Cass. pen., sez. VI 30-09-2008 (17-09-2008), n. 37166 Illecita provenienza del bene – Accertamento – Specificità. – Pluralità di procedimenti di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Il Tribunale di Reggio Calabria con decreti dell’8 aprile 2005 e del 3 marzo 2006 applicava nei confronti di N.A., ritenuto un elemento di spicco nell’ambito delle cosche mafiose calabresi e, in particolare, uno dei capi della associazione "Maggiore" di (OMISSIS), la misura della sorveglianza speciale per la durata di anni quattro, disponendo, inoltre, la confisca dei seguenti beni allo stesso riconducibili ovvero fittiziamente intestati a terze persone:
– fabbricato sito in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS);
– terreno sito in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS);
– terreno sito in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS);
– fabbricato sito in località (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS);
– quote sociali e patrimonio aziendale della Poliambulatorio Salus s.r.l.;
– quote sociali e patrimonio aziendale della Pio Center s.r.l.;
– conti correnti, titoli ed altre forme di investimento finanziario nella disponibilità del N., della moglie G.A. e delle due società. 2. – Sull’appello del proposto e dei terzi interessati la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato i provvedimenti del Tribunale, ma ha disposto l’annullamento parziale della confisca, restituendo agli aventi diritto il fabbricato ed il terreno di contrada (OMISSIS), nonchè le quote e il patrimonio aziendale della società Pio Center s.rl.L intestate a P.C..
3. – Contro la sentenza della Corte d’appello hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione il proposto e i terzi intestatari dei beni oggetto del provvedimento cautelare reale, G.A., N. B., N.G., N.F., N.D., N.C., N.M., F.G. e P. M.I..
3.1. – Un primo ricorso è stato presentato dall’avvocato Antonio Russo.
Preliminarmente è stata dedotta la violazione della normativa processuale in quanto la Corte d’appello avrebbe trattato congiuntamente i ricorsi riguardanti i due distinti decreti emessi dal Tribunale di Reggio Calabria, l’uno avente ad oggetto la misura di prevenzione personale, l’altro riguardante la misura di prevenzione patrimoniale, senza che vi sia stato alcun provvedimento formale di riunione e, inoltre, provvedendo a notificare un solo invito a comparire, nonostante la trattazione di due distinti provvedimenti.
Con altro motivo si censura il decreto impugnato sotto il profilo del vizio di motivazione relativo alla ritenuta sussistenza dei presupposti per la confisca dei beni.
In particolare, si assume l’illogicità della motivazione che mentre ha annullato la confisca relativa al terreno sito in contrada (OMISSIS) sul presupposto che fosse stato acquistato utilizzando redditi di provenienza lecita, ha invece, inspiegabilmente, confermato la misura patrimoniale relativa al terreno situato in contrada (OMISSIS), acquistato nello stesso periodo.
Per quanto concerne il fabbricato, anch’esso confiscato, situato sempre in contrada (OMISSIS), il ricorrente contesta la decisione, rilevando che i giudici non avrebbero preso in considerazione nè il reddito prodotto dai coniugi N. – G. nel 1978, epoca in cui è iniziata la costruzione del fabbricato, nè il reddito complessivo prodotto nel 1979 dai terzi.
Infine, si censura il provvedimento in ordine alla disposta confisca delle due società, Salus s.r.l. e Pio Center s.r.L, criticando le argomentazioni che hanno condotto i giudici a ritenere che all’epoca della costituzione delle due società nè il N., nè la moglie disponessero di redditi adeguati e leciti per simili operazioni.
3.2. – Con altro ricorso, presentato dall’avvocato Managò, viene censurato il provvedimento impugnato per avere attribuito rilievo all’intercettazione del (OMISSIS), da essa desumendo erroneamente la pericolosità del N. per la caratura "mafiosa" del personaggio, in grado di porsi come intermediario tra famiglie contrapposte nella guerra di mafia imperversante in Reggio Calabria, nonostante che la guerra cui fanno riferimento i giudici si era già conclusa nel 1991.
Inoltre, si evidenzia l’assenza di qualsiasi valutazione circa l’attualità della pericolosità, tenendo conto che la telefonata in questione risale a molti anni fa, precisandosi che le due sentenze che hanno concluso i procedimenti denominati "(OMISSIS)" ed "(OMISSIS)" hanno mandato assolto il proposto dall’imputazione di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Per quanto riguarda l’aspetto patrimoniale del decreto impugnato, si assume l’apparenza della motivazione, dal momento che i giudici non avrebbero tenuto presenti le deduzioni avanzate dalla difesa e, soprattutto, le conclusioni contenute nella consulenza del dott. F.. In particolare, si sostiene la contrarietà del provvedimento con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ai fini del sequestro e della confisca nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, l’accertamento dell’illecita provenienza va compiuto in relazione a ciascun bene e non all’intero patrimonio.
Peraltro, i ricorrenti rilevano come i giudici non abbiano considerato correttamente la documentazione prodotta ed allegata alla perizia, anzi ne avrebbero travisato il senso, per cui il provvedimento sarebbe censurabile in quanto la totale mancanza di motivazione ovvero la motivazione apparente integrerebbe il vizio di legge.
3.3. – Infine, in data 4 marzo 2008 l’avvocato Antonio Managò ha depositato una memoria difensiva con cui si respingono le argomentazioni contenute nella requisitoria del P.G. e si ribadiscono le tesi esposte nel ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. – Per quanto riguarda la censura attinente la trattazione unitaria dei due procedimenti, il primo avente ad oggetto la misura di prevenzione personale, l’altro quella di natura patrimoniale, deve escludersi che la disposta riunione di fatto abbia comportato la violazione di diritti difensivi e ciò a prescindere dall’esistenza di un formale provvedimento, tenuto conto che da una serie di atti è comunque risultata inequivoca la scelta di una trattazione unitaria dei procedimenti.
Infatti, si osserva, condividendo quanto già sostenuto dalla Corte d’appello, che le parti hanno avuto una completa e preventiva informazione circa la trattazione unitaria dei procedimenti, con il pieno rispetto del diritto di difesa, dal momento che gli avvisi notificati contenevano l’indicazione di N.A. e dei terzi interessati, dei provvedimenti di sequestro emanati dal Tribunale e la menzione delle normative applicate, con conseguente facoltà di consultare gli atti e la documentazione.
Peraltro, all’interno del medesimo ufficio giudiziario deve riconoscersi al giudice, per ragioni di economia processuale, sia il potere di procedere alla trattazione congiunta, pur in assenza di un formale provvedimento di riunione dei procedimenti, ovvero alla trattazione separata, nell’ambito della stessa udienza, sia il potere di adottare infine una decisione congiunta mediante un unico provvedimento (Sez. 2, 4 aprile 2006, n. 14001, Scassano).
5. – Infondati sono pure i motivi con cui si contesta la ritenuta pericolosità sociale di N.A..
I giudici di merito hanno messo in evidenza gli elementi dai quali hanno desunto la rilevante "caratura criminale" del proposto e il ruolo primario che lo stesso ha svolto nell’ambito della malavita organizzata della provincia di Reggio Calabria.
L’appartenenza all’associazione mafiosa di tipo ‘ndranghetista, con un ruolo primario, viene desunta dalle sentenza di condanna riportate, dalle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia e, inoltre, dai risultati di un’intercettazione ambientale disposta nel procedimento c.d. (OMISSIS), dalla quale è risultato che il N. si sarebbe fatto promotore e garante della pax mafiosa conseguente alla guerra di mafia durata circa sei anni, seguita all’omicidio di D.S.P..
Con riferimento alla ritenuta attualità della pericolosità sociale di N.A. i ricorrenti censurano il decreto impugnato mettendo in rilievo, da un lato, che il N. è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa e di far parte della cupola di tale organizzazione proprio nell’ambito del processo c.d. (OMISSIS), oltre che nell’altro processo denominato "(OMISSIS)", dall’altro, che la conversazione intercettata non avrebbe dovuto avere alcuna valenza indiziaria nel procedimento di prevenzione in quanto risalente al 16.5.1993, mentre la pace tra le opposte famiglie sarebbe stata raggiunta in precedenza, nel corso del 1991.
Per quanto riguarda l’assoluzione ottenuta nei due processi indicati deve ribadirsi un orientamento assolutamente pacifico della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in virtù della totale autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al giudizio di accertamento del reato, la pronuncia assolutoria ed irrevocabile dal reato di cui all’art. 416 bis c.p., non comporta l’automatica esclusione della pericolosità, quando la valutazione di tale requisito sia effettuata dal giudice della prevenzione in base ad elementi distinti, ancorchè desumibili dai medesimi fatti storici venuti in rilievo nella sentenza (Sez. 5, 17 gennaio 2006, n. 9505, Pangallo; Sez. 5, 12 gennaio 1999, n. 145, Bonanno).
Nel provvedimento impugnato i giudici hanno correttamente tenuto presente l’autonomia del procedimento di prevenzione e sostenuto coerentemente che le due assoluzioni non sono in grado di mettere in crisi gli elementi indiziari emersi a carico del N. e che dimostrano il ruolo di supremazia criminale svolto dal ricorrente: in particolare, è risultato che tali elementi sono costituiti anche dalle puntuali e concordi dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, che hanno indicato N.A. "come uno degli esponenti di spicco della ‘ndrangheta reggina".
Ne deriva che i giudici di merito non hanno fondato il giudizio di pericolosità esclusivamente sui risultati dell’intercettazione ambientale, ma sulle precedenti sentenze di condanna e sulle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori, valutando in questo contesto le conversazioni intercettate presso l’abitazione della moglie di D.S.. A questo proposito, la circostanza che la pax mafiosa fosse stata già siglata, tra le famiglie in lotta, sin dal 1991 non appare idonea a determinare una svalutazione dell’incontro intercettato, in quanto in ogni caso, secondo l’insindacabile valutazione che i giudici hanno fatto del tenore delle conversazioni, risulta evidente il ruolo di spicco del N., comunque capace di dettare le linee di condotta delle famiglie, a prescindere dal momento in cui deve ritenersi sia intervenuta una riconciliazione dopo la lunga guerra di mafia.
Inoltre, il decreto impugnato offre una logica spiegazione anche in relazione alla sussistenza del requisito dell’attualità della pericolosità, messa in dubbio nei ricorsi. La circostanza che il N. non abbia riportato di recente condanne per delitti collegati al crimine organizzato viene giustificata proprio con la sua posizione apicale che gli ha consentito di "dirigere dietro le quinte il sodalizio criminoso", senza prendere parte alle attività esecutive, lasciate, come avviene in ogni organizzazione di questo tipo, alla manovalanza delinquenziale, che è quella che è risultata coinvolta nelle numerose inchieste giudiziarie degli ultimi anni.
In sostanza, la mancanza di recenti sentenze di condanna a suo carico e la sua stessa età ormai avanzata non possono essere considerati elementi sintomatici della cessazione della pericolosità sociale di un soggetto come il N., che ha svolto sicuramente un ruolo di rilievo e di preminenza all’interno dell’associazione criminosa: in mancanza di fatti che portino a ritenere che abbia rescisso i legami di appartenenza al gruppo criminoso di riferimento, può legittimamente ritenersi, come hanno fatto i giudici di merito nel caso in esame, che la maturata esperienza criminale del N. abbia rafforzato la sua leadership, aumentando il potere all’interno del sodalizio ‘ndranghetistico. In altri termini, il raggiungimento di livelli apicali nell’ambito di organizzazioni criminali determina una maggiore protezione verso l’esterno, comportando, di conseguenza, un ridotto coinvolgimento diretto nelle materiali attività delinquenziali svolte dall’associazione e, quindi, un minore rischio di essere individuato e coinvolto in indagini giudiziarie, ma ciò aumenta e non diminuisce la pericolosità sociale dell’appartenente all’associazione, il quale proprio in forza della sua collocazione è in grado di dirigere e di dare le direttive per la realizzazione degli scopi illeciti perseguiti dal gruppo criminale.
Si tratta di argomentazioni che si fondano su consolidate regole di esperienza e su precisi elementi indiziari emersi nel procedimento in questione, per cui non può ritenersi – così come assume il ricorrente – che la motivazione sia mancante ovvero assolutamente illogica e apparente.
6. – Per quanto concerne le censure contenute nei due ricorsi relativamente alle disposte misure di prevenzione patrimoniale si deve rilevare che i vizi dedotti attengono prevalentemente alla motivazione del provvedimento impugnato.
Sono stati fatti valere vizi e motivi diversi da quelli consentiti dalla legge e comunque manifestamente infondati. Come è noto, il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione – sia in relazione alle misure personali che patrimoniali -, in coerenza con la natura e la funzione del relativo procedimento, è limitato alla violazione di legge (L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, richiamato dalla L. n. 575 del 1965, art. 3 ter) e non si estende al controllo dell’iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto mancante, nel qual caso ci sarebbe comunque violazione di legge. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 9 (tra le tante v., Sez. 6, 26 giugno 2002, n. 28837, Paggiarin; Sez. 6, 8 marzo 2007, n. 35044, Bruno).
D’altra parte, la limitazione del ricorso alla sola "violazione di legge" è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale non irragionevole (sent. n. 321/2004), data la peculiarità del procedimento di prevenzione sia sul piano processuale che su quello sostanziale.
Nella specie, i ricorrenti, pur denunciando formalmente la violazione di legge, in sostanza confutano, nell’illustrazione delle doglianze, la motivazione del provvedimento impugnato, nella chiara prospettiva di accreditare una diversa interpretazione delle circostanze di fatto emerse e di togliere così valenza agli elementi posti a base delle misure di prevenzione patrimoniale adottate.
Il decreto impugnato è sorretto da un apparato argomentativo corretto e correlato alle risultanze in atti, le quali sono state apprezzate e valutate nel pieno rispetto di principi normativi esattamente interpretati e applicati, sicchè non è a parlarsi di motivazione mancante o apparente.
7. – Peraltro, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte d’appello ha fatto una corretta applicazione del principio secondo cui ai fini dei provvedimenti di sequestro e confisca nei confronti di appartenenti ad associazioni mafiose, l’accertamento dell’illecita provenienza va compiuto in relazione a ciascun bene suscettibile della misura patrimoniale e non all’intero patrimonio (Sez. 1, 9 maggio 1988, n. 1365, Raffa). Infatti, i giudici di merito hanno esaminato in ordine cronologico i singoli incrementi pervenuti al patrimonio dei ricorrenti, "in correlazione alle entrate lecite che il N., la moglie e i figli hanno realizzato nel corso degli anni", evitando di procedere ad una valutazione globale, ma operando di volta in volta un giudizio che ha rapportato le disponibilità lecite, da riconoscere al proposto o ai terzi interessati, all’epoca dell’acquisizione di quel determinato bene al patrimonio.
8. – Sotto altro profilo deve escludersi che quanto affermato dai giudici d’appello, secondo i quali il difetto originario rilevabile all’epoca dell’acquisto del bene è in grado di rendere comunque illecita la sua disponibilità, tanto da travolgere anche ogni successivo e legittimo incremento patrimoniale, costituisca un’erronea applicazione della legge ovvero una apparente motivazione.
Infatti, secondo la giurisprudenza più attenta esiste la necessità di stabilire i limiti di operatività dell’effetto ablativo nell’ipotesi in cui il reimpiego del denaro, proveniente da fonte sospetta di illiceità penale, avvenga mediante addizioni, accrescimenti, trasformazioni o miglioramenti di beni già nella disponibilità del soggetto medesimo, in virtù di pregresso acquisto del tutto giustificato da dimostrato titolo lecito (Sez. 6, 28 marzo 2007, n. 30131, Frangiamore; Sez. 1, 4 luglio 2007, n. 33479, Richichi), ma deve escludersi che tale regola valga al contrario, quando cioè l’incremento riguardi beni acquisiti ab origine al patrimonio del soggetto per effetto diretto o mediato di provenienza da attività illecite.
Mentre nel primo caso il provvedimento ablativo deve essere rispettoso del generale principio di equità e, per non contrastare il principio costituzionale di cui all’art. 42 Cost., non può coinvolgere il bene nel suo complesso, nell’altra ipotesi occorre considerare che l’incremento successivo è possibile in quanto vi è stata all’origine una illecita acquisizione e che tale circostanza impedisce di operare una sorta di "purgazione" della illegittima provenienza del bene stesso.
9. – In conclusione, l’inammissibilità di alcuni motivi e l’infondatezza di altri determina il rigetto dei ricorsi, con la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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