanza che impone di qualificare il motivo in esame inammissibile, per difetto delle violazioni di legge e del difetto di motivazione evocato.

2. Del tutto eccentrici rispetto alla contestazione sono inoltre i motivi dedotti con il secondo rilievo, posto che al prevenuto non è contestato il mancato compimento dell’azione omessa, che in ipotesi poteva non essere di sua competenza, ma la mancata risposta alla pur formale diffida inoltratagli, cui egli, secondo la legge avrebbe dovuto dare riscontro nei trenta giorni successivi (Sez. 6, Sentenza n. 40008 del 27/10/2010, dep 12/11/2010, imp. Iorio, Rv. 248531), azione che gli è stata contestata, e rispetto alla quale nulla è stato dedotto di segno contrario.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità deve seguire, in forza dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna al pagamento delle spese processuali nonchè di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo.

Il ricorrente ed il responsabile civile sono tenuti inoltre a rifondere, in favore della parte civile, le spese di rappresentanza in questo grado, determinate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende, nonchè al rimborso delle spese del grado in favore della parte civile B.R. liquidate in complessivi Euro 2.500, oltre agli accessori di legge, che pone solidalmente anche a carico delle Poste Italiane spa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *