Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-03-2011) 07-06-2011, n. 22751 Provvedimento abnorme

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione F.G. avverso l’ordinanza in data 3 novembre 2011 con la quale il Tribunale di Parma, nel corso del procedimento penale per il reato di bancarotta fraudolenta ed altro ha dichiarato inammissibile la richiesta di giudizio abbreviato incondizionato avanzata dall’imputato.

Era accaduto, in precedenza, che alla udienza del 21 luglio 2010 il PM aveva modificato il capo D) già contestato ed aveva altresì elevato imputazione dei capi H bis) (per il reato di bancarotta impropria da reato societario) ed H ter) (per il reato di bancarotta fraudolenta documentale), tutti in riferimento al fallimento della Horus srl, reati peraltro configurati anche come circostanze aggravanti ai sensi dell’art. 219, comma 2, n. 1, L. Fall..

Alla udienza del 6 ottobre 2010 l’imputato aveva avanzato richiesta di rito abbreviato condizionato, evocando il disposto della sentenza della Corte costituzionale n. 333 del 2009.

Il Tribunale dapprima rigettava la richiesta di abbreviato condizionato non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 438 c.p.p., comma 5 quindi, su istanza della difesa, disponeva, onde evitare il determinarsi di una causa di incompatibilità ed al fine di consentire ad altro collegio di pronunciarsi sul tema del rito abbreviato incondizionato richiesto dalla parte, la separazione della posizione del F. limitatamente ai capi H bis e H ter inviando gli atti al Presidente del Tribunale per le determinazioni di sua competenza.

Il 27 ottobre il PM avanzava istanza di revoca della detta ordinanza di separazione sulla quale non si era ancora perfezionato lo stralcio e il 3 novembre il Tribunale provvedeva in conformità, riunendo nuovamente il procedimento stralciato e dichiarando inammissibile la richiesta di rito abbreviato incondizionato avanzata con riguardo ai detti capi H bis e H ter. Infatti si trattava di una richiesta di soli due reati sui tre (nuovamente contestati – H bis e H ter – o comunque modificati – capo D) – e quindi frazionata e come tale inammissibile.

Deduce:

la abnormità della ordinanza impugnata.

Detta abnormità, riguardando una ordinanza di rigetto di richiesta di rito abbreviato incondizionato, era già stata qualificata come abnorme dalla giurisprudenza di legittimità.

Il provvedimento infatti era al di fuori della disciplina del giudizio abbreviato incondizionato, violava le norme dell’ordinamento giudiziario in tema di poteri del capo dell’Ufficio di attribuire il processo al giudice precostituito per legge e sulla competenza del diverso collegio cui la decisione avrebbe dovuto essere demandata.

Inoltre la difesa ritiene errata anche nel merito la decisione di ritenere inammissibile la richiesta di abbreviato "frazionata".

In realtà la giurisprudenza che tale principio aveva enunciato non poteva trovare applicazione nel caso della contestazione suppletiva al dibattimento, posto che per tale ipotesi la rimessione in termine per chiedere lo speciale rito concerne solo i reati oggetto della nuova contestazione.

E per essi l’imputato ha diritto allo sconto di pena.

Non rileva ai fini che ci occupano la natura dei reati contestati quali circostanze aggravanti o come reati autonomi.

Il PG presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso osservando che il presupposto della censura del ricorrente era la irritualità della mancata separazione del processo principale da quello stralciato, mentre è pacifico che i provvedimenti in tema di separazione e riunione dei processi non sono ricorribili per cassazione esulando qualsiasi profilo di abnormità.

In data 7 marzo 2011 è pervenuta una memoria di replica.

Il ricorso è inammissibile.

L’ordinanza dibattimentale del Tribunale, ha ad oggetto una duplice statuizione: quella concernente la riunione del processo in corso ad altro precedentemente stralciato, con conseguente riassunzione del potere di decidere sulla richiesta di rito abbreviato incondizionato avanzata da F.; quella inoltre di decisione vera e propria sulla istanza di rito abbreviato incondizionato, consistente in un rigetto.

L’ordinanza è stata impugnata in quanto presentata come abnorme, non essendo altrimenti impugnabile in via autonoma, per la sua collocazione dibattimentale.

L’abnormità non ricorre però nella specie.

Quanto alla statuizione sulla riunione dei processi, è pacifico in giurisprudenza che trattasi di provvedimento non ricorribile, per il suo carattere meramente ordinatorio (vedi Rv. 231915), tanto più in un caso come quello in esame nel quale la riunione è stata contestuale alla revoca di precedente ordinanza di separazione emessa dallo stesso Tribunale, giudice naturale del processo.

D’altra parte, la separazione della posizione relativa alle due imputazioni era stata motivata dal timore di incorrere in una causa di incompatibilità per la celebrazione del processo principale e non da assenza di competenza a decidere in capo al Tribunale procedente dall’origine, sicchè non si apprezza alcuna abnormità riguardo al provvedimento di revoca della separazione e di riassunzione della precedente investitura, nemmeno sotto il profilo della incompetenza funzionale del Collegio decidente.

In secondo luogo la ordinanza non appare abnorme, per totale estraneità agli schemi procedimentali, neppure per quanto concerne la statuizione di rigetto della istanza di ammissione al rito abbreviato incondizionato.

Invero non è qui in discussione la consolidata giurisprudenza che riconosce come abnorme la decisione del Gup di negare l’accesso al rito abbreviato scelto dall’imputato.

Si tratta infatti di un orientamento che attiene alla previsione contenuta nell’art. 438 c.p.p., norma che regola come diritto potestativo quello, dell’imputato, di ottenere la definizione del processo col rito abbreviato in relazione alla contestazione relativamente alla quale è stata esercitata l’azione penale.

Nelle ipotesi ricomprese dall’art. 438 c.p.p., infatti, viene attribuita all’imputato la facoltà di proporre il patteggiamento sul rito e di deflazionare il carico processuale – in cambio dello sconto sulla pena – accettando di affrontare l’accusa mossagli, nella sua interezza (v. fra le molte, Rv. 235182), sulla base della attività di indagine eseguita dal pubblico ministero e di eventuali integrazioni ritenute necessarie dal giudice.

Ma nel caso della modifica della imputazione e della contestazione suppletiva in dibattimento ( artt. 516 e 517 c.p.p.) non vale automaticamente la stessa previsione di abnormità.

Invero, la sentenza della Corte costituzionale n. 333 del 2009 ha dichiarato la illegittimità parziale dell’ art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente oggetto di contestazione dibattimentale, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell’azione penale; ed altresì dell’art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell’azione penale.

Nel caso di specie il Tribunale ha dato atto che ricorreva tanto la ipotesi dell’art. 516 come quella dell’art. 517 sicchè non vi era ragione per derogare al generale principio della non frazionabilità della richiesta di patteggiamento – deroga pure non esclusa in linea di principio nella citata sentenza della Corte costituzionale – perchè tutti i reati allo stato contestati al F. rientravano nel novero di quelli per i quali l’imputato era rimesso in termine per la richiesta di rito abbreviato.

Si tratta dunque di una decisione che non è affatto avulsa dallo schema procedimentale in tema di accesso al rito abbreviato per imputazioni plurime e dunque esula, anche sotto tale profilo, dal paradigma della abnormità, senza peraltro che per questo siano preclusi gli ordinari strumenti di censura nelle sedi e nei gradi adeguati.

Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in Euro 500.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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