T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 08-06-2011, n. 836 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente, proprietaria dei mappali n. 243, 67, 245 e 272 fg. 141 del comune catastale di Brescia, di superficie pari a 4600 mq circa, con destinazione a zona "E’, si duole dell’asserita illegittimità delle nuove previsioni urbanistiche che impongono alla suddetta area la classificazione "E3V1", con applicazione dell’art. 89 delle N.T.A..

A tale fine essa ha dedotto:

1. eccesso di potere, illogicità ed irragionevolezza manifesta, carenza di istruttoria ed erronea rappresentazione dei presupposti. L’Amministrazione avrebbe omesso di considerare che l’area in questione non avrebbe una reale vocazione agricola, bensì una vocazione edificabile, essendo circondata su tre lati da aree già edificate a scopo residenziale ed abitativo, servita dai necessari servizi tecnologici e dotata delle necessarie opere di urbanizzazione;

2. Violazione degli artt. 2, 3 e 4 della L.R. 93/80, nonché degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione ed eccesso di potere per vizio di procedura, difetto di istruttoria e di motivazione. L’imposizione di vincoli eccessivamente rigidi, come quelli che interessano l’area in questione, precluderebbe ogni sfruttamento agricolo ed impedirebbe la stessa alienazione dell’area. Peraltro, poiché la L.R. 93/80 contiene una clausola transitoria che prevede la diretta operatività delle sue disposizioni (ed in particolare, per quanto di interesse, di quella che collega alle zone agricole gli indici edificatori di cui all’art. 2, da considerarsi come "minimi"), essa dovrebbe ritenersi prevalente sulle prescrizioni più restrittive di cui alle NTA, aventi carattere discriminatorio sotto il profilo economicosociale;

3. violazione dell’art. 4 della L.R 15 gennaio 2001, n. 1, nella misura in cui, nel disciplinare l’ipotesi di ampliamento degli edifici esistenti, l’art. 87 delle NTA rinvia alla L.R. 93/80 e non a quella sopravvenuta;

4. violazione dell’art 2, lett. q) della legge 7 gennaio 1976, n. 3 e difetto di istruttoria, per aver imposto i limiti di edificabilità propri della zona E3V1 senza un’accurata analisi affidata a dottori agronomi;

5. eccesso di potere per indeterminatezza, perplessità e contraddittorietà del contenuto della deliberazione, in quanto i riferimenti contenuti in quest’ultima sembrerebbero dare conto dell’approvazione di due testi contrastanti (quello originario e quello emendato).

Si è costituito in giudizio il Comune che, però, ha esplicato la propria difesa solo in vista della pubblica udienza, eccependo l’infondatezza del ricorso per le ragioni che succintamente si riporteranno nel prosieguo, posto che tale difesa risulta comune anche al successivo ricorso notificato dalla ricorrente.

Ricorso che ha ad oggetto l’approvazione regionale del Piano, con modifiche d’ufficio, e tutti gli atti successivi, tra cui, in particolare, l’approvazione del Consiglio comunale del piano così emendato.

Invero, dopo la presentazione del primo ricorso, la ricorrente ha presentato un’argomentata osservazione chiedendo che la propria area fosse riqualificata in B5R2, al fine di consentire la realizzazione di due edifici a destinazione residenziale per i figli. La stessa è stata però respinta con deliberazione del Consiglio comunale n. 79/03, in ragione dei profili ambientali che hanno condotto a qualificare l’area in questione come compresa, nel sistema ambientale, in "V1 riserva di naturalità e filtro di permeabilità" e del principio generale ispiratore del nuovo piano regolatore, che esclude l’edificazione in collina. Tutto ciò fatta eccezione per una esigua porzione di proprietà, dimostrando in tal modo, secondo la ricorrente, la contradditorietà di quanto affermato.

Con la stessa deliberazione, peraltro, il Comune, anziché limitarsi a trasmettere le osservazioni alla Regione, ha deliberato di modificare gli elaborati di piano come da risposta alle osservazioni accolte, dando atto dell’assenza della necessità di procedere ad una nuova pubblicazione del Piano, atteso che tale accoglimento non ha comportato sostanziali innovazioni, tali da mutare le caratteristiche essenziali del piano e i suoi criteri di impostazione.

Parte ricorrente, oltre a riproporre integralmente le censure già riportate con riferimento al precedente ricorso, ha, quindi, dedotto:

1.1. violazione degli artt. 9 e 10 della legge urbanistica, della legge n. 1902/1952 e dell’art. 27 della L.R. 51/75. L’accoglimento delle osservazioni avrebbe dovuto sostanziarsi in una mera espressione di opinione e non anche determinare la modifica dello strumento urbanistico, in quanto ciò equivarrebbe a sottrarre le osservazioni stesse all’analisi della Regione. Peraltro la modifica del Piano avrebbe dovuto comportare una nuova pubblicazione dello stesso;

1.2. violazione, nell’adozione della deliberazione della Giunta Regionale n. 6/27498 del 18 aprile 1997, degli artt. 9 e 10 della legge urbanistica e dell’art. 27 della L.R. 51/75. La suddetta deliberazione regionale, infatti, nel disciplinare le osservazioni ai piani urbanistici, prevede, secondo la ricostruzione della ricorrente, che la Regione non si debba occupare delle osservazioni respinte dal Comune, mentre in ordine alle modificazioni apportate dal Comune in accoglimento delle osservazioni essa può proporre adeguamenti solo nell’esercizio dei poteri di modifica d’ufficio ai sensi dell’art. 10 della legge 1150/1942. Al contrario, la Regione dovrebbe poter esaminare tutte le osservazioni, ed in particolare quelle respinte, in modo da apportare un reale contributo al miglior esercizio del potere pianificatorio;

1.3. violazione dell’obbligo di ripubblicazione in ragione del fatto che la maggior parte delle modifiche apportate non trarrebbero fondamento nell’accoglimento delle osservazioni presentate.

In vista della pubblica udienza, come già anticipato, il Comune resistente ha depositato un’articolata memoria finale che, nell’esaminare congiuntamente i due ricorsi in epigrafe indicati, ne ha eccepito l’infondatezza, replicando puntualmente alle censure della ricorrente, in specie anche facendo riferimento ai precedenti di questo stesso Tribunale che hanno già avuto ad oggetto gli atti di approvazione del medesimo strumento urbanistico in esame.

Anche la Regione ha depositato una memoria definita di replica nonostante nessuna memoria fosse stata depositata da parte ricorrente ad ulteriore sostegno delle deduzioni di cui al ricorso. Ciò si ritiene debba essere ricondotto alla tardività del deposito rispetto al termine previsto di trenta giorni liberi antecedenti la data dell’udienza: tardività che non può essere superata in ragione della mera formalità dell’attribuzione all’atto di una denominazione che non ne rispecchia la natura. Ne discende l’inammissibilità del deposito della comparsa, di cui il Collegio non terrà, quindi, conto nella propria decisione.

Alla pubblica udienza del 4 maggio 2011, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe indicati, proposti dalla medesima ricorrente in relazione ad atti tra di loro consequenziali. Ne deriva la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive cui risulta subordinata l’opportunità della riunione dei giudizi.

Ciò premesso, non può trovare accoglimento il primo dei due ricorsi, avente ad oggetto la adozione del Piano regolatore generale del Comune di Brescia dell’anno 2002.

Il ricorso in esame, seppur latamente facente riferimento anche ad una potenziale vocazione edificatoria dell’area di proprietà della ricorrente, si incentra sulla illegittimità dei particolari limiti all’utilizzazione che sulla stessa sono stati fatti gravare, in ragione della classificazione e della applicazione degli artt. 88 e 89 delle NTA.

Prima di entrare nel merito della questione si rende necessario precisare che la proprietà della ricorrente è stata classificata come zona E3V1, disciplinata dall’art. 89 delle NTA. Ciò rende inammissibili, per carenza di interesse concreto ed attuale alla pronuncia, le censure introdotte dalla medesima con riferimento alle diverse aree E1V2.

Ciò chiarito, la Relazione illustrativa del nuovo PRG adottato dal Comune di Brescia, mette in evidenza come, dalla combinazione della zonizzazione agricola con il "sistema del verde" (che prevede aree di particolare valenza paesaggistica punteggiate da cascine, utilizzate per la produzione agricola e caratterizzate da una ricca trama di filari arbori ed arbustivi lungo strade campestri, fossi e rogge – denominate "V2 riserva di permeabilità" – e aree poste a ridosso di grandi assi viabilistici ove il Piano impone massiccio rimboschimento con lo scopo di mitigare e compensare le emissioni inquinanti e il rumore – denominate "V3 filtro di compensazione") emerge l’individuazione di tre diverse tipologie di aree agricole.

La prima è la zona tipicamente agricola (E1 V2), ove gli indici e le possibilità edificatorie sono quelli stabiliti dalla L.R. 93/80, fatta salva la previsione dell’art. 87 delle NTA che subordina l’edificazione al fatto che l’azienda disponga di una superficie minima di almeno 6 ettari (cioè la dimensione che, dalle analisi effettuate, è risultata quella minima necessaria per garantire la sussistenza dell’impresa stessa).

La seconda comprende zone di pianura di particolare pregio paesistico e ambientale, per cui è prevista la medesima edificabilità riconosciuta alle aree precedenti, ma il diritto può essere esercitato solo su aree ricadenti in zona E1 V2.

La zona E3 V1 interessa, invece, zone collinari e pedecollinari di rilevante interesse paesistico, naturalistico ed ambientale per cui l’edificabilità è ammessa solo in termini di ampliamenti di strutture produttive e residenziali esistenti.

Sgomberato il campo da ogni dubbio circa la legittimità della scelta operata dal Comune di non destinare a scopi edificatori l’area in questione, in considerazione dell’ampia discrezionalità che caratterizza l’attività pianificatoria del Comune, la mancanza di coerenza e logicità dell’esercizio della quale è stata, nel caso di specie, solo genericamente asserita, per le stesse ragioni deve escludersi che la censurata destinazione agricola sia illegittima a causa dell’assenza di una specifica vocazione colturale del terreno.

Come questo stesso Tribunale ha avuto modo di precisare nella sentenza n. 514 del 15 maggio 2006, proprio con riferimento all’approvazione del medesimo PRG del Comune di Brescia, "una scelta di PRG può essere considerata illogica solo quando attribuisce ex novo una destinazione di zona in aperta incoerenza con la situazione di fatto e con quella precedentemente attribuita, e che tale non può essere considerata la destinazione a verde agricolo di area situata fra insediamenti esistenti, atteso che tale scelta, oltre ad essere finalizzata alla salvaguardia di esigenze di ordine meramente agricolo, può altresì essere ispirata all’esigenza della conservazione di un’equa proporzione fra aree edificabili ed aree inedificabili, così da consentire le più convenienti ed utili condizioni di abitabilità del territorio(cfr. Cons. Stato Sez. IV n. 259 del 2005 cit., idem 8.2.1980 n. 90; id., 11.6.1990 n. 464; id., n. 8146 del 2003 cit.). La zona agricola, infatti, possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell’insediamento urbano e assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano medesimo, convincimento questo espresso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato ormai da tempo".

Anche nel caso di specie, quindi, che vede reiterata la destinazione agricola dell’area, non può ritenersi che fosse necessaria alcuna particolare motivazione.

Così accertata la legittimità della scelta della zonizzazione, si rende necessario entrare nel merito delle censure volte a contestare le norme particolarmente restrittive fissate con riferimento alla possibilità di utilizzazione edificatoria di terreni agricoli quali quelli di proprietà della ricorrente.

Quest’ultima tende a contestare, nello specifico, l’imposizione di vincoli ben più restrittivi di quelli previsti in linea generale dalla L.R. 93/80 nel descrivere le aree agricole.

A tale proposito il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dai precedenti analoghi di questo Tribunale ed in particolare dal principio affermato nella sentenza 514/2006 già citata, in cui si legge che "la L.r. 93 del 1980 deve essere coordinata con le norme sopravvenute in materia di tutela ambientale, a partire dalla L.r. 27.5.1985 n. 57, che disciplina il piano territoriale paesistico regionale (PTPR). Le possibilità edificatorie definite direttamente dalla L.r. 93 del 1980, volte a garantire, in forma omogenea per l’intero territorio regionale, le facoltà edificatorie delle zone agricole, sono quindi recessive nei confronti dei valori ambientali puntualmente individuati attraverso un adeguato esame del territorio, legittimandosi così, in via generale, la zonizzazione E3 V1 prevista dal PRG del Comune di Brescia, la cui limitazione edificatoria corrisponde alle esigenze di tutela del territorio individuate dall’art. 51 delle NTA (riserva di naturalità e filtro di permeabilità) in diretto collegamento con l’indirizzo espresso dal PTPR circa la tutela dei pendii.".

Ne discende, quindi, che "la scelta del PRG di ridurre o differenziare gli indici edificatori deve quindi essere attuata coerentemente con gli indirizzi del PTPR richiamati a pag. 2 della DGR n. 7/17074 del 6 aprile 2004 (inserimento del territorio comunale nella "fascia collinare", necessità di tutela della struttura geomorfologica e degli elementi connotativi del paesaggio agrario e dei pendii, conseguente valutazione della compatibilità di nuovi insediamenti con il contesto ambientale, e divieto di ulteriori importanti concentrazioni edilizie)" (TAR Brescia, ordinanza n. 1631/04).

Nel caso di specie parte ricorrente non ha prodotto alcun principio di prova atto a dimostrare l’assenza dei presupposti di tutela ambientale che hanno condotto alla censurata limitazione edificatoria.

Né la legittimità delle prescrizioni così accertata può essere revocata in dubbio dalla pretesa diretta operatività delle disposizioni contenute nella legge regionale invocata.

La norma transitoria cui viene fatto riferimento nel ricorso in esame ha riguardo esclusivamente alle previsioni dei piani regolatori adottati prima dell’entrata in vigore della legge regionale, in contrasto con i principi dettati da quest’ultima. La fattispecie è, quindi, evidentemente diversa da quella in esame, in cui la contestata previsione dello strumento urbanistico è sopravvenuta rispetto alla legge regionale. Non vi è, quindi, alcuna situazione di contrasto quale quella disciplinata dalla norma transitoria, contenente la specifica regola alla luce della quale risolvere il conflitto con previsioni urbanistiche preesistenti alla normativa regionale.

Peraltro il Collegio ritiene di non poter ravvisare quel profilo discriminatorio sul piano economicosociale dedotto nel ricorso. Ciò proprio in ragione del fatto che le limitazioni all’edificazione in parola risultano essere frutto del contemperamento tra specifiche esigenze di conservazione ambientale e valutazioni in ordine alla possibilità di collegare legittime pretese edificatorie ad adeguate dimensioni delle imprese agricole. In altre parole, il sacrificio ambientale derivante dall’edificazione sembra trovare – in ragione dei risultati di specifiche analisi a ciò rivolte e che hanno condotto a risultati la cui attendibilità non è stata specificamente censurata – giustificazione solo laddove correlato alla conduzione di un’azienda agricola qualificabile come remunerativa.

Ciò non esclude, ovviamente, la possibilità che l’attività agricola sia esercitata su di un’estensione territoriale minore, ma solo che, in mancanza del raggiungimento del parametro, sia possibile edificare su aree caratterizzate da una particolare sensibilità ambientale.

Per quanto attiene, invece, nello specifico, alle aree E3 V1, ancora una volta si ritiene di poter condividere quanto già affermato da questo Tribunale (nella sentenza 15 febbraio 2007, n. 170) laddove ha chiarito che "il territorio inserito nella zona E3V1 si presenta in effetti fragile e non idoneo a uno sfruttamento con gli indici della L.R. 93/80…essendovi un valore ambientale individuato in modo preciso e coerente con le indicazioni del PTPR si può ritenere che la qualificazione E3V1 e la relativa disciplina siano giustificate".

Del resto, l’insistenza di parte ricorrente sulla perdita di valore del terreno agricolo in presenza di limitazioni di edificabilità dello stesso porta quasi a dimenticare che il valore dello stesso è determinato dalle potenzialità colturali e non anche edificatorie.

Per quanto attiene alla pretesa violazione della legge regionale 1/2001, si ritiene di poter condividere la tesi difensiva del Comune, laddove rappresenta che, mentre l’art. 4 della L.R. 1/2001 è espressamente richiamato dall’art. 87 delle NTA, l’inciso secondo cui "i cambi di destinazione d’uso sono ammessi unicamente per gli edifici non specificatamente vincolati alla destinazione agricola ai sensi dell’art. 3 della L.R. n. 93/80" appare perfettamente in linea con la norma regionale del 2001, peraltro abrogata dall’art. 104 della legge regionale n. 12/2005.

Anche la quarta censura non appare meritevole di positivo apprezzamento, atteso che nessuna norma impone di affidare studi come quello che ha condotto alla redazione delle NTA censurate a dottori agronomi. Peraltro parte ricorrente non ha fornito alcun principio di prova dell’illogicità delle soluzioni individuate, in particolare con riferimento alla distanza di 100 metri dal confine di zona che, secondo parte ricorrente, unitamente alle altre prescrizioni, pregiudicherebbe irragionevolmente l’attività economica.

Si ritiene, infine, che nessuna illegittimità possa essere fatta discendere dal fatto che la deliberazione del Consiglio comunale censurata riportasse, tra gli allegati, anche il testo originario delle norme tecniche di attuazione, così come redatto prima dell’adozione dei successivi emendamenti.

Respinto il ricorso sub R.G. 1305/2002 – il che comporta il rigetto anche delle medesime censure riproposte con riferimento agli atti successivi dell’iter di approvazione dello strumento urbanistico, si deve, quindi, passare all’esame delle ulteriori e specifiche doglianze dedotte con il ricorso sub R.G. 154404.

In particolare non è meritevole di positivo apprezzamento la violazione di legge che parte ricorrente ravvisa nell’intervenuta approvazione, da parte del Consiglio comunale, delle osservazioni ritenute condivisibili, addivenendo alla riapprovazione del piano modificato in accoglimento delle stesse, senza rimettere la risposta definitiva sulle stesse alla Regione e senza procedere ad una nuova pubblicazione.

Invero l’esame della deliberazione consiliare n. 79/03 evidenzia come il contenuto della stessa fosse la approvazione delle "controdeduzioni alle osservazioni", la quale rientra appieno tra le competenze del Comune. Conseguentemente allo stesso spetta di provvedere, come accaduto nel caso di specie, a modificare gli elaborati del Piano allo scopo di renderli coerenti con la decisione sulle controdeduzioni.

Ciò precisato, il Collegio ritiene che la necessità della pretesa ripubblicazione del Piano modificato fosse esclusa in considerazione del fatto che la suddetta pubblicazione, proprio perché finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune, non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o modifiche introdotte in sede di approvazione regionale. Ciò a condizione che non si tratti di modifiche tali da stravolgere il piano e comportare nella sostanza una nuova adozione (in tal senso, da ultimo, Consiglio Stato, sez. IV, 09 marzo 2011, n. 1503, che ribadisce un principio già affermato da questo Tribunale nella sentenza 24 giugno 2009, n. 1318).

Né può ritenersi che l’autonomo accoglimento delle osservazioni da parte del Comune conduca al paventato, irrazionale, risultato di mantenere l’applicazione delle misure di salvaguardia più restrittive eventualmente discendenti dalla destinazione precedentemente imposta dalla misura di salvaguardia. Al contrario, proprio il fatto che il "progetto" di PRG sia stato approvato, nel caso di specie, con apposita deliberazione consiliare esclude in radice tale rischio, determinando, automaticamente, anche la modificazione delle norme di salvaguardia, senza che ciò possa condurre alla qualificazione dell’atto come all’approvazione di un nuovo progetto di PRG: fenomeno, questo, che sarebbe collegabile, come già detto, solo al radicale mutamento del progetto stesso.

Del resto è lo stesso comma 1 dell’invocato, dalla ricorrente, art. 27 della L.R. 51/75 a prevedere che "non è necessaria la ripubblicazione del piano regolatore generale modificato in accoglimento delle osservazioni presentate a norma dell’art. 9 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e successive modificazioni".

Peraltro, chiarito che, come nello stesso ricorso rappresentato, alla Regione è data la possibilità di intervenire in caso di accoglimento di osservazioni da parte del Comune, mediante l’esercizio del potere di modifica d’ufficio ai sensi dell’art. 10, con riferimento alle osservazioni rigettate deve ritenersi che sia stata garantita alla Regione la possibilità anche di pronunciarsi sulle osservazioni rigettate, nel pieno rispetto della norma.

Né si ravvisa la dedotta illegittimità della deliberazione della Giunta regionale n. 27498 del 18.04.1997, atteso che con la sua adozione la Regione non ha mai abdicato all’esame delle osservazioni, ma ha solo previsto di lasciare spazio all’esame delle stesse da parte del Comune, fermo restando il suo poteredovere di intervento laddove fosse ravvisabile una violazione di legge, ancorché desumibile da un’osservazione respinta dal Comune.

Con riferimento alla censura avente ad oggetto la pretesa non riconducibilità delle modifiche apportate alle osservazioni presentate, il Collegio ritiene che, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, non possa ritenersi sussistere un interesse attuale e concreto di quest’ultima alla censura. Se, infatti, rispetto alla generica censura dell’illegittimità per mancata pubblicazione del nuovo progetto di piano scaturito dall’accoglimento delle osservazioni, può ravvisarsi un generale interesse di tutti i cittadini al rispetto dell’iter delineato dalla legge, non altrettanto si ritiene possa essere affermato entrando nel merito dell’accoglimento delle osservazioni.

L’accertamento della reale rispondenza delle suddette modifiche alle osservazioni presentate e l’eventuale illegittimità di nuove previsioni non pubblicate non possono che rappresentare censure che possono essere fatte valere solo dai cittadini direttamente incisi dalle nuove previsioni urbanistiche.

Nel caso di specie non risulta nemmeno asserito che le aree di proprietà della ricorrente siano state interessate da previsioni più sfavorevoli le quali non siano state oggetto di pubblicazione, con conseguente lesione del diritto alla partecipazione al procedimento: ne deriva l’inammissibilità della censura.

Peraltro l’unico profilo rispetto a cui la ricorrente potrebbe essere titolare di un interesse differenziato è quello connesso alla modifica dell’art. 89 delle norme di attuazione che, però, risulta essere stato modificato proprio sulla scorta delle osservazioni presentate dal direttore dell’Unione Provinciale Agricoltori e dal sig. Danesi.

Ad ogni buon conto non si ritiene di poter condividere la tesi di parte ricorrente secondo cui l’accoglimento delle osservazioni avrebbe condotto allo stravolgimento del Piano, considerato che non è stato fornito alcun principio di prova atto a smentire la natura di "mero dettaglio" attribuita alle modifiche apportate a seguito delle osservazioni, il cui alto numero non è significativo in senso contrario, essendo determinato dalla grandezza della città e dall’alto numero degli abitanti.

Anche il ricorso in esame deve, quindi, essere rigettato.

Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio, attesa la complessità delle questioni dedotte, che rappresentavano, al momento della loro proposizione, una novità non precedentemente sviscerata dalla giurisprudenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe indicati:

– dispone la riunione dei suddetti ricorsi;

– respinge il ricorso sub R.G. 1305/2002;

– respinge il ricorso sub R.G. 154404;

– dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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