Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-10-2011, n. 20615

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 21-25.3.98 P.G. P., in proprio e quale legale rappresentante del Movimento per la Giustizia Robin Hood, esponeva che gli attori erano intestatari di tre contratti di abbonamento telefonico originariamente stipulati con la Sip, successivamente trasformatasi in Telecom Italia s.p.a. e Tim Telecom Italia Mobile spa corrispondenti ai NN. (OMISSIS) e (OMISSIS) intestati al P.G. e (OMISSIS) intestato al Movimento per la Giustizia Robin Hood; che a partire dal giugno 1994 tali utenze erano state oggetto di continue manomissioni, sospensioni, turbative da parte della Telecom e della Tim nei confronti delle quali erano stati sporti denunzie e reclami; che nel giugno del 1997 era stata disattivata senza titolo e preavviso la linea (OMISSIS) per boicottare lo svolgimento della mostra umanitaria "pittori contro la guerra 1997"; che poi erano state disattivate anche le altre due linee; che in data 2.3.98 la Telecom aveva disattivato definitivamente la linea 0288999 creando un irreparabile e gravissimo danno all’attività di volontariato dell’attrice, che i comportamenti illeciti e l’inerzia degli organi di vigilanza erano stati denunciati nelle sedi opportune; che le somme pretese erano state corrisposte interamente a Tim e nella misura ritenuta dovuta a Telecom.

Ciò premesso i ricorrenti convenivano in giudizio la Telecom Italia spa, la Tim Telecom Ital mobile spa il Ministero delle Comunicazioni, il P.m. di Milano, Procuratore della Repubblica di Torino e l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite e chiedevano che ex art. 70 c.p.c. e segg. c.p.c. venisse ordinata l’immediata riattivazione delle linee telefoniche ed inibita ogni ulteriore turbativa; nel merito, la dichiarazione di illegittimità della sospensione dei pagamenti nonchè l’accertamento delle somme dovute per gli anni dal 1995 al 1998, con la condanna della convenuta alla restituzione delle somme versate in eccedenza, la dichiarazione della falsità della decisione arbitrale 15.1.97 (resa nel procedimento di conciliazione delle controversie tra gli attori e le società Telecom), nonchè della nullità ex art. 829 c.p.c.; la condanna della Telecom, della Tim e del Ministero al risarcimento dei danni.

Si costituivano la Tim, la Telecom e il Ministero delle Comunicazioni.

L’adito Tribunale di Milano, con sentenza depositata in data 11.7.2002, dichiarava illegittima la sospensione del servizio telefonico effettuato da Telecom sull’utenza (OMISSIS) intestata al Movimento per il periodo 20.6-30.6.97; dichiarava inammissibili, perchè nuove, le domande proposte dagli attori con la memoria depositata ex art. 183 c.p.c., dichiarava la nullità della querela di falso proposta in relazione al lodo arbitrale in data 15.1.97;

condannava il movimento per la giustizia a pagare alla Telecom Italia la somma di L. 870.000 pari ad Euro 449,32. A seguito dell’appello del P. e del Movimento, costituitisi gli enti intimati, la Corte d’Appello di Milano, con la decisione in esame n. 869 depositata in data 3.4.2008, così pronunciava: "in parziale accoglimento dell’appello proposto da P.G.P. e Movimento per la Giustizia Robin Hood avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Milano il 17.5 -11.7.2002; visti gli artt. 53, 50 bis, 225 c.p.c. dichiara la nullità di tale sentenza; dichiara inammissibili le domande di accertamento e di risarcimento del danno proposte dagli appellanti, nonchè le domande riconvenzionali proposte dalla Telecom Italia spa; dichiara l’inammissibilità della querela di falso proposta in via principale dagli appellanti".

Ricorre per cassazione il Movimento, in persona di P.G. P. con sei motivi; resistono con controricorso Telecom e il Ministero. La Telecom ha altresì depositato memoria.
Motivi della decisione

Con il primo e secondo motivo di ricorso si deduce, tra l’altro, violazione degli artt. 50 quater, 52, 53, 70, 71 e 72 c.p.c. in quanto "la Corte, al pari del primo giudice, a pena di nullità, aveva quindi l’ineludibile dovere di provvedere, previo formale interpello del legale rappresentante di Telecom Italia e dell’estensore dr. F., all’acquisizione dell’originale del lodo arbitrale, formando processo verbale di deposito nelle mani del cancelliere, alla presenza del P.M. e delle parti, nelle forme indicate dagli artt. 222, 223, onde consentire il compiuto esame dell’atto, nonchè la sua custodia e verificazione della autenticità del contenuto intrinseco e sottoscrizione. Incombenti, tutti, ingiustificatamente trascurati sia in primo che in secondo grado, impedendo in radice qualsiasi esame e verificazione del documento impugnato di falso, nonchè la stessa partecipazione del P.m. all’udienza ex art. 223 c.p.c., che in specie non si è neppure svolta"; inoltre si deduce nullità del procedimento di secondo grado, in relazione alla omessa istruzione della querela di falso e comunicazione degli atti al P.M., previo formale interpello della parte, che, indipendentemente dalla competenza e dall’erronea qualificazione giuridica della querela di falso, intesa come principale, non potevano venire elusi.

Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in ordine alla omessa pronuncia sulla querela di falso, contraddittoriamente qualificata "principale". Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 700, 703 c.p.c. e artt. 1168, 1170 c.c., e relativo difetto di motivazione, in relazione alle reiterate istanze cautelari e possessorie in parte rimaste inesaminate e in parte dichiarate inammissibili o respinte.

Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 1341, 1366, 1375, 1469 bis e ter c.c., stante il divieto a carico del gestore di sospendere il servizio telefonico e risolvere il contratto.

Con il sesto motivo si deduce violazione degli artt. 92 e 96 c.p.c. Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Deve, infatti, precisarsi che la decisione impugnata, al di là del tema di "merito" della presente controversia, incentrata sulle "turbative" poste in essere dalla società telefonica nei confronti del Movimento, si fonda su due rationes decidendi a carattere eminentemente procedurale: la prima riguardante la nullità della sentenza per violazione delle norme in tema di ricusazione da parte del giudice di primo grado (nel punto in cui, tra l’altro, si afferma che "il mancato rispetto di tale ripartizione, conseguente alla decisione da parte del giudice monocratico di una causa che avrebbe dovuto essere trattata e decisa dal collegio, determina, secondo quanto espressamente prevede l’art. 50 quater c.p.c. una nullità da far valere ai sensi dell’art. 161, comma 1 cit., con i motivi di gravame e non rientra tra le tassative ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c.); la seconda avente ad oggetto la disconosciuta rilevanza della querela di falso (ove tra l’altro, si sostiene che "orbene nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, nè nell’espressione dei fatti nè in conclusioni, viene dedotto alcun elemento specifico di falsità ideologica o materiale del lodo. Nelle conclusioni dell’atto vi è la domanda – genericamente alternativa intesa all’accertamento della falsità ideologica o materiale della decisione arbitrale data 15.1.1997 a firma F.E.. Vi è dunque, nella citazione, l’assenza di qualsiasi deduzione degli elementi della pretesa falsità ideologica o materiale dell’atto impugnato di falso").

A fronte di ciò il ricorrente Movimento, con i motivi in esame, prospetta questioni che esulano dalla specificità di dette rationes, e che comunque attengono a profili fattuali e documentali non esaminabili ulteriormente nella presente sede. Tende, infatti, rispettivamente, all’acquisizione del lodo arbitrale, all’attività istruttoria in tema di querela di falso, a prospettare nuovamente istanze cautelari e possessorie, a far rilevare violazione di norme ermeneutiche ed alla erronea gestione delle spese processuali.

Ancora è da rilevare che non risultano ottemperate, in relazione a tale questioni, il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, vale a dire la specifica indicazione degli atti di causa e dei documenti su cui le censure si fondano (in particolare primo, secondo e quinto motivo) e il principio dell’autosufficienza (in particolare terzo e quarto motivo).

Inammissibile infine è l’ultimo motivo sulle spese, rientrando il governo delle stesse (in particolare la risposta compensazione) nel potere discrezionale del giudice di merito.

In relazione alla natura della controversia, sussistono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese della presente fase.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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