T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 08-06-2011, n. 1464 Cessione di alloggio popolare ed economico in proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, notificato il 21 luglio 2009 e depositato il 31 luglio successivo, gli esponenti hanno impugnato gli atti in epigrafe specificati, deducendone la illegittimità sotto più profili.

Essi riferiscono, in particolare, di essere figli ed eredi del sig. P.C. il quale, in data 26.02.1978, avrebbe sottoscritto col Comune di Parabiago (da ora anche solo il Comune) la convenzione (All. n. 3 all’atto rep. 6364 dell’anno 1978/SC) per la disciplina del rapporto scaturente dall’assegnazione in proprietà di un lotto ricompreso nel Piano per l’edilizia economica e popolare (da ora anche solo p.e.e.p., approvato con d.M. 28.02.1966 n. 340).

Dette aree sarebbero state, dapprima, individuate dal Comune, con d.C.C. n. 87 del 13.07.1973 e n. 183 del 18.12.1974, e successivamente poste in vendita, con bando approvato con d.C.C. n. 54 del 20.05.1977, a seguito del quale è risultato assegnatario del lotto di terreno n.29 il sig. C.P..

L’art. 13 della su citata convenzione avrebbe disciplinato l’ "alienazione dell’alloggio costruito su area p.e.e.p. ceduta in proprietà", richiamando il contenuto dei commi 15°, 16°, 17° e 19° dell’art. 35 della legge n. 865/1971.

In seguito, stipulato il contratto di acquisto del lotto, il sig. C.P. avrebbe ottenuto la concessione edilizia ed edificato il fabbricato, richiedendo in data 30.01.1981 in Comune il "permesso di abitabilità".

Nel 1999, in seguito al decesso del sig. P.C., gli eredi qui ricorrenti avrebbero, dapprima, seguitato ad abitare l’immobile, indi, nel 2008, avrebbero individuato un potenziale acquirente del bene con il quale, il 20.05.2009, avrebbero stipulato un contratto di compravendita.

Quest’ultima attività negoziale avrebbe, però, provocato l’emanazione – da parte del Comune – degli atti in questa sede impugnati, assunti sul duplice presupposto:

a) che la cessione avrebbe dovuto essere accompagnata dalla corresponsione di una somma a titolo di conguaglio al Comune e:

b) che la stessa non avrebbe potuto, comunque, intervenire prima del decorso di 20 anni dal rilascio del certificato di abitabilità, certificato che nel caso di specie non risulterebbe conseguito dagli istanti.

Si sono costituiti il Comune, il Ministero e l’Agenzia intimati.

L’Avvocatura erariale, per conto del Ministero e dell’Agenzia, ha depositato memoria il 27.12.2010.

Hanno insistito sulle proprie conclusioni i ricorrenti con memoria illustrativa del 7.02.2011 e con ulteriore replica del 17.02.2011.

Alla pubblica udienza del 10 marzo 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Motivi della decisione

Preliminarmente, il Collegio deve rilevare la parziale inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, con particolare riferimento all’impugnazione della nota comunale n. 0022400 del 25.06.2009 che, recando la mera comunicazione di avvio del procedimento riguardante: la "cessione alloggio in area p.e.e.p. in mancanza di versamento obbligato al Comune di conguaglio dell’area e del rilascio della licenza di abitabilità (ora agibilità)", si rivela priva di natura provvedimentale e, dunque, priva di immediata lesività della sfera giuridica dei ricorrenti.

Passando ad esaminare la restante parte del ricorso, va rilevato come il medesimo gravame, pur prendendo le mosse da una domanda di annullamento di vari atti adottati dal Comune di Parabiago e dall’Agenzia del Territorio, si articoli, poi, in una serie di domande di accertamento, proposte in via gradata (del diritto alla libera commerciabilità dell’immobile o, in subordine, dell’agibilità del medesimo, o, in subordine, della minor somma dovuta a titolo di conguaglio, oltre ad una domanda di condanna al risarcimento danni), sulla cui ammissibilità è doveroso interrogarsi.

In tal senso, è opportuno precisare come, al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva e in mancanza di una norma di carattere generale sull’azione di accertamento (che, come noto, è stata espunta dalla versione definitiva del codice del processo amministrativo), l’azione medesima, che pur compare in varie norme del codice (cfr. art. 31 co. 4°, a proposito delle nullità; art. 34 co. 5°, a proposito della declaratoria di c.m.c.; art. 114 co. 4°, ancora a proposito della nullità per violazione o elusione del giudicato; artt. 121 e 122 a proposito dell’inefficacia del contratto), resta assoggettata a limiti di ammissibilità derivanti, sia dallo sbarramento posto al giudice dalla presenza di poteri amministrativi non ancora esercitati (cfr. l’art. 34, co. 2° c.p.a.), sia dalla necessità di evitare l’aggiramento del termine di decadenza per la proposizione dell’azione di annullamento.

Tali limiti sono naturalmente destinati a venire meno, soltanto ove la controversia concerna posizioni di diritto soggettivo e si collochi, quindi, in un ambito riservato alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.

In tali evenienze, infatti, in cui l’amministrazione non agisce nell’esercizio di poteri autoritativi ma in una situazione di parità col privato, è ben possibile l’accertamento del rapporto giuridico intercorrente fra le parti, con le rispettive posizioni di dirittoobbligo.

Ebbene, avendo riguardo al caso in esame, il Collegio ritiene di poter accedere all’impostazione di parte ricorrente, volta a ricondurre la controversia che qui ci occupa nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

È sufficiente notare, al riguardo, come l’odierna controversia attenga all’esecuzione di una convenzione attuativa di un Piano per l’edilizia economica e popolare e sia, pertanto, catalogabile come accordo integrativosostitutivo di provvedimento amministrativo, riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. a) n. 2) del c.p.a. (che riproduce in sostanza il precedente art. 11, u.co. della legge n. 241/1990; cfr., fra le tante, Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 2568 del 04052010).

Il fulcro della tesi ricorrente fa leva, in sostanza, sulla sopravvenuta inefficacia dell’art. 13 della Convenzione intervenuta nel 1978 fra il Comune di Parabiago e il dante causa degli odierni ricorrenti, a seguito della parziale abrogazione dell’art. 35 della legge n. 865/1971 ad opera della legge n. 179 del 17.02.1992.

Nello specifico, il patrocinio ricorrente sottolinea come la cit. Convenzione avrebbe ripreso l’art. 35, commi 15° e ss. della legge n. 865/1971, nel testo vigente all’epoca della stipulazione della convenzione stessa, tant’è che le relative clausole (all’art. 13 cit.) così disporrebbero:

– "…l’alloggio costruito non può essere alienato a nessun titolo, nè su di esso può costituirsi alcun diritto reale di godimento per un periodo di tempo di 10 anni dalla data del rilascio della licenza di abitabilità "(così il comma 1° lett. a della convenzione, corrispondente al comma 15° della legge n. 865);

– "…decorso tale periodo di tempo, l’alienazione o la costituzione di diritti reali di godimento può avvenire esclusivamente a favore di soggetti aventi i requisiti per la assegnazione di alloggi economici e popolari, al prezzo fissato dall’ufficio tecnico erariale, tenendo conto dello stato di conservazione della costruzione, del valore dell’area su cui essa insiste, determinati ai sensi dell’art. 16 della legge 865 e prescindendo dalla loro localizzazione, nonchè del costo delle opere di urbanizzazione posto a carico del proprietario" (così la lett. b della convenzione, corrispondente in sostanza al comma 16° della l.cit.).

– "…dopo 20 anni dal rilascio della licenza di abitabilità, il proprietario dell’alloggio può trasferire la proprietà a chiunque o costituire su di essa diritto reale di godimento, con l’obbligo di pagamento a favore del comune, se a suo tempo ha ceduto l’area, della somma corrispondente alla differenza tra il valore di mercato dell’area al momento dell’alienazione ed il prezzo di acquisizione a suo tempo corrisposto, rivalutato sulla base delle variazioni dell’indice dei prezzi all’ingrosso calcolato dall’Istituto centrale di statistica. Detta differenza è valutata dall’ufficio tecnico erariale ed è riscossa all’atto della registrazione del contratto dal competente ufficio del registro, che provvede a versarla al comune o consorzio di comuni. La somma è destinata all’acquisto di aree per la costruzione di case economiche e popolari" (così lett. c della convenzione, corrispondente al comma 17° della L.cit.).

Il tutto, con l’avvertenza che:

"…gli atti compiuti in violazione delle disposizioni contenute nei quattro precedenti commi sono nulli. Detta nullità può essere fatta valere dal comune o da chiunque altro vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice" (così lett. e della convenzione, corrispondente al comma 19° della cit. legge).

Ebbene, secondo la difesa ricorrente, la Convenzione non avrebbe fatto proprio il contenuto delle richiamate disposizioni, ma avrebbe semplicemente dato atto della loro conoscenza da parte del privato, in quanto, trattandosi di materia indisponibile, qualunque diversa pattuizione sarebbe stata superata ai sensi degli artt. 1339, 1419 cod.civ. Orbene, prosegue la medesima difesa, la politica legislativa sulla casa sarebbe radicalmente mutata nel corso degli anni, come dimostrato dagli artt. 20, comma 1° e 23, comma 2° della legge 1721992 n. 179 ("Norme per l’edilizia residenziale pubblica", pubblicata nella Gazz. Uff. 29 febbraio 1992, n. 50, successivamente modificata dalla legge n. 84 del 1994).

In base a tali norme, infatti, sarebbe accaduto, da un lato, che: "A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati o locati, nei primi cinque anni decorrenti dall’assegnazione o dall’acquisto e previa autorizzazione della regione, quando sussistano gravi, sopravvenuti e documentati motivi. Decorso tale termine, gli alloggi stessi possono essere alienati o locati" (così art. 20 cit., comma 1°); e, dall’altro, che risultano: "… abrogati i commi quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo e diciannovesimo dell’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 " (così, art. 23 cit., comma 2°).

Il superamento della previgente disciplina di cui ai commi 15° e ss. dell’art. 35 cit. da parte degli artt. 20 e 23 cit. avrebbe avuto inevitabili ripercussioni, sempre secondo la medesima difesa, sulle cessioni di alloggi oggetto di convenzioni stipulate anche prima dell’avvento della legge n. 179/1992, in quanto le previsioni di cui alla legge da ultimo citata si sarebbero automaticamente sostituite a quelle delle disposizioni abrogate nell’ambito delle relative convenzioni. Conseguentemente, nessuna limitazione avrebbe più potuto essere posta alla circolazione del bene oggetto di convenzione, né alcuna somma avrebbe più potuto essere richiesta dal Comune in concomitanza della cessione dell’alloggio in questione.

Il ricorso è fondato, nei sensi e nei limiti di seguito esposti.

La questione che il giudicante è chiamato a dirimere concerne, nello specifico, la valutazione delle ripercussioni che si sarebbero prodotte, sul contenuto della cit. convenzione attuativa del p.e.e.p., in concomitanza dello ius superveniens.

Taluna delle facoltà in cui normalmente si estrinseca il diritto di proprietà, ovvero quella di alienazione del bene, risulterebbe, infatti, diversamente compressa o limitata, a seconda che si ritenga applicabile il regime a suo tempo previsto dall’art. 35 della legge n. 865/1971 (commi 15° e ss.), oppure, quello successivamente introdotto ad opera della legge del 1992 (con la cit. modifica del "94).

Ebbene, ritiene il Collegio di poter condividere la tesi ricorrente, incline a considerare non più vincolante per le parti la clausola contenuta nell’art. 13 della convenzione, in quanto riproduttiva del testo dei commi 15° e ss. dell’art. 35 cit., successivamente abrogati in forza dell’art. 23 (comma 2°) della legge 1721992 n. 179 ("Norme per l’edilizia residenziale pubblica"), che ha introdotto un nuovo regime giuridico in subiecta materia (in virtù delle modifiche apportate dalla legge n. 85/1994), facendo venire meno i vincoli ultraquinquennali alla libera circolazione degli alloggi di edilizia economica e popolare.

Benché la convenzione del "78 richiamasse il contenuto delle cit. disposizioni della legge n. 865, il carattere imperativo delle disposizioni in questione, destinate per loro natura a prevalere su qualunque altra contraria previsione, in virtù del meccanismo di cui all’art. 1339 cod.civ., induce il Collegio a qualificare il richiamo in questione come rinvio cd. mobile o formale.

Si tratta, com’è noto, di rinvio che non può ritenersi limitato alla formulazione originaria della disposizione, risalente all’epoca in cui esso è stato operato, ma che deve reputarsi esteso alla successive formulazioni della norma richiamata. Ciò, in quanto, pur essendo praticabile nel nostro ordinamento anche il modello del rinvio recettizio, nel settore delle norme imperative (qual è quella di che trattasi) è la tecnica del rinvio mobile o formale che appare più coerente al permanente potere del legislatore di modificare, sostituire o addirittura abrogare il preesistente atto normativo (cfr., in senso analogo per la materia penale, Cassazione penale, sez. VI, 03 novembre 2010, n. 40535).

Consegue da ciò, che si deve ritenere non dovuto all’amministrazione quanto da essa richiesto con la nota comunale del 20.05.2009, recante l’assoggettamento della facoltà di alienazione, in cui si estrinseca il diritto di proprietà dei ricorrenti, al duplice limite rappresentato:

a) dalla richiesta di un conguaglio per 36.000,00 euro; e:

b) dal decorso di un ventennio dal rilascio del certificato di abitabilità per la libera alienabilità del bene.

Si tratta, infatti, di limiti o del tutto eliminati (cfr. per quello sub a), oppure radicalmente modificati (così per quello sub b) dalla normativa sopravvenuta a quella del 1971.

A corroborare una simile conclusione, volta a ritenere non più vincolante per le parti il disposto originario dell’art. 13 della cit. convenzione, soccorre anche l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione (a cui ha fatto riferimento anche la difesa ricorrente), secondo cui:

"In tema di vendita di alloggi di edilizia agevolata, l’art. 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 85, nel modificare l’art. 20, comma 1, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ha liberalizzato, pressoché integralmente, le operazioni di dismissione di tali beni da parte dei proprietari o assegnatari, stabilendo solo il vincolo del rispetto di un termine di mantenimento quinquennale in proprietà (o assegnazione), peraltro derogabile, previa autorizzazione della regione, ove sussistenti gravi, sopravvenuti e documentati motivi. La nuova disciplina è di immediata applicazione, e vale anche per le alienazioni successive alla sua entrata in vigore, ma relative ad alloggi oggetto di convenzioni ed assegnazioni anteriori alla legge 17 febbraio 1992, n. 179, poiché a seguito dell’abrogazione, da parte di quest’ultima, delle più restrittive disposizioni dell’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, sono cadute le clausole, contenute nelle convenzioni tra enti pubblici e cooperative di costruzione di tali alloggi, ispirate alle disposizioni abrogate, ed è venuta meno, per i contratti stipulati in violazione dei limiti di alienazione di cui all’art. 35 della legge n. 865 cit., la nullità prevista da tale norma, non essendo più in vigore il divieto di libera alienabilità postquinquennale."(cfr. Cassazione civile, Sez. I, Sent. n. 26915 del 10112008; nello stesso senso Cass. Civ. Sez. II, sent. n. 24568 del 20112006).

Quanto, poi, al dies a quo per la decorrenza del quinquennio, il Collego ritiene che, in mancanza di un’esplicita indicazione di segno contrario proveniente dall’art. 20 cit., può essere assunta come data certa di riferimento quella della stipulazione dell’atto notarile di trasferimento della proprietà, debitamente registrato, in conformità alle indicazioni provenienti in tal senso dalla delibera G.R. Lombardia del 15 marzo 1994 n.5/49344.

Deve, pertanto, essere accolta la domanda avanzata dai ricorrenti, di accertamento del diritto a compravendere l’immobile di che trattasi, senza la necessità di rispettare il duplice limite riportato nella nota del Comune in epigrafe specificata e riprodotto sopra sub lett. a) e b), essendo decorsi più di cinque anni dal trasferimento della proprietà del bene oggetto di assegnazione.

L’accoglimento della suestesa domanda determina l’assorbimento delle ulteriori domande proposte in via subordinata.

Sulla domanda risarcitoria, infine, il Collegio ritiene che la stessa, avanzata nel ricorso introduttivo ma del tutto sfornita di prova sia sull’an che sul quantum, deve essere senz’altro respinta.

Sulle spese il Collegio, attesa la novità delle questioni affrontate, ritiene sussistano giusti motivi per disporne l’integrale compensazione tra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi di cui in motivazione. Respinge la domanda risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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