Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-10-2011, n. 20661 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che, con ricorso del 18 gennaio 2010, V.E. ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di censura, nei confronti di P.M.A., avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4235/09 del 28 ottobre 2009, con la quale la Corte, pronunciando sull’appello del V. avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Latina n. 1473/08 del 9 ottobre 2008 (con la quale è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio dei coniugi P. – V.), in contraddittorio con la P. – la quale ha concluso per la reiezione dell’appello -, ha respinto l’appello;

che resiste, con controricorso, P.M.A.;

che in particolare, per quanto in questa sede rileva, la Corte – dopo aver sottolineato che: il Tribunale di Latina, con sentenza non definitiva n. 1112/07, ha dichiarato la separazione personale dei coniugi addebitandola al marito; il V. ha appellato tale sentenza denunciando l’erroneità della pronuncia sia in punto di addebitabilità della separazione, sia in punto di determinazione del contributo in favore della moglie e della figlia – ha affermato che:

"Detti motivi sono stati ampiamente illustrati ma nessun accenno di censura è stato fatto sulla pronuncia della separazione tra i coniugi. Pertanto non essendo stata impugnata la pronuncia sulla separazione la stessa è passata in giudicato"; "La autonomia della pronuncia della separazione dagli altri provvedimenti che riguardano l’addebito o le conseguenti obbligazioni dei coniugi è stata più volte affermata dalla Corte di cassazione vengono richiamate le sentenze nn. 15279 del 2001, 557 e 1743 del 2003, 21193 del 2005, 16985 del 2007".
Motivi della decisione

che, con l’unico motivo (con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione delle disposizioni della L. n. 898 del 1970, art. 3, n. 2, lett. B, nonchè omessa contraddittoria ed insufficiente motivazione"), il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, sostenendo che egli, contrariamente a quanto affermato dalla Corte romana, con l’atto di appello proposto avverso la sentenza non definitiva di separazione, ha sollecitato la "riforma integrale" di tale sentenza e, quindi, anche la pronuncia di separazione personale dei coniugi, con la conseguenza che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dichiarata ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), non è proponibile, in quanto la sentenza di separazione non è passata in giudicato;

che il ricorso è inammissibile, per mancanza di autosufficienza;

che – come esattamente affermato dalla Corte romana è diritto vivente che, nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell’ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma, la stessa presupponendo l’iniziativa di parte, soggiacendo alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande ed avendo una causa petendi (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione: intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un petitum (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione, con la conseguenza che, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell’art. 329 cod. proc. civ., comma 2, l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione dei coniugi ed al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità ad uno di essi, implica il passaggio in giudicato del capo di sentenza sulla separazione, rendendo esperibile l’azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 15279 del 2001, pronunciata a sezioni unite, e 16985 del 2007);

che inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro integrale trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, controllo che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 17915 del 2010);

che, nella specie, il ricorrente – al fine di dimostrare che il capo della sentenza del Tribunale di Latina che ha pronunciato la separazione personale dei coniugi non è passato in giudicato a causa dell’appello da lui proposto contro tale sentenza – aveva l’onere, in forza del predetto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre testualmente ed integralmente nello stesso ricorso almeno il dispositivo della sentenza di separazione, nonchè i motivi d’appello, al fine di supportare la denunciata erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui afferma il passaggio in giudicato del capo di sentenza sulla separazione in quanto detti motivi d’appello concernevano esclusivamente gli autonomi capi di pronuncia sull’addebito e sul mantenimento di moglie e figlia;

che, invece, lo stesso ricorrente si è limitato a riprodurre, in modo generico, parziale e decontestualizzato, un brano dell’atto d’appello nel quale si chiede alla Corte d’Appello di voler "riformare integralmente la sentenza del Tribunale di Latina";

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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