T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 08-06-2011, n. 837 Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti sono proprietari, in prossimità del Villaggio Prealpino, dei mappali n. 17 e 37 del fg. 5 del Comune di Brescia, già ricadenti in area agricola di pregio 3AP in S.P., assoggettata, dall’art. 33 delle NTA, a vincolo preordinato all’esproprio. Tale destinazione non è mai stata attuata ed il terreno ha continuato a fare parte dell’ampia area coltivata dall’Azienda Agricola Z..

Nell’adottare il nuovo Piano regolatore al mappale 17 è stata imposta la destinazione B3V5Vg°° e al mappale n. 37 la B3R2Pp°: ciò al fine di realizzare un parco e dei parcheggi pubblici a standards.

Ritenendo illegittima tale reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio i ricorrenti hanno notificato il ricorso in esame, affidato alle seguenti censure:

1. violazione degli artt. 41 e 42 Cost, dell’art. 2 della legge n.1187/1968, dell’art. 3 della legge n. 241/90, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti e difetto di motivazione. La stringata motivazione riportata nella schedatura delle aree sottoposte a reiterazione del vincolo con riferimento al mappale 17 non espliciterebbe le ragioni di sussistenza dell’interesse pubblico alla reiterazione e non darebbe conto del perché è stato ritenuto, erroneamente, che non vi fossero alternative alla localizzazione. La reiterazione, quindi, sarebbe frutto di un’inadeguata istruttoria, che non avrebbe valutato alcuna altra possibilità. Rispetto al mappale 37, invece, la motivazione sarebbe stata totalmente omessa, non essendo indicato, lo stesso, tra le superficie sulle quali è stato reiterato il vincolo;

2. violazione dell’art. 19 della L.R. 51/75, come sostituito dalla L.R. 1/2001, in quanto la capacità insediativa residenziale di piano sarebbe stata calcolata in modo fallace ed inaffidabile;

3. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 22 della L.R. 51/75, a causa dell’immotivata inosservanza dei "criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi" in cui sarebbe incorso il Comune. In particolare sarebbe stata violata la fondamentale regola secondo cui "i servizi e le attrezzature concorrono al soddisfacimento delle dotazioni minime stabilite ai commi 5 e 6 in misura corrispondente alla effettiva consistenza delle rispettive superfici lorde, realizzate anche in sottosuolo o con tipologia pluriplano e relative aree pertinenziali";

4. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 22 della L.R. 51/75, come sostituito dall’art. 7, comma 7, della L.R. 1/2001 per la mancanza di una attestazione di idoneità dell’area;

5. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 22 della L.R. 51/75, come sostituito dall’art. 7, comma 7, della L.R. 1/2001 poiché la modalità di calcolo della dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico non appare in armonia con la scelta pianificatoria di fare ampio ricorso a zone a destinazione polifunzionale a percentuale variabile;

6. violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 e dell’art. 22 della L.R. 51/75, come sostituito dall’art. 7, comma 7, della L.R. 1/2001 in ragione del fatto che in modo illegittimo il PRG impugnato computerebbe, tra le aree standard, vaste aree che non sono assoggettate a vincolo preordinato all’esproprio o non sono inserite tra quelle da cedersi con piani attutativi o non sono concretamente destinate allo svolgimento di attività collettive in forza di atti di asservimento;

7. violazione di legge per mancata previsione dell’indennizzo, anche in considerazione del fatto che le zone F2V2, F2V3, F2V4 e F3V2 ove non sottoposte a vincolo preordinato all’esproprio, sarebbero soggette alle prescrizioni di cui alla zona E1V2;

8. violazione dell’art. 7 della legge urbanistica, dell’art. 4, ultimo comma, della legge 10/1977, dell’art. 2 della legge n. 1187/1968, dell’art. 2 del D.M. 1444/1968, nella parte in cui l’art. 123 delle NTA detta la disciplina destinata ad operare successivamente alla decadenza dei vincoli di PRG.

Invero, dopo la presentazione del primo ricorso, i ricorrenti hanno presentato un’argomentata osservazione chiedendo che rispetto alla propria area fosse eliminata la destinazione a verde pubblico e a parcheggio pubblico o di uso pubblico. La stessa è stata però respinta con deliberazione del Consiglio comunale n. 79/03, in ragione dei profili ambientali che hanno condotto a qualificare l’area in questione come compresa, nel sistema ambientale, in "V1 riserva di naturalità e filtro di permeabilità" e del principio generale ispiratore del nuovo piano regolatore, che esclude l’edificazione in collina. Tutto ciò fatta eccezione per una esigua porzione di proprietà, dimostrando in tal modo la contradditorietà di quanto affermato.

Con la stessa deliberazione, peraltro, il Comune, anziché limitarsi a trasmettere le osservazioni alla Regione, come avrebbe dovuto fare secondo parte ricorrente, avrebbe deliberato di modificare gli elaborati di piano come da risposta alle osservazioni accolte, dando atto dell’assenza della necessità di procedere ad una nuova pubblicazione del Piano, atteso che tale accoglimento non avrebbe comportato sostanziali innovazioni, tali da mutare le caratteristiche essenziali del piano e i suoi criteri di impostazione.

Parte ricorrente, oltre a riproporre integralmente le censure già riportate con riferimento al precedente ricorso, ha, quindi, dedotto:

1.1. violazione degli artt. 9 e 10 della legge urbanistica, della legge n. 1902/1952 e dell’art. 27 della L.R. 51/75. L’accoglimento delle osservazioni avrebbe dovuto sostanziarsi in una mera espressione di opinione e non anche determinare la modifica dello strumento urbanistico, in quanto ciò equivarrebbe a sottrarre le osservazioni stesse all’analisi della Regione. Peraltro la modifica del Piano avrebbe dovuto comportare una nuova pubblicazione dello stesso;

1.2. violazione, nell’adozione della deliberazione della Giunta Regionale n. 6/27498 del 18 aprile 1997, degli artt. 9 e 10 della legge urbanistica e dell’art. 27 della L.R. 51/75. La suddetta deliberazione regionale, infatti, nel disciplinare le osservazioni ai piani urbanistici, prevede, secondo la ricostruzione della ricorrente, che la Regione non si debba occupare delle osservazioni respinte dal Comune, mentre in ordine alle modificazioni apportate dal Comune in accoglimento delle osservazioni essa può proporre adeguamenti solo nell’esercizio dei poteri di modifica d’ufficio ai sensi dell’art. 10 della legge 1150/1942. Al contrario, la Regione dovrebbe poter esaminare tutte le osservazioni, ed in particolare quelle respinte, in modo da apportare un reale contributo al miglior esercizio del potere pianificatorio;

1.3. violazione dell’obbligo di ripubblicazione in ragione del fatto che la maggior parte delle modifiche apportate non trarrebbero fondamento nell’accoglimento delle osservazioni presentate.

In vista della pubblica udienza, il Comune resistente ha depositato un’articolata memoria finale che, nell’esaminare congiuntamente i due ricorsi in epigrafe indicati, ne ha eccepito l’infondatezza, replicando puntualmente alle censure dei ricorrenti, in specie anche facendo riferimento ai precedenti di questo stesso Tribunale che hanno già avuto ad oggetto gli atti di approvazione del medesimo strumento urbanistico in esame.

Lo stesso Comune, peraltro, ha anche eccepito la sopravvenuta carenza di interesse rispetto all’intero ricorso sub R.G. 1347/02 per effetto dell’intervenuta scadenza dei vincoli divenuti efficaci nel 2004 e mai attuati, nonchè profili di inammissibilità e di infondatezza con riferimento a ciascuna delle censure dedotte, anche con riferimento al successivo ricorso sub R.G. 1603/04.

A tale memoria ha replicato parte ricorrente, ribadendo la permanenza dell’interesse alla pronuncia e all’accertamento dell’illegittimità delle limitazioni alle prerogative dominicali derivanti dalla presenza del vincolo, anche in un’ottica di orientamento della futura pianificazione.

Essa ha, inoltre, ribadito quanto già precedentemente rappresentato nel ricorso, indugiando in più parti nel tentativo di rappresentare l’interesse sotteso a talune doglianze rispetto a cui è stata dedotta l’inammissibilità per carenza di interesse o genericità.

Alla pubblica udienza del 4 maggio 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe indicati, proposti dai medesimi ricorrenti in relazione ad atti tra di loro consequenziali. Ne deriva la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive cui risulta subordinata l’opportunità della riunione dei giudizi.

Ciò premesso, non può trovare accoglimento il primo dei due ricorsi, avente ad oggetto la adozione del Piano regolatore generale del Comune di Brescia dell’anno 2002.

Invero per giungere a tale conclusione si deve, sempre in via preliminare, rigettare l’eccezione in rito di parte resistente, secondo cui il ricorso in esame sarebbe improcedibile per carenza di interesse sopravvenuta a causa dell’intervenuta decadenza dei vincoli divenuti efficaci nel 2004.

Invero il Collegio ritiene di poter affermare l’improcedibilità di solo alcune delle censure dedotte nel ricorso, atteso che non può escludersi a priori che esista un interesse concreto ed attuale di parte ricorrente sulla legittimità dell’imposizione del vincolo, quantomeno in un’ottica di eventuale risarcimento del danno.

In primo luogo i proprietari hanno dedotto carenza di motivazione ed istruttoria nella reiterazione del vincolo sulle aree già precedentemente assoggettate allo stesso. A tale proposito parte ricorrente individua un’area libera, con destinazione E2, posta in continuità con il parco delle colline, che avrebbe potuto costituire un’importante pausa verde nel tessuto edilizio del villaggio Prealpino, in alternativa alla reiterazione del vincolo sulla proprietà dei ricorrenti.

Invero i vincoli in questione risultano essere destinati a garantire gli standards urbanistici di zona: l’alternativa proposta non è tanto precisa da dimostrare che tale garanzia sarebbe stata comunque assicurata, il che esclude la possibilità di censurare la scelta, fortemente discrezionale, operata dall’Ammininistrazione nella localizzazione delle opere e, conseguentemente, nel ravvisare la necessità della reiterazione.

Peraltro, secondo parte ricorrente la capacità insediativa residenziale di piano sarebbe stata calcolata in modo fallace ed inaffidabile, in quanto, nel determinare il numero di abitanti insediabili non si sarebbe distinto tra aree di espansione e lotti liberi, bensì tra aree di trasformazione, Progetti Norma e "diffuso" (con quest’ultimo intendendo tutta la parte della città per la quale è possibile un ampliamento fondiario) e comunque sarebbe stato utilizzato il parametro della superficie lorda di pavimento, anziché quello della superficie utile, urbanisticamente più pregnante. Infine la capacità insediativa dell’edificato sarebbe stata calcolata sulla base di un campione di 500 lotti, rispetto al quale, però, secondo parte ricorrente, non sarebbe stato dato conto né delle caratteristiche, né della rappresentatività. Tale censura deve ritenersi, prima ancora che improcedibile, inammissibile per mancata dimostrazione della refluenza sulla situazione giuridica della proprietà dei ricorrenti.

Nella terza censura si assume la violazione del nuovo criterio, introdotto dalla L.r.1/2001, secondo cui il fabbisogno di standard deve essere valutato non con riferimento alle aree di sedime, bensì alla superficie lorda di pavimento delle edificazioni che si andranno a realizzare o che esistono. Nella fattispecie, invece, sarebbe stato utilizzato ancora il primo, superato, criterio, con la conseguenza della sottovalutazione delle dotazioni di aree standard reperite nel PRG (in particolare, per quanto di interesse, in relazione alla mancata considerazione della potenzialità di realizzare parcheggi multipiano).

La Relazione illustrativa del Piano, però, descrive in modo puntuale e dettagliato i criteri utilizzati per il calcolo del suddetto fabbisogno. Escluso, quindi, che possa ravvisarsi il lamentato difetto di motivazione, la lettura della suddetta relazione evidenzia come l’invocato parametro della "superficie utile" non sia conosciuto dal Piano Regolatore di Brescia, che applica, invece, il paramento della SLP.

Peraltro la correttezza, sotto questo profilo, dell’operato del Comune appare confermata dalla mancanza di rilievi in tal senso da parte della Regione.

Analoghe considerazioni conducono al rigetto della quarta censura, con cui si lamenta il fatto che l’art. 22 della L.R. 51/75, come modificato dal comma 7 dell’art. 7 della L.R. 1/2001, imporrebbe che le dotazioni minime di spazi per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale all’interno del piano regolatore generale o dei piani attuativi – determinate, relativamente agli insediamenti residenziali, in rapporto alla capacità insediativa – fossero reperite in conformità ai seguenti criteri: "a) il Piano dei servizi individua motivatamente le tipologie di servizi, attrezzature ed impianti urbani di interesse generale esistenti o che devono essere realizzati, documentando l’idoneità dei siti individuati in relazione alla destinazione prevista; b) ai fini dell’adempimento delle dotazioni minime, possono essere conteggiati: 1) i servizi e le attrezzature pubblici, realizzati tramite iniziativa pubblica diretta o ceduti all’amministrazione nell’ambito di piani attuativi; 2) i servizi e le attrezzature, anche privati, di uso pubblico o di interesse generale, regolati da apposito atto di asservimento o da regolamento d’uso, redatti in conformità alle indicazioni contenute nel Piano comunale dei servizi, che assicurino lo svolgimento delle attività collettive cui sono destinati; c) i servizi e le attrezzature concorrono al soddisfacimento delle dotazioni minime stabilite ai commi 5 e 6 in misura corrispondente alla effettiva consistenza delle rispettive superfici lorde, realizzate anche in sottosuolo o con tipologia pluripiano, e relative aree pertinenziali; il Piano dei servizi può motivatamente stabilire, per determinate tipologie di strutture e servizi, modalità di computo differenti riferite al valore economico o ai costi di realizzazione delle strutture; d) dalla quantificazione della dotazione di spazi pubblici a parco, per il gioco e lo sport, sono comunque escluse le fasce di rispetto stradale, ferroviario e cimiteriale, ad eccezione delle aree attrezzate esistenti alla data di adozione del piano regolatore generale, nonchè di quelle poste in continuità ad ambiti di verde pubblico.".

Secondo parte ricorrente il Piano dei servizi adottati violerebbe tale disposto, in quanto la scelta della realizzazione di un giardino pubblico e di un parcheggio pubblico sull’area di proprietà dei ricorrenti non risulterebbe sorretta da alcuna documentazione attestante l’idoneità delle aree medesime in relazione alla destinazione prevista, né vi sarebbe traccia di una motivazione in ordine a tale attitudine, avuto riguardo alla ubicazione dell’immobile nel contesto territoriale ed urbano.

A tale proposito non si può trascurare di considerare che, trattandosi della reiterazione di vincoli già esistenti, una valutazione di idoneità delle aree a soddisfare le necessità di standards della zona si deve presumere sia stata operata all’atto della prima imposizione del vincolo.

Peraltro, i proprietari non accennano neppure ad un’eventuale contestazione di tale prima localizzazione, con la conseguenza che la questione avrebbe dovuto, semmai, essere posta in termini di contestazione della motivazione della reiterazione. A tale proposito, però, l’Adunanza plenaria n. 7 del 2007 ha ben chiarito come una reiterazione generalizzata dei vincoli relativi agli standards di zona non richieda alcuna particolare motivazione, in specie laddove, come gli atti sembrerebbero evidenziare nel caso di specie, la reiterazione sia stata generalizzata e, quindi, non sia possibile individuare alcun effetto discriminatorio e prevaricatorio nei confronti di solo alcuni dei proprietari precedentemente interessati dall’apposizione del vincolo.

Ne deriva il rigetto della censura.

Rispetto alla quinta censura (nella quale si deduce che nel calcolo delle aree destinate a standards non si sarebbe tenuto conto del fatto che numerose aree possono avere destinazione funzionale polivalente, incidente sulla capacità insediativa e, quindi, sul fabbisogno di aree a standard) e alla sesta, non è dato comprendere quale sia l’interesse di parte ricorrente a dolersi della considerazione come aree a standards anche di aree rispetto a cui non vi sarebbe garanzia per una messa a disposizione del pubblico. Invero il considerare tali aree diminuisce la necessità di reperire altre ed ulteriori aree da destinare a uso pubblico e, quindi, semmai, tornerebbe a favore dei proprietari che lamentano l’assoggettamento a vincolo preordinato ad esproprio delle loro aree proprio per garantire gli standards minimi di legge.

Imprevedibile deve, invece, ritenersi la doglianza numero 7, avente ad oggetto la mancanza di previsione dell’indennizzo, in quanto le aree di proprietà dei ricorrenti, rimosso l’errore materiale che non individuava il mappale 37 tra quelli assoggettati ad esproprio, rientrano tra quelle per cui è prevista la corresponsione del necessario indennizzo.

Non appare, invece, improcedibile quella parte del ricorso in cui si censura la legittimità delle previsioni relative alla disciplina successiva alla decadenza del vincolo. Secondo parte ricorrente, in modo del tutto illogico ed irrazionale, il pianificatore avrebbe assoggettato le aree in questione ad un utilizzazione più limitata ancora di quella consentita dalle zone bianche e cioè la sola destinazione agricola, con la possibilità, nel perimetro del centro abitato di soli interventi di ristrutturazione senza modifica della destinazione d’uso e fuori dal suddetto perimetro di edificazione (con un indice di 0,01 mq/mq) solo a condizione che l’impresa agricola abbia un’estensione superiore a 6 ettari: in altre parole una sostanziale inedificabilità che scaturisce da una soluzione urbanistica che nulla avrebbe a che vedere con la necessaria considerazione delle caratteristiche geomorfologiche ed urbanistiche delle aree, così frustrando inevitabilmente le legittime aspettative del proprietario che hanno trovato tutela nella sentenza della Corte Costituzionale n. 179/99.

Invero sotto tale profilo il ricorso non può trovare positivo apprezzamento. La previsione censurata, che ovviamente non preclude ogni possibile diversa soluzione del pianificatore dopo l’eventuale scadenza del vincolo (dalla ulteriore reiterazione, alla attribuzione di una diversa destinazione) altro non rappresenta se non l’esplicitazione della regola da tempo individuata come operante dalla giurisprudenza in caso di decadenza del vincolo preordinato all’esproprio. Da sempre la giurisprudenza ha ritenuto che non possa individuarsi altra soluzione che qualificare quelle aree come "bianche", seppur sottolineando, spesso in modo pesante, l’obbligo per l’Amministrazione di intervenire tempestivamente per una nuova pianificazione.

Con la censurata prescrizione l’art. 123 delle NTA si limita ad esplicitare l’applicazione delle medesime condizioni che, proprio in ragione della suddetta giurisprudenza, troverebbero spazio nel caso di mancanza di una siffatta norma tecnica. Questo, infatti, consentirebbe un’edificazione di 1mq/mq, corrispondente a 0,3 mc/mq previsti dalla legge, fatta salva la previsione di una superficie minima di 6 ettari per l’edificazione in zona agricola, che appare del tutto razionale rispetto alle altre previsioni di piano.

Per quanto attiene quest’ultimo specifico aspetto il Collegio ritiene che possa soccorrere l’ormai consolidata giurisprudenza di questo Tribunale che ritiene legittime previsioni urbanistiche locali che, nell’ambito della zona agricola, introducono una disciplina edificatoria differenziata, e più restrittiva, rispetto a quella della zona agricola tradizionale dove potrebbero trovare applicazione diretta le prescrizioni edificatorie di cui ai richiamati artt. 2, 3 e 4 della L.r. n. 93/80 (cfr. da ultimo TAR Brescia 8 gennaio 2009, n. 1 e 31 giugno 2007 n. 836). Essa trova il proprio fondamento nel principio secondo cui i limiti dettati dalla legge sono limiti massimi: se ciò vale per l’edificabilità nelle aree agricole non si vede per quale ragione non debba essere lo stesso in relazione all’utilizzazione delle c.d. "aree bianche". Anche in questo caso, quindi, non si ravvisa alcuna ragione per la quale debba precludersi al Comune la possibilità di introdurre prescrizioni più restrittive di quelle contenute nella norma autorizzatoria, che, in quanto introduttiva di una deroga alle previsioni generali di edificabilità in aree per principio sottratte alla stessa, ha natura eccezionale.

Respinto il ricorso sub R.G. 1347/2002 – il che comporta il rigetto anche delle medesime censure riproposte con riferimento agli atti successivi dell’iter di approvazione dello strumento urbanistico, si deve, quindi, passare all’esame delle ulteriori e specifiche doglianze dedotte con il ricorso sub R.G. 160304.

In particolare non è meritevole di positivo apprezzamento la violazione di legge che parte ricorrente ravvisa nell’intervenuta approvazione, da parte del Consiglio comunale, delle osservazioni ritenute condivisibile, addivenendo alla riapprovazione del piano modificato in accoglimento delle stesse, senza rimettere la risposta definitiva alla Regione e senza procedere ad una nuova pubblicazione.

Invero l’esame della deliberazione consiliare n. 79/03 evidenzia come il contenuto della stessa fosse la approvazione delle "controdeduzioni alle osservazioni", la quale rientra appieno tra le competenze del Comune. Conseguentemente allo stesso spetta di provvedere, come accaduto nel caso di specie, a modificare gli elaborati del Piano allo scopo di renderli coerenti con la decisione sulle controdeduzioni.

Ciò precisato, il Collegio ritiene che la necessità della pretesa ripubblicazione del Piano modificato fosse esclusa in considerazione del fatto che la suddetta pubblicazione, proprio perché finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune, non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o modifiche introdotte in sede di approvazione regionale. Ciò a condizione che non si tratti di modifiche tali da stravolgere il piano e comportare nella sostanza una nuova adozione (in tal senso, da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 09 marzo 2011, n. 1503, che ribadisce un principio già affermato da questo Tribunale nella sentenza 24 giugno 2009, n. 1318: condizione che nel caso di specie non ricorre.

Né può ritenersi che l’autonomo accoglimento delle osservazioni da parte del Comune conduca al paventato, irrazionale, risultato di mantenere l’applicazione delle misure di salvaguardia più restrittive eventualmente discendenti dalla destinazione precedentemente imposta dalla misura di salvaguardia. Al contrario, proprio il fatto che il "progetto" di PRG sia stato approvato, nel caso di specie, con apposita deliberazione consiliare esclude in radice tale rischio, determinando, automaticamente, anche la modificazione delle norme di salvaguardia, senza che ciò possa condurre alla qualificazione dell’atto come all’approvazione di un nuovo progetto di PRG: fenomeno, questo, che sarebbe collegabile, come già detto, solo al radicale mutamento del progetto stesso.

Del resto è lo stesso comma 1 dell’invocato, dalla ricorrente, art. 27 della L.R. 51/75 a prevedere che "non è necessaria la ripubblicazione del piano regolatore generale modificato in accoglimento delle osservazioni presentate a norma dell’art. 9 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni".

Peraltro, chiarito che, come nello stesso ricorso rappresentato, alla Regione è data la possibilità di intervenire in caso di accoglimento di osservazioni da parte del Comune, mediante l’esercizio del potere di modifica d’ufficio ai sensi dell’art. 10, con riferimento alle osservazioni rigettate deve comunque ritenersi sia stata garantita alla Regione la possibilità anche di pronunciarsi sulle osservazioni rigettate, nel pieno rispetto della norma che lo prevede.

Basti, a tal proposito, considerare che non appare ravvisabile la dedotta illegittimità della deliberazione della Giunta regionale n. 27498 del 18.04.1997, atteso che con la sua adozione la Regione non ha mai abdicato all’esame delle osservazioni, ma ha solo previsto di lasciare spazio all’esame delle stesse da parte del Comune, fermo restando il suo poteredovere di intervento laddove fosse ravvisabile una violazione di legge, ancorché desumibile da un’osservazione respinta dal Comune.

Con riferimento alla censura avente ad oggetto la pretesa non riconducibilità delle modifiche apportate alle osservazioni presentate, il Collegio ritiene che, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, non possa ritenersi sussistere un interesse attuale e concreto di quest’ultima alla censura. Se, infatti, rispetto alla generica censura dell’illegittimità per mancata pubblicazione del nuovo progetto di piano scaturito dall’accoglimento delle osservazioni, può ravvisarsi un generale interesse di tutti i cittadini al rispetto dell’iter delineato dalla legge, non altrettanto si ritiene possa essere affermato entrando nel merito dell’accoglimento delle osservazioni.

L’accertamento della reale rispondenza delle suddette modifiche alle osservazioni presentate e l’eventuale illegittimità di nuove previsioni non pubblicate non possono che rappresentare censure che possono essere fatte valere solo dai cittadini direttamente incisi dalle nuove previsioni urbanistiche.

Nel caso di specie non risulta nemmeno asserito che le aree di proprietà della ricorrente siano state interessate da previsioni più sfavorevoli le quali non siano state oggetto di pubblicazione, con conseguente lesione del diritto alla partecipazione al procedimento.

Peraltro l’unico profilo che potrebbe, ipoteticamente, interessare la ricorrente è quello connesso alla modifica dell’art. 89 delle norme di attuazione che, però, risulta essere stato modificato proprio sulla scorta delle osservazioni presentate dal direttore dell’Unione Provinciale Agricoltori e dal sig. Danesi.

Ad ogni buon conto non si ritiene di poter condividere la tesi di parte ricorrente secondo cui l’accoglimento delle osservazioni avrebbe condotto allo stravolgimento del Piano, considerato che non è stato fornito alcun principio di prova atto a smentire la natura di "mero dettaglio" attribuita alle modifiche apportate a seguito delle osservazioni, il cui alto numero non è significativo in senso contrario, essendo determinato dalla grandezza della città e dall’alto numero degli abitanti.

Così rigettati i ricorsi, sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, attesa la complessità delle questioni dedotte, che rappresentavano, al momento della loro proposizione, una novità non precedentemente sviscerata dalla giurisprudenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe indicati:

– dispone la riunione dei suddetti ricorsi;

– dichiara in parte improcedibile il ricorso sub R.G. 1347/2002;

– lo respinge nella parte restante;

– respinge il ricorso sub R.G. 1603/2004;

– dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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