Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-04-2011) 07-06-2011, n. 22745 Reati fallimentari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ne chiede l’accoglimento.
Svolgimento del processo

P.V. fu nominato curatore del fallimento di IMMOBILIARE S. VINCENZO 74 Srl, dichiarata fallita in Voghera il 9.12.1987.

Egli è stato tratto a giudizio perchè accusato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare (12.8.1992) con gli amministratori della società ( D.T., E.) e di altri ( V., collega di studio del prevenuto), tutti prosciolti dalla Corte genovese per prescrizione.

La condotta censurata è quella di avere distratto la somma ricavata (Lire 190 milioni) dalla vendita dell’unico cespite disponibile all’ente fallito, immobile in (OMISSIS), cespite, quindi, di pertinenza dell’asse concorsuale.

La Corte d’Appello di Genova (per quanto riguarda la posizione del P.) ha confermato il giudizio di penale responsabilità, già affermato dal tribunale di Chiavari in data 13.1.2000, ma ha ridotto la pena inflitta.

Per la medesima vicenda egli è stato condannato per peculato dal Tribunale di Voghera, sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Milano.

Avverso la sentenza ha interposto ricorso la difesa del prevenuto che ha eccepito: l’inosservanza della norma processuale per il vizio della notifica del decreto di citazione a giudizio notificato (come l’estratto contumaciale) presso il difensore fiduciario, anzichè presso il domicilio ritualmente eletto dall’imputato;

– l’inosservanza della norma processuale per non essersi, il Presidente del Collegio ed il relatore, astenuti dal giudizio avendo partecipato alla motivazione di decisione;

– l’erronea applicazione della legge penale avendo ascritto al P. la condotta di omessa trascrizione della vendita immobiliare, quale presupposto della distrazione dell’immobile, dimenticando che gli effetti della sentenza di fallimento si originano dalla sua emissione e non dalla trascrizione dei cespiti attivi;

– carenza e contraddittorietà della motivazione per avere trascurato che il Curatore segnalò condotte illecite degli amministratori quanto alla tenuta della contabilità, così dimostrando di non favorire i medesimi nei loro disegni illeciti;

– carenza e contraddittorietà della motivazione per avere ravvisato concorso di intenti con gli amministratori, pur avendo accertato che il P. ingannò l’ E. nella destinazione della somma ricavata dalla vendita e, Motivo 5 e 6, carenza e contraddittorietà della motivazione per avere ritenuto il soggetto qualificato E. concorrente con l’extraneus P., pur nell’accettata difformità di intenti dei due e la dimostrata assenza di accordo distrattivo; carenza di motivazione sull’istanza di derubricazione del reato ascritto al ricorrente in quello di interesse privato del Curatore;

– "manifesta ingiustizia" nel rigetto del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il primo motivo, pregiudiziale alla verifica delle restanti censure, non è fondato.

In tema di reperibilità dell’imputato, la normativa processuale impone a questi degli oneri specifici, quando egli sia avvisato della pendenza del procedimento a suo carico: l’art. 161 c.p.p., comma 1 gli impone, invero, di comunicare ogni variazione intervenuta successivamente alla dichiarazione/elezione di domicilio resa all’avvio della vicenda processuale.

Per questo motivo il Collegio non condivide l’indirizzo giurisprudenziale che qualifica la nozione di "impossibilità" della notificazione in termini di attestata verifica di vera e propria irreperibilità (sì da qualificare come definitiva l’impossibilità alla recezione dell’atto) dell’imputato nel luogo dichiarato/eletto dal prevenuto.

Ritiene, invece, che anche la temporanea assenza, al momento dell’accesso dell’ufficiale notificatore, legittimi la procedura descritta dall’art. 161 c.p.p., comma 4 e art. 157 c.p.p., comma 8 bis.

Mentre è fondata nel merito la censura d’illogicità o carenza dell’argomentazione motivazionale.

Dal testo del provvedimento impugnato, infatti, non è per nulla chiarita la condotta di apporto efficace e concausale da parte del soggetto giuridicamente qualificato nel reato di bancarotta impropria, cioè l’amministratore della società fallita nei confronti del soggetto terzo, non rientrante nel catalogo descritto dall’art. 223, comma 1, L. Fall., qual’è il curatore fallimentare. A questi può – in assenza di valida verifica di un’azione non interagente con quella del soggetto "proprio" – piuttosto ascriversi la fattispecie di ricettazione ex art. 232 L. Fall., ovvero quella di peculato.

Al contempo, alla luce della decisione della Corte di Appello di Milano, versata in atti, non è dato conoscere quale sia la relazione intercorsa tra l’addebito di bancarotta e quello di peculato. Nè risulta adeguatamente vagliata la (complessa) proponibilità, in linea astratta, del possibile concorso formale eterogeneo di reati, nè – per un riguardo concreto – la possibile ricorrenza della preclusione ex art. 649 c.p.p., valutata la corrispondenza storico- naturalistica nella configurazione del reato, e considerati gli elementi costitutivi della vicenda (condotta, evento, nesso causale), nel contesto delle circostanze che contrassegnarono la condotta del prevenuto.

Trattandosi di profilo di decisiva rilevanza, nell’economia del giudizio sulla condotta del P., la sentenza deve essere annullata per nuovo esame al riguardo.

Da tanto discende l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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