Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-02-2011) 07-06-2011, n. 22694 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 23 settembre 2009 la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza 9 agosto 2008 del GUP del Tribunale di Trieste pronunciata in esito a giudizio abbreviato, condannava C.G. alla pena di anni dieci di reclusione perchè ritenuto responsabile, con posizione di organizzatore e funzioni direttive, del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e di numerosi altre violazioni previste dal cit. D.P.R., art. 73, commi 1 e i bis, unificati, tali reati tra di loro e con quello giudicato con sentenza 3 aprile 2007 del GIP del Tribunale di Udine, dal vincolo della continuazione.

Affermava la corte territoriale che la sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in luogo della diversa ipotesi di concorso nel reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 prospettata nei motivi di appello, era dimostrata, oltre che dalle esaurienti argomentazioni del giudice di primo grado e dagli atti dallo stesso vagliati, anche dal consistente numero di reati fine, ripetuti e protratti nel tempo concernenti lo smercio di anche significativi quantitativi di cocaina, la realizzazione dei quali richiedeva, necessariamente una gestione organica, stabile e funzionale di tipo associativo, comprovata, altresì, dall’utilizzo tra gli imputati di un linguaggio gergale nelle loro comunicazioni, dal frequente cambio di utenze telefoniche, dalle modalità professionali di reperimento, gestione, nascondimento, e spaccio dello stupefacente, secondo modalità diversificate, ad una rete di acquirenti abituali affidabili che costituivano una fonte costante di approvvigionamento per l’organizzazione. Che poi nell’organizzazione dedita al commercio illecito di stupefacenti il C. si trovasse in posizione predominante, emergeva dagli interrogatori dei coimputati, nei confronti dei quali egli usava un efficace potere intimidatorio; la sua posizione direttiva era delineata , quindi, dalla attività di gestione dello stupefacente, che egli esercitava attraverso gli altri sodali che gli versavano il corrispettivo delle operazioni, dalla sua preposizione alle scelte strategiche e gestionali riguardanti: l’occultamento dello stupefacente, le successive modalità di smercio, le misure precauzionali da osservare da parte degli altri consociati e la preoccupazione perchè fossero assicurate e mantenute le risorse umane necessarie al proseguimento dell’attività.

La corte riteneva , poi, inaccoglibili le richieste di applicazione nei confronti dell’imputato delle attenuanti previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7 e art. 73, comma 7. 1.2.- Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’avvocato Roberto Maniacco, difensore di C.G., lamentando che la corte di appello non abbia tenuto conto dei motivi di impugnazione superandoli senza fornire motivazione. Specifica in proposito che i giudici di appello hanno ripreso, in maniera apodittica e senza richiamo a fatti o altri argomenti di sorta, degli errori del giudice di primo grado i quali, poi, si sono riverberati sul loro generale giudizio, i suddetti errori sono costituiti: 1) dall’affermazione che il ricorrente sia un pregiudicato coinvolto in fatti delittuosi in meridione, perchè soggetto a programma di protezione laddove egli, invece, è incensurato e inserito in un programma di protezione perchè parente di pentiti di mafia; 2) le aggressioni sia fisiche che verbali nei confronti dei correi, non sono vere perchè nessuno dei coimputati ne ha riferito, solo il T. ha raccontato di violenze nei loro confronti riferendo un solo fatto, che era già stato raccontato dal P. e spiegato dallo I., e poi il T. ha ritrattato nell’interrogatorio davanti al GUP tali accuse, con ciò dimostrando la sua inattendibilità, non valutata invece dai giudici. Riguardo alla mancata concessione delle attenuanti concernenti la collaborazione per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 il C. indica nell’interrogatorio 3.8.2007 quali fornitori suoi e del suo gruppo una serie di persone che sono state indagate e sono sotto processo anche per le sue accuse, con ciò sottraendo risorse umane alla attività di spaccio, e se queste sono realizzazioni parziali non per questo non costituiscono collaborazione, come affermato apoditticamente dalla corte d’appello.

Quanto alla collaborazione in relazione al reato associativo è il ricorrente ad aver consentito l’identificazione di due personaggi importanti della associazione, con chiamate che sono state definite dalla PG estremamente importanti anche se non d’immediato sviluppo, tali comunque da integrare, sondo il ricorrente, l’attenuante apoditticamente esclusa dai giudici di appello.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Gabriele Mazzotta ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.
Motivi della decisione

2.1.- Il ricorso è inammissibile per difetto di qualsivoglia correlazione tra le ragioni argomentate dalla sentenza gravata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione. I motivi esposti infatti, oltre ad essere di non agevole lettura e comprensione in generale, appaiono sovrapponibili quelli proposti in appello, rispetto ai quali nulla aggiungono a fini di confutazione delle ragioni poste dai giudici di secondo grado a fondamento della decisione di non accoglimento degli stessi, se non una generica, e perciò aspecifica, censura di mancanza ed erronea motivazione.

E’ principio di diritto ormai consolidato, infatti, che "la mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" ( Cass.. Sez. 4, sent.

29.3.2000,n. 5191, Rv. 216473 e nel medesimo senso: Sez. 4, sent.

18.9.1997 n. 256, Rv. 210157; Sez. 1, sent 30.9.2004, n. 39598 , Rv.

230634; Sez. 1, sent.30.9.2004, n. 39598,Rv. 230634; Sez. 2, sent.

15.5.2008, n. 19951, Rv. 240109).

Nel caso di specie la corte di appello riguardo alla sussistenza della responsabilità penale del C. in relazione alla sua posizione di organizzatore dell’associazione a delinquere ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, ha congruamente ed esaurientemente illustrato che essa era desumibile dagli interrogatori dei coimputati, nei confronti dei quali egli usava un efficace potere intimidatorio, dalla attività di gestione dello stupefacente, che egli esercitava attraverso gli altri sodali che gli versavano il corrispettivo delle operazioni, e dalla sua preposizione alle scelte strategiche e gestionali riguardanti: l’occultamento dello stupefacente, le successive modalità di smercio, le misure precauzionali da osservare da parte degli altri consociati e la preoccupazione perchè fossero assicurate e mantenute le risorse umane necessarie al proseguimento dell’attività. Non quindi, come assunto dal ricorrente sulla considerazione asseritamente errata, peraltro appena adombrata nella parte della decisione relativa alla ricostruzione della decisine di primo grado, che il C. fosse pregiudicato, coinvolto in fatti delittuosi in meridione perchè soggetto a programma di protezione. Altrettanto insussistente il secondo errore invocato dal ricorrente, relativo alle attività di aggressione fisica e verbale poste s in essere nei confronti dei consociati, esse, infatti, confortate dalle dichiarazioni dei coimputati – come ammesso dallo stesso ricorrente con palese contraddizione – hanno avuto incidenza del tutto marginale nel percorso motivazionale attraverso il quale i giudici di appello sono pervenuti alla decisione sul punto.

Considerazioni analoghe devono essere svolte in riferimento alle censure concernenti il mancato riconoscimento delle attenuanti della c.d. collaborazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e art. 74, comma 7; i giudici di appello escludono la loro applicabilità in quanto: -nel primo caso difetta il presupposto dell’essersi adoperato l’imputato per evitare che l’attività di spaccio fosse portata ad ulteriori conseguenze e dell’avere fornito un contributo a sottrarre risorse rilevanti per la commissione dei delitti; – nel secondo caso le dichiarazioni del C., pur significative e idonee al riconoscimento delle attenuanti generiche, non erano state determinanti per la ricostruzione delle effettive caratteristiche del vincolo associativo, nè per l’identificazione specifica dei complici, i quali erano stati già individuati, in epoca anteriore ai suoi interrogatori, attraverso le intercettazioni ambientali e telefoniche iniziate prima del suo arresto, inoltre in relazione al coinvolgimento dello X., a questi neppure era contestata la ipotesi delittuosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Al riguardo il ricorrente si limita a richiamare i suoi contributi di collaborazione con gli inquirenti, asserendo che gli stessi integrano le specifiche attenuanti invocate, senza peraltro svolgere alcun ragionamento o alcuna censura in diritto capace di contrastare le precise e congruenti motivazioni esposte in sentenza. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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