Cass. pen., sez. Feriali 15-09-2008 (02-09-2008), n. 35286 Mandato d’arresto europeo – Consegna per l’estero – Questione di legittimità costituzionale – Estensione in via interpretativa anche allo straniero residente nello Stato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
1.- Con nota del 5.6.2008 (pervenuta il 7.6.2008) il Ministero della Giustizia ha inviato al Presidente della Corte di Appello di Brescia, ufficio giudiziario competente ai sensi della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 5, comma 2, il mandato di arresto europeo emesso il 20.1.2007 dal Tribunale rumeno di Timisoara nei confronti del cittadino rumeno Z.N. (residente in provincia di (OMISSIS)) per l’esecuzione della pena di un anno e sei mesi di reclusione inflittagli per il reato di guida in stato di ebbrezza (commesso il (OMISSIS)) con sentenza definitiva pronunciata il 30.9.2005 dal Tribunale di prima istanza Timisoara (appello rigettato con sentenza 18.1.2006; ricorso rigettato con sentenza 18.5.2006).
La Corte di Appello di Brescia con ordinanza del 10.6.2008, rilevata la presenza nel mandato di arresto di tutti i dati informativi previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 6 ai fini della consegna, rendendosi necessario acquisire soltanto la sentenza penale di condanna emessa dall’autorità giudiziaria rumena nei confronti del reclamato Z. (che nell’audizione resa il 13.6.2008 ha dichiarato di non consentire ad una sua consegna alla Romania senza formalità), ha applicato allo stesso Z. – a norma della L. n. 69 del 2005, art. 9, comma 4 – la misura cautelare della custodia in carcere, eseguita lo stesso giorno 10.6.2008. Misura cautelare che con ordinanza del 17.6.2008 la Corte territoriale ha sostituito con quella dell’obbligo di presentazione bisettimanale alla stazione Carabinieri del luogo di residenza dello Z., tenuto conto della sua lecita presenza in Italia con la famiglia (moglie ed una bambina di tre anni e mezzo), dello svolgimento di una stabile e regolare attività lavorativa subordinata e dell’assenza di precedenti penali e pendenze giudiziarie in Italia.
2.- Con la sentenza resa il 18.7.2008, indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Brescia, ritenutine esistenti tutti i presupposti e le condizioni di legge, ha deliberato – in esecuzione del mandato di arresto europeo – la consegna di Z.N. all’autorità giudiziaria della Repubblica di Romania finalizzata all’espiazione della ridetta pena di un anno e sei mesi di reclusione comminatagli con sentenza irrevocabile rumena. In special modo la sentenza ha evidenziato il prefigurarsi dei requisiti di legittimità della consegna postulati dalla L. n. 69 del 2005, art. 7: il reato di guida in stato di ebbrezza per cui Z. ha riportato condanna in Romania, punito dalla legge penale rumena con pena edittale massima di cinque anni, è previsto e punito come reato anche dalla legge italiana (doppia punibilità).
I giudici bresciani con la decisione hanno affrontato e negativamente risolto tre questioni preliminari sollevate dalla difesa dello Z. siccome pertinenti a potenziali cause ostative alla consegna.
La Corte in primo luogo ha ritenuto manifestamente infondata la proposta eccezione di incostituzionalità della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera s), nella parte in cui la causa di rifiuto della consegna ivi prevista e riguardante la consegna esecutiva di un m.a.e. emesso nei confronti di donna condannata nello Stato di emissione che sia "incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente", non si applica anche al coniuge della consegnanda donna (e padre di prole minore dei tre anni).
Infondatezza che la Corte ha argomentato con l’impossibilità di equiparare la situazione del coniuge a quella della condannata in stato di gravidanza o madre di figli minori di tre anni.
La Corte ha, poi, valutato inesistente la condizione preclusiva della consegna prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 19, lettera a), addotta dalla difesa per essere stato lo Z. giudicato in absentia. Condizione ostativa i cui referenti modali debbono reputarsi (col supporto di più decisioni di legittimità) rispettati nel caso dello Z., dal momento che – come si desume dalle sentenze rumene trasmesse a corredo del mandato di arresto per finalità di esecuzione di pena – il consegnando, pur in posizione processuale di contumacia, ha tutelato le proprie ragioni, coltivando attraverso i difensori tutti i gradi di giudizio consentitigli dall’ordinamento rumeno.
Infine i giudici della consegna hanno escluso potersi applicare allo Z., come sostenuto dalla difesa, l’ipotesi di rifiuto della consegna per fini di esecuzione penale estera prevista dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r), essendo l’ipotesi limitata al solo cittadino italiano e, per ciò, non estensibile allo straniero residente in Italia (al riguardo si osserva nell’impugnata sentenza:
"Le circostanze che Z. sia stabilmente residente sul territorio dello Stato, abbia qui costituito uno stabile rapporto familiare e abbia ugualmente stabile occupazione hanno indotto questa Corte ad escludere il pencolo di fuga e a revocare la misura della custodia in carcere, applicando la minore limitazione della presentazione alla polizia giudiziaria").
3.- Avverso la decisione della Corte territoriale ricorre per Cassazione il difensore di fiducia di Z.N., delineando i motivi di censura come di seguito riassunti per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1. 1. – Violazione di legge in riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 4, comma 2, art. 6 comma 3 e D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18 (T.U. sulla documentazione amministrativa).
Sia il mandato di arresto europeo che le sentenze penali rumene che ne costituiscono il presupposto sono pervenuti al Ministero della Giustizia (che li ha poi trasmessi all’A.G. di Brescia) non dall’autorità giudiziaria rumena richiedente la consegna, ma dal Ministero dell’Interno, che a sua volta ha ricevuto tali documenti "senza specificazione della provenienza" e li ha ritrasmessi "via fax in forma non autentica". Siffatti descritti passaggi del materiale documentario (il m.a.e. risulta inviato dall’ufficio Interpol di Bucarest e non dall’autorità giudiziaria rumena) non consentono di assumere la conformità dei trasmessi atti ai loro rispettivi originali e non consentono di ritenere accertata l’autorità richiedente. Ciò in violazione non soltanto delle menzionate disposizioni della legge italiana attuativa dell’istituto del mandato di arresto europeo, ma anche della più generale disciplina della formazione delle copie autentiche di atti pubblici (D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18). La decisione favorevole alla consegna della Corte di Appello di Brescia si fonda, quindi, su atti che non garantiscono la provenienza dall’autorità emittente e impediscono di ritenerne la conformità agli originali; evenienze che impongono l’annullamento dell’impugnata decisione.
2. – Violazione di legge in riferimento al combinato disposto del L. n. 69 del 2005, art. 18 – lettera r) -, art. 4 – punto 6 – della decisione quadro n. 584/2002/G.A.I. del Consiglio dell’Unione Europea del 13.6.2002, artt. 10 e 117 Cost..
La decisione quadro n. 584 del 2002 sul mandato di arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati membri adottata dal Consiglio della U.E. ai sensi dell’art. 34, comma 2 – lett. B), del Trattato sull’Unione Europea è munita di una efficacia normativa assimilabile a quella delle direttive previste dall’art. 249 comma 3 del Trattato istitutivo della Comunità Europea. Efficacia che, secondo il ricorrente, è scandita dalla regola della c.d. "applicabilità verticale" in caso di loro mancata, insufficiente o non corretta attuazione, sempre che esse direttive siano incondizionate e sufficientemente precise. In ogni caso, si aggiunge in ricorso, alle decisioni quadro va applicato il canone della "interpretazione conforme" in analogia con quanto previsto dall’art. 10 del Trattato C.E. per gli strumenti normativi comunitari. Regola implicante che il giudice nazionale deve prendere in considerazione il diritto interno per valutare se la norma considerata possa essere interpretata in senso conforme al risultato perseguito dalla decisione quadro, con l’unico limite dell’impossibilità di una interpretazione contra legem del diritto interno. Nei casi di accertata incompatibilità tra questo e la decisione quadro e di impossibilità di una sua applicabilità diretta ne consegue una illegittimità costituzionale ex artt. 10 e 117 Cost., trovando tutela in tali norme l’esigenza di coerenza dell’ordinamento interno con l’ordinamento comunitario.
Calando questi illustrati principi nell’analisi di comparazione endocomunitaria della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), che circoscrive al solo cittadino italiano il rifiuto di consegna in ottemperanza ad un m.a.e. con finalità di esecuzione penale di condanna irrevocabile pronunciata nello Stato emittente, il ricorrente osserva che la disposizione in parola non può ritenersi conforme alle previsioni della decisione quadro. Questa, dopo aver elencato all’art. 3 tre casi di non esecuzione obbligatoria del m.a.e., prevede con l’art. 4, che si riferisce o rivolge (al pari del precedente art. 3) alla "autorità giudiziaria dell’esecuzione", casi di non esecuzione facoltativa del m.a.e., in particolare precisando con il punto 6) che l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione "può rifiutare" di eseguire il m.a.e. rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà, "qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno".
La L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), nel limitare il motivo di non esecuzione della consegna (rifiuto) al solo cittadino, confligge con la menzionata disposizione della decisione quadro (art. 4, punto 6). E la conferma di tale tesi, ad avviso del ricorrente, può rinvenirsi in una recente decisione della Corte di Giustizia della Comunità Europea, la sentenza emessa il 17.7.2008 nella procedura C- 66/08 intestata a S.K.. Adita da una istanza di interpretazione pregiudiziale dell’autorità giudiziaria tedesca volta alla definizione della esatta latitudine delle nozioni di dimora e di residenza adottate dalla decisione quadro n. 584/2002- GAI, la Corte di Giustizia Europea – prima di delineare le condizioni definitorie dello stato di dimora o di residenza e di indicare taluni momenti di collegamento con lo Stato membro di esecuzione idonei a distinguere le due categorie concettuali – ha formulato talune puntualizzazioni, che il ricorrente reputa di particolare importanza.
La Corte di Giustizia ha, tra l’altro, precisato: "…Secondo l’art. 4, punto 6, della decisione quadro, l’ambito di applicazione di tale motivo di non esecuzione facoltativa è circoscritto alle persone che, se prive della cittadinanza dello Stato membro di esecuzione, vi dimorino o vi risiedano..", "…E’ importante sottolineare che il motivo di non esecuzione facoltativa mira segnatamente a permettere all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena per cui essa è stata condannata".
La sentenza Kozlowsky della Corte di Giustizia europea induce a ritenere "superato" l’orientamento espresso da questa Corte regolatrice, secondo cui l’art. 4, punto 6, della decisione quadro 584/2002-GAI del Consiglio U.E. facoltizzerebbe e non obbligherebbe gli Stati membri dell’Unione ad estendere agli stranieri dimoranti o residenti nello Stato di esecuzione le garanzie riconosciute al cittadino ai fini della consegna (rifiuto) richiesta mediante un m.a.e. di uno Stato comunitario. La sentenza della C.G.E. renderebbe palese, sostiene il ricorrente, che "gli Stati sono obbligati a prevedere nella loro legislazione interna tale motivo di rifiuto facoltativo, risultando la facoltatività riferita al potere dell’autorità giudicante in relazione alle risultanze del caso concreto", poichè – continua il ricorrente – "non si verte di un’opzione discrezionale propria del legislatore, ma dell’obbligo del legislatore stesso di conformare le norme interne al diritto comunitario". Se ne inferisce, dunque, che la disposizione dettata dall’art. 4, punto 6), della decisione quadro, incondizionata e sufficientemente precisa, deve trovare "immediata applicazione con conseguente integrazione della normativa italiana". La limitazione normativa interna del rifiuto di consegna al solo cittadino (L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. r) si risolve in una "parziale inattuazione" della decisione quadro.
La Corte di Appello di Brescia avrebbe, per tanto, dovuto applicare la decisione quadro, operando tutte le valutazioni dirette a verificare (secondo le indicazioni esemplificative della sentenza Kozlowsky) l’esistenza dei "collegamenti" accreditanti la stabile "residenza" in Italia del reclamato Z.N..
3. – Con cosiddetto "motivo aggiunto" esposto in limine nel corso della odierna udienza di trattazione il difensore del ricorrente ha inteso riproporre la questione dell’incostituzionalità della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera s), laddove esclude l’estensione del rifiuto di consegna all’uomo condannato attinto da un m.a.e. con finalità di esecuzione penale che sia coniuge di una donna incinta o madre di figli minori dei tre anni. I parametri di riferimento della eccepita incostituzionalità del detto art. 18, lettera s), vanno individuati per il difensore – congiuntamente o alternativamentenegli artt. 2, 3, 10, 29 e 30 Cost. In sintesi, poichè le disposizioni che prevedono un regime di particolare favore anche in sede penale, esecutiva o processuale, per la donna in stato di gravidanza ovvero madre di prole infratreenne sono ispirate – più che dall’esigenza di tutelare direttamente la donna o madre in sè – dall’esigenza di tutelare il bambino o il nascituro e assicurarne un normale e non traumatico sviluppo psico-fisico, in una età scandita da una peculiare fragilità e dipendenza emotiva del bambino;
esigenza che può essere efficacemente fronteggiata, per la funzione che le è propria, dalla madre. Ma che in uguale misura, assume il ricorrente, se siffatta tutela dei bisogni primari del bambino deve essere piena, non può non estendersi a prevedere la congiunta presenza del padre accanto alla madre, proprio al fine di radicare nel bambino la percezione di un nucleo familiare stabile e fonte di sicurezza. In tale prospettiva non vi è ragione logica (ragionevolezza) perchè il padre non possa godere dello stesso trattamento di favore riservato alla madre del bambino. Tanto più quando, come avviene nel caso di Z.N., costui sia l’unica fonte di reddito della moglie e della sua bambina e l’unico punto di riferimento nella gestione della vita familiare.
Il ricorso proposto nell’interesse di Z.N. non può trovare accoglimento e deve essere rigettato, dal momento che la riproposta eccezione di incostituzionalità ed il primo motivo di ricorso sono manifestamente infondati e che il secondo motivo di ricorso è privo di giuridico pregio.
4.- La questione dell’addotta incostituzionalità della causa di rifiuto della consegna individuata dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera s), è manifestamente infondata per le medesime ragioni già ellitticamente evidenziate in sentenza dalla Corte di Appello di Brescia, innanzi alla quale l’eccezione è stata già sollevata, vale a dire per la palese non equiparabilità della situazione del coniuge/padre di un nascituro ovvero di un bambino minore degli anni tre a quella della donna (cittadina o straniera) che sia incinta o madre di un bambino di età inferiore ai tre anni.
In verità la questione sollevata dal difensore dello Z. si profila ai margini di una preliminare irrilevanza. Nella misura in cui vi è ragione di dubitare che nel caso di specie possa trovare spazio la situazione di rifiuto di consegna, rispetto alla quale lo Z., si reputa scriminato in violazione – tra l’altro – del principio costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., e art. 29 Cost., comma 2. La figlia del consegnando ha, infatti, superato i tre anni di età (stato di famiglia in atti), si che residua l’alternativa della gravidanza materna. Circostanza che la difesa ha enunciato, non ottemperando tuttavia al connesso onere di allegazione documentale. Onere verosimilmente già adempiuto davanti alla Corte di Appello, se tale giudice ha ritenuto la rilevanza della proposta questione di incostituzionalità della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera s).
Ad ogni buon conto la causa ostativa alla consegna prevista dalla legge attuativa del m.a.e., non contemplata dalla decisione quadro del Consiglio dell’U.E. n. 584/2002 in tema di Giustizia e Affari Interni (GAI), trova la propria fonte in una risalente e costante disciplina normativa dell’ordinamento penale italiano, sia in fase esecutiva (art. 146 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 – e art. 147 c.p., – comma 1, n. 3 -: rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena nei confronti, rispettivamente, di donna incinta e/o madre di bambino di età inferiore ad un anno ovvero di madre di bambino di età inferiore a tre anni), sia in fase procedimentale (art. 275 c.p.p., comma 4, da cui la L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. s, mutua il sintagma descrittivo della situazione di rifiuto di consegna:
"donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente").
E’ di tutta evidenza che le peculiari guarentigie, esecutive e procedimentali, che ne limitano la condizione detentiva, riconosciute alla donna che versi in gravidanza o sia madre di un infante minore dei tre anni rispondano – come afferma il ricorrente – all’esigenza di tutelare il bambino o il nascituro, piuttosto (o non soltanto) che la maternità, ma tale tutela è – per scelta insindacabile del legislatore nient’affatto irragionevole, stante l’assoluta peculiarità del rapporto madre/figlio in tenera età – circoscritta alla sola madre, in ragione dell’affettività e delle cure che unicamente costei è in grado di assicurare al bambino (e al nascituro) e che non possono essere surrogate dalla figura paterna.
L’indiretto riscontro della ratio legis su cui è strutturato il diverso trattamento riservato in materia all’uomo (padre di infratreenne o coniuge di donna incinta) e alla donna (incinta o madre di infratreenne), incentrata sulla ragionevole insostituibilità del ruolo materno (e, per ciò stesso, la riprova della manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata nell’interesse dello Z.) è offerta proprio dal menzionato art. 275 c.p.p., comma 4.
Laddove la norma estende, in sede di detenzione cautelare, la speciale tutela escludente la detenzione carceraria anche al padre, ma la relega nella sola ipotesi che la madre sia deceduta o si trovi in condizioni di assoluta impossibilità di "dare assistenza alla – prole". 5.- La doglianza esposta con il primo motivo di ricorso, inerente alla carenza di prova dell’autenticità originaria dei documenti costitutivi della procedura passiva di consegna instaurata in Italia da un m.a.e. emesso da altro Stato comunitario (mandato di arresto e provvedimenti giudiziari presupposti), è palesemente infondata.
Questo collegio giudicante non ritiene, infatti, che si profilino ragioni per discostarsi da un ormai stabile indirizzo della giurisprudenza di questa S.C. (sancito anche da recente decisione delle Sezioni Unite penali), secondo cui – proprio in conformità alle ragioni di speditezza e di reciproca affidabilità interstatuale e di limitato formalismo che caratterizzano il "nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate" (cfr.
5 Considerando d.q. 584/2002/GAI – 13.6.2002 del Consiglio U.E.)- non si rende necessaria (non essendo, per altro, prevista da specifiche norme della L. n. 69 del 2005), una acquisizione dei documenti in forma autenticata ovvero una loro trasmissione con modalità tecniche dotate di attestazione certificativa (v.: Cass. Sez. 6, 8.5.2006 n. 16542, Cusini, rv. 233547: "In tema di mandato di arresto europeo, non costituisce presupposto per l’ammissibilità di una pronuncia positiva alla consegna l’acquisizione dell’originale o di copia autentica del mandato di arresto europeo. Ne consegue che, se non sorgono difficoltà relative all’autenticità dei documenti ricevuti dall’autorità giudiziaria italiana…è sufficiente anche una copia del mandato di arresto trasmessa via fax"; Cass. S.U., 30.1.2007 n. 4614, Ramoci, rv. 235347).
6.- Non sono fondate le considerazioni critiche sviluppate con il secondo motivo di ricorso in ordine alla difformità della previsione di rifiuto di consegna dettata dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), rispetto alle regole generali delineate nella decisione quadro 584/2002-GAI del Consiglio della U.E., con specifico riguardo alla mancata attuazione della statuizione di cui all’art. 4, punto 6), della decisione quadro, che rimetterebbe all’autorità giudiziaria dell’esecuzione – e non allo Stato membro di esecuzione – la facoltà di rifiutare la consegna con fini di esecuzione penale di un cittadino, di un residente o di un dimorante nello Stato.
La limitazione del rifiuto di consegna al solo cittadino, che la legislazione italiana sul m.a.e. ha trasposto nell’ordinamento interno in forma di rifiuto obbligatorio, non elude nè si pone in contrasto con la decisione quadro sul punto. Non foss’altro perchè l’autorità giudiziaria italiana (Corte di Appello) rimane titolare di un discrezionale e residuale potere decisorio nel deliberare l’eseguibilità in Italia della pena oggetto del m.a.e. in conformità al diritto interno italiano.
Le considerazione critiche del ricorrente, nel focalizzare l’efficacia precettiva diretta per l’autorità giudiziaria italiana del disposto dell’art. 4, punto 6), della decisione quadro paiono muovere da un equivoca abduzione sul valore e la cogenza delle fonti normative comunitarie nell’ordinamento interno nazionale. Di tal che non sembra inutile operare una rapida ricognizione di dette fonti comunitarie e delle loro rispettive connotazioni.
Al primo posto nella gerarchia delle fonti si situano, come ovvio, le norme dei trattati istitutivi, adottati con il consenso di tutti gli Stati membri (Trattato dell’Unione Europea – TUE; Trattato delle Comunità Europee – TCE), che possono produrre effetti diretti non solo tra gli Stati membri, ma anche all’interno degli ordinamenti statali, se sufficientemente chiare, precise e incondizionate, non subordinate – cioè – all’emanazione di atti positivi di diritto interno. Nel senso che tali norme possono introdurre a favore dei singoli (persone fisiche e giuridiche) posizioni giuridiche soggettive direttamente tutelabili davanti ai giudici nazionali.
Seguono nella tipologia delle fonti normative gli atti di diritto comunitario c.d. derivato, la cui casistica è formata -secondo l’elencazione offertane nell’art. 249 Trattato C.E.- dai seguenti atti: regolamenti ("Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati Membri"); direttive ("La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi"); decisioni ("La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatavi da essa designati"); raccomandazioni e pareri ("Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti").
L’art. 249 TCE non contempla le decisioni quadro, previste per settori specifici, tra cui quello della cooperazione giudiziaria in materia penale. Pur inscrivendosi sul piano formale o tecnico nel novero delle decisioni (atti normativi vincolanti di portata individuale, siccome rivolti agli Stati o a determinate categorie di soggetti privati), le decisioni quadro mutuano le proprie connotazioni di efficacia dalle direttive, cui sono in linea di massima assimilabili.
Nel titolo 6, del Trattato U.E. recante disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale con l’art. 34 viene attribuita al Consiglio dell’Unione il potere di adottare "decisioni quadro per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri". Lo stesso art. 34 TUE chiarisce dinamica ed efficacia precettiva delle decisioni quadro, stabilendo che: "Le decisioni quadro sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi;
esse non hanno efficacia diretta". Al pari delle direttive, dunque, le decisioni quadro -come la nota d.q. 584/2002/GAI sul m.a.e.- possiedono effetti vincolanti per i soli Stati membri cui sono dirette per quel che concerne gli obiettivi da raggiungere, lasciandoli liberi nella scelta delle forme e dei mezzi per raggiungerli. Diversamente dai regolamenti comunitari non hanno portata generale (se non nel senso che possono rivolgersi a tutti gli Stati membri), limitandosi ad imporre degli obblighi di "risultato" agli Stati membri destinatari, i quali rimangono titolari del potere normativo nella materia attinente all’obiettivo da perseguire, mentre l’Unione Europea si fa carico della armonizzazione delle discipline nazionali nel determinato settore d’interesse.
In altri termini le decisioni quadro costituiscono uno strumento di normazione indiretta o bipolare (una sorta, in senso lato, di leggequadro), mediante cui non si impongono regole uniformi (che sarebbero ostacolate dal disagevole coordinamento delle diversità, talora notevoli, esistenti nei singoli ordinamenti nazionali), privilegiandosi invece l’attivazione di schemi di collaborazione tra il livello comunitario e quello nazionale. In un contesto in cui gli Stati membri rimangono liberi di determinare in autonomia le modifiche da apportare alla propria normativa interna per renderla conforme al risultato avuto di mira dalla decisione quadro, con tutela delle loro esigenze e specificità nazionali, pur nel rispetto dell’unità del diritto comunitario. Rivolgendosi soltanto agli Stati membri, le decisioni quadro sono necessariamente prive del carattere della diretta applicabilità, poichè debbono essere rese oggetto di provvedimenti (normativi) nazionali di recepimento o trasfusione.
Dall’esposto quadro sinottico è facile dedurre che sbaglia il ricorrente quando ipotizza l’efficacia diretta (cogenza) nell’ordinamento nazionale delle disposizioni della d.q.
584/2002/GAI, disposizioni che non creano alcuna posizione giuridica soggettiva individuale azionabile innanzi all’autorità giudiziaria interna, che è unicamente vincolata all’osservanza della disciplina legislativa dettata dal proprio Stato in attuazione della decisione quadro. Dal difetto di "efficacia diretta" della d.q. 584/2002/GAI, fissata dall’art. 34 TUE discende che sbaglia ancora il ricorrente allorchè, attribuendo alla decisione quadro l’improprio connotato di una legge-quadro in senso tecnico ovvero (ancor più impropriamente) di una legge-delega, caratteri che sono – come visto – del tutto estranei alla decisione quadro ed alla "elasticità" delle sue proiezioni normative, evoca scenari di potenziale incostituzionalità della limitazione al solo cittadino del rifiuto di consegna tipizzato dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), richiamandosi all’art. 117 Cost..
Il divieto di consegna per fini di esecuzione penale del cittadino e non anche dello straniero residente o dimorante in Italia è il risultato di una opzione che il legislatore italiano ha legittimamente compiuto, giacchè la decisione quadro non incide in forma diretta sull’autonomia dispositiva (normativa) dei legislatori nazionali nel dare attuazione interna agli indirizzi dalla stessa decisione postulati nel rispetto delle particolari esigenze o specificità di ciascun ordinamento nazionale. Ciò che rileva – nella progettualità comunitaria della massima valenza del "principio di riconoscimento reciproco" tra gli Stati membri quale fondamento della cooperazione giudiziaria (v. 6 Considerando d.q. 584/2002/GAI)- è che attraverso il contributo normativo interno dei singoli Stati si dia corpo al "sistema semplificato di consegna", di cui l’istituto del mandato di arresto europeo diviene l’epifanica espressione. Con la L. 22 aprile 2005, n. 69 l’Italia ha assolto il proprio obbligo di "risultato" in piena conformità alla decisione quadro. D’altro canto giova sottolineare che, al di là della regola generale dettata dall’art. 34 TUE sulla necessità di atti interni attuativi di una decisione quadro ("salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi"), regola che sarebbe stata comunque applicabile, la decisione quadro 584/2002/GAI contiene una espressa riserva di normazione interna (art. 34, comma 1 d.q.: "Gli Stati membri adottano le misure necessarie per conformarsi alle disposizioni della presente decisione quadro"). Il compito di conformarsi alla decisione quadro è stato appunto esaustivamente adempiuto dallo Stato italiano con la L. n. 69 del 2005.
All’illustrata proiezione ermeneutico-ricostruttiva non fa velo, diversamente da quel che suppone il ricorrente, la menzionata sentenza Kozlowsky 17.7.2008 della Corte di Giustizia della Comunità Europea. Decisione che si limita a indicare alcuni connotati modali e spazio-temporali che siano in grado di dare contenuto alla generica nozione di residenza impiegata dall’art. 4, punto 6), della decisione quadro, ma non propone alcuna lettura o interpretazione autentica di obbligatorio assorbimento nella legislazione degli Stati membri estranei al dictum della Corte. Di tal che nulla da detta sentenza può dedursi in merito alla problematica della legittimità della limitazione al solo cittadino del rifiuto della consegna per esecuzione di pena prescelta dal legislatore italiano. Del resto non può obliterarsi che la decisione della CGCE è stata resa quale pronuncia "in via pregiudiziale" nei termini descritti dall’art. 35, commi 1 e 2, TUE, vale a dire come una pronuncia interpretativa (del testo) della decisione quadro sollecitata dallo Stato membro della Repubblica Federale Tedesca. Prevedendo la legge tedesca attuativa del m.a.e. il rifiuto di consegna per il cittadino ed altresì per il residente, la Corte di Appello di Stoccarda (investita da un m.a.e. esecutivo polacco nei confronti di K.S., cittadino polacco dimorante in Germania) ha ritenuto di adire la Corte di Giustizia europea con istanza di pronuncia pregiudiziale (procedura speciale esperibile, previa dichiarazione resa alla firma del Trattato U.E. modificato ad Amsterdam, dallo Stato membro;
dichiarazione a suo tempo effettuata dalla Germania) al fine di ottenere una interpretazione o ipotesi di interpretazione sulla estensione e la natura della nozione di residenza cui rinvia l’art. 4, punto 6, della decisione quadro sul m.a.e. La Corte di Giustizia ha fornito risposta al quesito (indicando referenti e collegamenti del concetto di residenza), ma nulla ha detto in via generale sulla correttezza o meno delle normative nazionali attuative della decisione quadro in tema di rifiuto di consegna.
In relazione ai descritti natura, limiti ed effetti della decisione quadro 584/2002/GAI può, dunque, affermarsi che nessuna inosservanza o distonia rispetto al dettato della decisione quadro in punto di rifiuto della consegna è ravvisabile nel disposto della L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), atteso che – va ripetuto – sono soltanto gli Stati membri della U.E. i destinatari delle direttive della decisione quadro e che le stesse non possiedono valenze impositive o cogenti in ragione degli ampi margini di autonomia normativa riconosciuti ad ogni Stato nel dare attuazione alla decisione quadro.
Del resto non può sottacersi, a conferma di tale assunto, che lo stesso tenore letterale dell’art. 4, punto 6), d.q. consente di riconoscere un’ampia autodeterminazione decisoria ai singoli legislatori nazionali. La direttiva o indicazione comunitaria, infatti, enuncia ipotesi di rifiuto facoltative (motivi di non consegna facoltativi) eventualmente da rimettere all’autorità giudiziaria interna. E’ ovvio che tale autorità giudiziaria non può considerarsi direttamente facoltizzata a scegliere le opzioni di rifiuto dalla decisione quadro, ma in tanto lo diviene, se ed in quanto lo Stato membro traduca in una specifica disposizione interna la decisione quadro, sì che è lo Stato membro ad avere la possibilità di prevedere e disciplinare al proprio interno gli eventuali casi di rifiuto di consegna. Con l’ulteriore inferenza che lo Stato destinatario della decisione quadro ben potrebbe decidere di non introdurre nel proprio ordinamento nessuna delle ipotesi di rifiuto facoltativo di consegna. Eventualità che, paradossalmente, giammai potrebbe addursi quale inosservanza dei dettami della decisione quadro. Viceversa il legislatore italiano ha ritenuto di introdurre il possibile rifiuto di consegna, rendendolo obbligatorio e – nell’esercizio della piena libertà di scelta conferitagli sul tema dalla decisione quadro – circoscrivendolo al solo cittadino.
Scelta di politica criminale rispondente ad esigenze del proprio ordinamento ed a canoni di valutazione discrezionale immuni da possibili censure di irragionevolezza.
Ove non bastasse, è dato rinvenire un esemplare riscontro alla conclusione che la previsione del rifiuto di consegna esecutiva per il (solo) cittadino non si pone in contrasto con la decisione quadro e non ne vulnera la compiutezza attuativa, così sgombrando il campo da ogni possibile effetto precettivo "verticale" della decisione quadro (pur evocato nel ricorso), che – solo – potrebbe verificarsi nell’astratto caso di inattuazione della decisione quadro, nel senso che le previsioni di questa potrebbero essere fatte valere dai soggetti privati interessati nei confronti dello Stato inadempiente.
Riscontro offerto dalle modalità con cui ciascuno Stato membro della U.E. ha dato applicazione al disposto dell’art. 4, punto 6), della decisione quadro. Il panorama è dei più variegati. Innanzitutto un gran numero di Stati ha traslitterato nella propria normativa interna di attuazione della decisione quadro in forma di rifiuto obbligatorio i motivi di non consegna facoltativa al pari di quanto fatto dall’Italia. Di poi, con altrettanta varietà, alcuni Stati hanno limitato il rifiuto al solo cittadino, altri Stati lo hanno esteso anche a soggetti residenti. Laonde, se la tesi dell’incensurabilità dell’estensione del rifiuto di consegna di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r), operata dal legislatore in riferimento al solo cittadino e non pure allo straniero residente (o dimorante) espressa nel corso della presente analisi non fosse corretta, dovrebbe giungersi alla ben singolare conclusione che quasi nessuno degli Stati della U.E. ha dato puntuale esecuzione interna al dettato dell’art. 4, punto 6), della d.q. 584/2002/GAI. Conclusione a dir poco paradossale ed incongrua.
In definitiva, dunque, deve convenirsi che – diversamente da quel che si sostiene nel ricorso – l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, secondo cui gli Stati membri non sono obbligati ad estendere – nelle rispettive norme interne – agli stranieri residenti o dimoranti le garanzie riconosciute ai propri cittadini in tema di rifiuto di consegna per fini esecutivi, è ben lungi dal potersi considerare "superato", dovendo anzi in questa sede essere nuovamente ribadito (Cass. Sez. Fer., 4.9.2007 n. 34210, Dobos, rv. 237055;
Cass. Sez. 6, 16.4.2008 n. 16213, Badilas, rv. 239721; Cass. Sez. 6, 25.6.2008 n. 25879, Vizitiu, rv. 239946).
Legittima e corretta è, per tanto, l’impugnata sentenza con cui la Corte di Appello di Brescia ha negato al consegnando cittadino rumeno Z.N. il beneficio dell’estensione (disapplicativa o analogica) del rifiuto di consegna previsto per il cittadino italiano dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, lettera r). Un diverso esito decisorio nell’applicare la disposizione in parola (norma, per altro, di stretta interpretazione insuscettibile di esiti analogici) non sarebbe stato possibile perchè contra legem, pur non obliterandosi l’umanamente comprensibile situazione di disagio dello Z. nel vedersi consegnare al proprio Paese per espiarvi una pena detentiva, pur avendo stabilito in Italia (anche se non da molto tempo) la sede della famiglia e della propria attività lavorativa. Situazione, tuttavia, non priva di eventuali sviluppi alternativi, dal momento che rimane allo Z. la possibilità di richiedere all’autorità della Repubblica di Romania di essere ammesso ad espiare la pena in Italia secondo le previsioni della convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate adottata a Strasburgo il 21.3.1983 (ratificata dall’Italia con L. 11 agosto 1988, n. 188).
A cura della cancelleria saranno eseguite le comunicazioni di rito di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si comunichi al Ministro della Giustizia. Motivazione riservata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *