Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-03-2011) 07-06-2011, n. 22740 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione G.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, in data 17 marzo 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado (emessa nel 2002), affermativa della sua responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, addebitatogli quale amministratore unico della srl AMC di G.A., dichiarata fallita con sentenza del gennaio 1996.

Veniva contestata e ritenuta la aggravante del danno di rilevante gravita, oltre ad essere ritenuta quella della pluralità dei fatti di bancarotta e venivano negate sia in primo che in secondo grado le circostante attenuanti generiche.

Deduce:

1) il vizio di motivazione quanto al reato di bancarotta documentale affermando che era mancata la prova del dolo specifico ossia della volontà di conseguire un ingiusto profitto e di recare un danno ai creditori:

2) lo stesso vizio con riferimento alla ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale posto che le distrazioni erano state ipotizzate dalla accusa con riferimento alla situazione contabile risultata, invero, del tutto inattendibile.

3) infine il vizio di motivazione e la violazione di legge quanto al diniego delle attenuanti generiche, non essendo rimaste provate condotte dissipatorie e dovendosi invece attribuire rilievo preminente alle difficili condizioni in cui il prevenuto si era venuto a trovare, l’assenza di precedenti penali gravi a suo carico e il buon comportamento processuale.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il primo motivo è destituito di fondamento.

Infatti con esso si lamenta la mancata dimostrazione di un elemento che non è previsto nella struttura della fattispecie contestata.

Invero la giurisprudenza di questa Corte con orientamento ormai pacifico afferma che l’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2, L. Fall., richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari "connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicchè è da escludere che essa configuri il dolo specifico (Rv. 247444;massime precedenti Conformi: N. 31356 del 2001 Rv. 220167, N. 21075 del 2004 Rv. 229321, N. 46972 del 2004 Rv. 230482, N. 24328 del 2005 Rv. 232209, N. 6769 del 2006 Rv. 233997, N. 26807 del 2006 Rv. 235006, N. 1137 del 2009 Rv. 242550).

Ne consegue che la critica del ricorrente, volta a far risaltare che la propria condotta non sarebbe stata comunque ispirata dalla volontà di trarre un ingiusta vantaggio o di danneggiare i creditori non coglie nel segno, atteso che la affermazione di responsabilità è stata basata su altri presupposti.

E segnatamente, sulla osservazione che i libri sociali obbligatori erano parziali come parziali erano le relative annotazioni che si arrestavano al 1994, essendo stati ritenuti anche dai giudici di scarsissima attendibilità, tanto che per la ricostruzione del movimento degli affari si era reso necessario acquisire la documentazione bancaria.

Il secondo motivo è pure infondato.

La difesa si appella implicitamente alla giurisprudenza di questa Corte che richiede, per la affermazione della responsabilità in tema di bancarotta per distrazione che sia quantomeno certa la esistenza, in capo alla fallenda, dei beni che, successivamente, non rinvenuti senza che risulti una valida giustificazione dal parte dell’amministratore, si presumo distratti.

Ebbene, il motivo di censura prescinde totalmente dalla motivazione della sentenza, nella quale, del tutto plausibilmente e con ragionamento logico e completo, si afferma che la prova della esistenza dei crediti e dei conseguenti incassi da parte della società, nonchè delle corrispondenti uscite per ragioni diverse dalla cura degli interessi della persona giuridica, è stata desunta da prove assolutamente rassicuranti e non da congetture: è stata cioè tratta dall’esame degli assegni, emessi ingiustificatamente dall’amministratore della fallenda oppure da quelli incassati senza registrazione contabile, messi a disposizione del curatore ad opera degli istituti di credito coinvolti; è stata infine desunta dalla disamina delle modalità (ritenute dolosamente false) di contabilizzazione del valore delle merci acquistate dalla società e poi rivendute (vedi pag. 6 e 7 sentenza).

La censura della difesa si rivela dunque del tutto generica, contrapponendosi senza argomenti fattuali, all’accertamento compiuto dai giudici del merito.

Del tutto infondato è l’ultimo motivo di ricorso.

La Corte ha esercitato correttamente il proprio potere discrezionale in materia esibendo una motivazione ineccepibile alla tregua dei criteri posti dall’art. 133 c.p., giudici hanno cioè argomentato a sufficienza sulla negatività della valutazione complessiva della gravita del fatto e della capacità a delinquere del ricorrente escludendo che vi fosse spazio per la valorizzazione di elementi favorevoli.

A fronte di un simile apparato argomentativo le censure della difesa rivelano il carattere meramente fattuale, risolvendosi nella richiesta, inammissibilmente rivolta alla Corte di legittimità, di operare un autonoma valutazione dei risultati rilevanti ai fini della richiesta di attenuanti generiche.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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