Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-04-2011) 07-06-2011, n. 22753

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.S. è indagato (e sottoposto alla misura cautelare della custodia intramuraria) con riferimento ai seguenti delitti in danno di P.G.:

concorso in sequestro di persona, concorso in tentata estorsione, concorso in rapina, concorso in lesioni personali, concorso in violenza privata. I predetti delitti sono stati contestati come variamente aggravati e, tra le altre, è stata contestata la aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7.

Il TdR di Salerno, con l’ordinanza di cui in epigrafe, ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’ A..

Con il ricorso per cassazione, il difensore deduce due censure.

A) assenza di gravi indizi di colpevolezza, inosservanza ed erronea applicazione di norme processuali, inutilizzabilità delle dichiarazioni del P., difetto e/o manifesta illogicità della motivazione.

La ricostruzione degli accadimenti è stata effettuata essenzialmente sulla basse delle dichiarazioni provenienti dal P. e da suo cugino V.D.. Orbene, il TdR ha ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni del V., considerato il mandante della spedizione punitiva, perchè il suddetto non è stato ascoltato con la procedura ex art. 63 c.p.p., ma non ha ritenuto inutilizzabili quelle del P.. In ciò ha violato il dettato la predetta norma, in quanto costui, secondo la stessa ipotesi di accusa, fu sequestrato, minacciato, picchiato e privato de soldi di cui era in possesso in quanto sospettato di complicità nel furto che, pochi giorni prima, era stato perpetrato nel bar del cugino V.D.. Il P., pertanto, avrebbe dovuto essere ritenuto, sin dall’inizio, persona indiziata di reato connesso. Dunque, anche le dichiarazioni della presunta PO erano inutilizzabili, con la conseguenza che non possono ritenersi sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico dell’ A..

B) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 393 c.p., assenza dei presupposti per la applicazione di misura cautelare, difetto e/o illogicità della motivazione.

Con la richiesta di riesame, si era, subordinatamente, prospettata la necessità di derubricare i delitti contestati in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone. Invero, se si ritiene che "il pestaggio" del P. sia stato eseguito per ordine del V., che lo voleva, in tal modo, punire per la sua condotta e voleva ottenere risarcimento per il danno subito, non si vede come non debba essere ritenuta sussistente la figura criminosa ex art. 393 c.p.. Il TdR, cui la questione è stata prospettata, ha replicato introducendo il criterio della sproporzione tra la pretesa che il V. avrebbe voluto soddisfare e i mezzi impiegati. Ma la affermazione è apodittica e violativa della norma penale. Essa, da un lato, si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni di P., dall’altro, mostra di ignorare il dato normativo.

Nè è significativo il richiamo alla pretesa rapina di Euro 45, atteso che la sottrazione di tale somma (invero modesta) si "giustifica" proprio come parziale recupero del danno subito dal V..
Motivi della decisione

La prima censura è infondata.

Si legge nel provvedimento impugnato che il P., mentre si trovava presso il bar del cugino V., fu raggiunto da alcuni uomini (tra i quali l’ A.), che lo costrinsero a montare sul ciclomotore del V. e a seguirli. Dopo alcune "tappe intermedie", il gruppo giunse in aperta campagna. Qui l’ A. fu accerchiato dagli altri, minacciato e bastonato. Mentre era a terra, dolorante per le percosse subite, i suoi aggressori gli frugarono in tasca e si impadronirono della somma di Euro 45, quindi gli dissero: "ora i soldi di questo mese li devi dare tu e, se denunci ai Carabinieri, sei un confidente, un ricchione e un infame.

Ricorda che, se arrestano noi, ci sono altre dieci persone che possono ucciderti".

Nonostante tali minacce, P. si recò presso la caserma dei Carabinieri e denunziò l’accaduto.

Sempre nell’ordinanza del TdR di Salerno si legge che, nel verbale di fermo, redatto dai militari, i quali -a seguito della surricordata denunzia- avevano individuato e bloccato l’ A. e gli altri, l’aggressione in danno del P. viene messa in relazione al furto subito dal V.. Ciò in quanto il V. sospettava di suo cugino P. (e tali sospetti il V. aveva esplicitato nella denunzia all’epoca presentata alle FFOO).

Tale essendo il (non controverso) dato fattuale, il TdR pone correttamente in luce come le dichiarazioni rese ai Carabinieri dal P. non furono raccolte in sede di interrogatorio, diretto o delegato, esperito dai militari (i quali nulla sapevano delle sue disavventure), ma furono frutto della iniziativa del predetto che, recatosi -come premesso – in caserma, espose i fatti, indicò quelli che aveva individuato come i responsabili e, in tal modo, provocò l’inizio della attività di indagine.

Così stando le cose, non può trovare applicazione il principio di cui alla sentenza n. 1282, SS.UU. del 1997, ric. Carpanelli e altri, RV 206846, per la buona ragione che, al momento, i Carabinieri non potevano certo sapere che il P. avrebbe potuto assumere la veste di indagabile in un reato eventualmente connesso o collegato.

Invero, è stato ritenuto (cfr: ASN 200324180-RV 225675) che le dichiarazioni indizianti rese da un soggetto che, nello sviluppo del procedimento, per effetto di una diversa qualificazione del fatto, abbia assunto la qualità di indagato, non sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p., in quanto la diversa situazione del dichiarante non può inficiare gli atti in precedenza legittimamente compiuti, in forza, sia del principio di conservazione degli atti processuali, che della regola generale del tempus regit actum.

A maggior ragione ciò deve dirsi con riferimento a quel soggetto cui possa essere addebitata una condotta costituente reato che, in ipotesi di accusa, costituirebbe mero antefatto rispetto a reati ascritti ad altri soggetti, in quanto il valore autoindiziante delle sue dichiarazioni non è certamente implicito.

E’ dunque evidente che la inutilizzabilità delle spontanee dichiarazioni rese alla p.g. da chi potrebbe essere a sua volta sottoposto a indagine giudiziaria riguarda le sole affermazioni inerenti al fatto già costituente oggetto delle indagini e non si estende alle dichiarazioni il cui compimento potrebbe dar luogo ad un reato diverso da quello oggetto dell’indagine già avviata (lo si ricava da ASN. 200922456-RV 243846). La seconda censura è inammissibile.

Invero, la giurisprudenza di questa Corte è pacifica nel ritenere che ricorra il delitto di violenza privata, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, allorchè si eccedano macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione di eccezionale gravità (ASN 200638820-RV 235765; ASN 199913162-RV 214974). E, poichè, il più comprende il meno, il delitto ex art. 393 c.p., come non può "assorbire", nelle ipotesi appena indicate, quello ex art. 610, meno che mai potrà avere tale effetto nei confronti dei più gravi delitti ex art. 605 e 629 c.p..

Se così non fosse, d’altra parte, basterebbe la causale di far valere, sia pure con mezzi extra ordinem, un proprio diritto, per veder giustificato qualsiasi eccesso e qualsiasi nefandezza; così, ovviamente, non è (e non può essere), sia perchè, in tal maniera, la pretesa di far valere un diritto diverrebbe un mero pretesto per danneggiare la controparte, pretesamente inadempiente, sia perchè diversi possono essere, (e nel caso di specie sono) i beni giuridici tutelati dalle norme che si chiede di porre in rapporto di genere a specie.

Per altro (e per esempio) è stato positivamente affermato che, con riferimento al delitto di percosse (e si ricordi che l’ A. anche di lesioni aggravate deve rispondere), non si ha assorbimento nel reato di ragion fattasi (ASN 200835843-RV 241244).

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

Deve farsi luogo alle comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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