T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., 08-06-2011, n. 550 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti riferiscono in ricorso di essere proprietari di abitazioni realizzate all’interno del piano di lottizzazione situato in località "Is Staineddus".

Con concessione edilizia n. 128 del 27 giugno 2003 il Comune di Quartu Sant’Elena aveva autorizzato la controinteressata Piani costruzioni a realizzare un centro commerciale, composto da un Market (media struttura di vendita) e da cinque locali commerciali (EV), locale bar, locale ristorante, pizzeriagelateria e pizzeria all’aperto, depositi commerciali e parcheggi interrati, nel lotto A del piano di lottizzazione.

I ricorrenti riferiscono di aver presentato il 26 novembre 2005 un esposto alla Procura della Repubblica di Cagliari in cui denunciavano un abuso edilizio consistente nella realizzazione del centro commerciale, "allora in costruzione davanti alle loro abitazioni", assentito con la predetta concessione edilizia.

Il procedimento penale, seguito all’esposto, si è concluso il 18.12.2007 con la sentenza di condanna del costruttore e del progettista.

Riferiscono i ricorrente di aver presentato il 9.1.2006, altro esposto di identico contenuto, al Comune di Quartu Sant’Elena e alla Regione Autonoma della Sardegna.

In merito all’esposto, la Regione in data 25.1.2008 ha comunicato di aver ultimato la relazione tecnica, riscontrando diverse irregolarità sia nei confronti della strumentazione urbanistica sovrastante sia nella realizzazione delle opere autorizzate.

La relazione tecnica è stata poi rilasciata, previa sentenza di accoglimento del ricorso sull’accesso agli atti proposto dalla Prof.ssa Graziella Elia.

Al fine di ottenere la regolarizzazione delle difformità riscontrate dal giudice penale, la Piani costruzioni presentava un progetto di accertamento di conformità e di variante, che, previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, è stato assentito con l’impugnata concessione edilizia, n. 142 del 28.12.2009.

Avverso detta concessione edilizia ed avverso l’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti hanno proposto il ricorso in epigrafe, a sostegno del quale fanno valere le seguenti censure:

1) violazione di legge (art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 22.12.1983, noto come "Decreto Floris"; art. 5 L.R. n. 17 del 19.5.1981; L. R. n. 5/2006, in particolare art. 3 commi 5 e 6, e art. 4 commi 5 e 6); incompetenza;

2) violazione di legge (art. 4, comma 5, del "Decreto Floris"; mancato riferimento al piano naturale di campagna; art. 13 del regolamento edilizio comunale – scavi e rinterri; art. 54 del regolamento edilizio comunale – mancata istituzione dei capisaldi altimetrici);

3) Violazione di legge (art. 4, comma 5, del "Decreto Floris" – mancato riferimento al piano naturale di campagna; art. 13 del regolamento edilizio comunale – mancata istituzione dei capisaldi altimetrici); eccesso di potere;

4) violazione di legge (illegittimità della concessione edilizia per aumento di cubatura, art. 4, comma 5, "Decreto Floris"; illegittimità della concessione edilizia per aumento di cubatura derivante dalla mancata scomposizione del corpo di fabbrica in parallelepipedi su base quadrata di 12 metri di lato, art. 4, comma 6, "Decreto Floris"; mancanza di motivazione; art. 3, LO n. 241/90, o eccesso di potere, insufficienza della motivazione; violazione della Circolare dell’assessore regionale agli EE.LL. n. 2 del 20.3.1978);

5) violazione di legge (art. 7.6.1 della variante al piano di fabbricazione del piano particolareggiato zona "S e coordinamento zone "C" sudest); illegittimità della concessione edilizia per il superamento nel fabbricato realizzato delle dimensioni consentite;

6) violazione di legge ed eccesso di potere (contraddittorietà fra provvedimenti, carenza o insufficienza della motivazione); mancata stipula di una nuova convenzione di variante sostanziale);

7) violazione di legge ( D.P.C.M. 1.3.1991, richiamato dalla legge 447/1995; D.P.C.M. 5.12.1997 e norme comunitarie richiamate; deliberazione Regione Autonoma della Sardegna n° 62/9 del 14.11.2008 – parte VI "requisisti acustici passivi degli edifici" – impatto acustico) ed eccesso di potere per lacunosità dell’istruttoria;

8) violazione di legge (art. 56 del regolamento edilizio del comune di Quartu Sant’Elena – illegittimità delle concessione edilizia per la realizzazione di volumi superiori rispetto a quelli ammessi).

Con l’atto di motivi aggiunti, i ricorrenti deducono l’illegittimità della concessione edilizia impugnata con il ricorso introduttivo, per erronea quantificazione del contributo di costruzione e per mancato pagamento dell’oblazione per accertamento di conformità.

La società controinteressata ha eccepito l’inammissibilità del ricorso chiedendone, comunque, il suo rigetto perché infondato.

Alla pubblica udienza del 4 maggio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
Motivi della decisione

La controinteressata Piani costruzioni aveva ottenuto dal comune di Quartu Sant’Elena la concessione edilizia n. 128 del 27 giugno 2003 per la realizzazione di un centro commerciale, composto da un Market (media struttura di vendita) e da cinque locali commerciali, locale bar, locale ristorante, pizzeriagelateria e pizzeria all’aperto, depositi commerciali e parcheggi interrati, nel lotto A del piano di lottizzazione "Is Staineddus".

I ricorrenti, proprietari di case limitrofe al centro commerciale, lamentano che la nuova costruzione ha loro tolto il panorama con vista mare.

A seguito di irregolarità edilizie riscontrate dal giudice penale nella realizzazione del centro commerciale, cui è seguita una sentenza penale di condanna nei confronti del costruttore e del progettista del centro commerciale, la Piani costruzioni ha presentato una domanda di variante e di accertamento di conformità, assentita con l’impugnata concessione edilizia.

La controinteressata deduce che con la concessione edilizia è stata autorizzata una modifica, in riduzione, del fabbricato assentito con la precedente concessione edilizia del 2003.

In particolare, come indicato nella relazione allegata al progetto, queste sono le differenze tra i due progetti:

a) l’originaria destinazione del piano seminterrato, mista deposito/autorimessa, è stata modificata in autorimessa per l’intero piano interrato;

b) al piano terra è stata ridotta la superficie di vendita commerciale a vantaggio degli esercizi pubblici e dei servizi;

c) è stato aggiornato il sistema delle coperture, con notevole riduzione delle altezze complessive.

Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni sollevate dalla difesa della società controinteressata.

Con la prima eccezione deduce l’inammissibilità del ricorso.

Sostiene, al riguardo, che la concessione impugnata trova il proprio fondamento e presupposto nel processo penale e nella sentenza penale di condanna (non definitiva), essendo stata richiesta al solo fine di ottenere l’estinzione del reato ai sensi dell’articolo 38 della legge n. 47/1985. Precisa che "è di competenza del giudice penale, in grado di appello, stabilire se il provvedimento dell’Amministrazione sia legittimo e quindi tale da determinare l’estinzione del reato per cui vi è condanna", mentre il giudice amministrativo non ha alcun potere di delibazione sulla fattispecie criminosa.

L’eccezione non può essere accolta.

Il ricorso in esame non è volto a sindacare l’estinzione del reato che la concessione edilizia in sanatoria può aver fatto conseguire agli interessati, ma è volto a sindacare la conformità alle norme urbanistiche ed edilizie della concessione impugnata, al fine di ottenerne il suo annullamento e con esso la demolizione della costruzione realizzata, costruzione che i ricorrenti ritengono ora supportata dalla concessione impugnata.

E’ vero che i profili penali non rilevano nel presente giudizio, ma i ricorrenti hanno impugnato la concessione in sanatoria sotto il profilo amministrativo, in quanto la costruzione prevista nel progetto originario (assentita con la concessione del 2003) è stata modificata con il progetto in sanatoria ed in variante, anche se al precipuo fine di ridurne la volumetria complessiva e di adeguarla al decisum del giudice penale.

La costruzione edilizia deve infatti essere supportata, dal punto di vista amministrativo edilizio, da un legittimo titolo edilizio approvativo di un progetto che rispecchi fedelmente l’opera finale; da ciò l’interesse dei ricorrente a chiedere l’annullamento della concessione edilizia, al fine di ottenere la demolizione, o il ridimensionamento della costruzione, in vista del perseguimento del bene della vita che intendono tutelare.

Parte resistente eccepisce poi l’irricevibilità del ricorso rilevando che il promotore (P.L.) di tutte le iniziative intraprese dai ricorrenti, "a seguito dell’ennesima istanza di accesso presentata al Comune di Quartu Sant’Elena ha avuto cognizione piena del provvedimento di concessione in sanatoria in data 25.01.2010", mentre il ricorso è stato notificato solo in data 1.4.2010.

L’eccezione non può essere condivisa.

Essa non è supportata dalla prova della dedotta conoscenza e con essa neppure si indica quale sia l’atto o il fatto da cui sia conseguita l’effettiva conoscenza della concessione impugnata.

Può ora procedersi all’esame del ricorso nel merito.

Con la prima censura si deduce la violazione dell’articolo 4 del decreto assessoriale 22 dicembre 1983 n. 2266/U, noto come "Decreto Floris", in quanto il centro commerciale della controinteressata ha utilizzato tutti volumi previsti per i servizi "connessi alla residenza" (studi professionali, negozi di prima ed immediata necessità, botteghe artigianali), tra i quali non può farsi rientrare un grande centro commerciale.

A prescindere dalla fondatezza nel merito della censura, la stessa appare inammissibile perché rivolta a sindacare un provvedimento, concessione edilizia 27.6.2003 n. 128, non impugnato.

La concessione in sanatoria e variante, odiernamente impugnata, non autorizza alcuna ulteriore volumetria rispetto a quella assentita con la concessione del 2003, ma anzi riduce la volumetria originariamente assentita.

Da ciò consegue che il rilascio della concessione in variante non consente la rimessione in termini per l’impugnativa della concessione edilizia a suo tempo rilasciata ed il cui progetto ha subito una parziale modifica, approvata con la variante.

Per quanto attiene alla concessione edilizia in sanatoria la sua funzione è quella di ottenere un titolo edilizio per quelle parti della costruzione già realizzate ma non conformi, totalmente o parzialmente, al titolo autorizzatorio in precedenza ottenuto, mentre la concessione in variante mira ad ottenere la modifica, in corso d’opera, del progetto in precedenza assentito per rendere il fabbricato più aderente alle nuove esigenze dell’interessato.

Con la concessione in sanatoria si autorizza, per la prima volta, una costruzione (o parte di essa) già realizzata, e con la concessione in variante si autorizzano delle modifiche al progetto già assentito. Quindi sia la concessione in sanatoria che quella in variante attengono ad aspetti o parti della costruzione (realizzati o in progetto) non supportati dalla originaria concessione edilizia, ma non incidono sulle parti della costruzione già realizzate conformemente all’originario titolo edilizio.

Da ciò consegue che l’eventuale annullamento della concessione edilizia in sanatoria e in variante non può incidere sulla precedente concessione edilizia, esecutiva e inoppugnabile, idonea a supportare la costruzione realizzata in conformità ad essa.

Nel caso di specie la censura esaminata attiene ad una parte di edificato autorizzato con la concessione edilizia del 2003, sul quale la nuova concessione, odiernamente impugnata, non ha inciso.

La censura va pertanto respinta.

Con il secondo, terzo motivo e quarto si sostiene che, come evidenziato nella sentenza penale, la volumetria realizzata al piano seminterrato non è stata conteggiata nella volumetria massima assentibile.

Anche questa censura è inammissibile perché riferibile alla originaria concessione del 2003; comunque è anche infondata poiché il piano seminterrato è stato, con la concessione impugnata, destinato esclusivamente a parcheggio e come tale non computabile ai fini volumetrici.

Con il quinto motivo si sostiene che la concessione edilizia impugnata viola il piano di fabbricazione perché la concessione edilizia contempla un fabbricato di 130 metri per 61 metri, mentre lo strumento urbanistico non consentirebbe costruzioni con "un fronte maggiore di cento metri ed una profondità di corpo di fabbrica superiore a tredici metri".

Anche questa censura, a prescindere dal fatto che la disciplina del precedente piano di fabbricazione è ormai superata con l’entrata in vigore nel 2000 del PUC, non può essere accolta poiché è riferibile alla concessione edilizia del 2003, non impugnata dai ricorrenti.

Con il sesto motivo si deduce che il centro commerciale non sarebbe previsto dall’originario piano di lottizzazione e che la variante del 2001 non poteva autorizzare l’intervento in assenza di una nuova convenzione.

Anche questa censura è inammissibile perché rivolta avverso una variante al piano di lottizzazione non impugnata e comunque l’intervento è stato assentito con la concessione del 2003, mentre quella impugnata ha operato una riduzione della volumetria complessiva.

Anche la censura sulla violazione della normativa sui requisiti acustici degli edifici, proposta con il settimo motivo, deve essere respinta per la stessa ragione, ossia perché riferibile alla concessione del 2003.

Infine con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’articolo 56 del regolamento edilizio del Comune di Quartu Sant’Elena sul rilievo che il locale seminterrato, come rilevato dalla relazione della Regione, doveva essere incluso nel calcolo del volume complessivo.

La censura è inammissibile perché sempre attinente alla concessione del 2003.

Con i motivi aggiunti i ricorrenti deducono l’illegittimità della concessione edilizia del 2009 per erroneità nel calcolo del contributo di costruzione e per mancato pagamento dell’oblazione afferente l’accertamento di conformità.

La censura è infondata.

L’eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio della concessione edilizia non determina l’illegittimità della concessione stessa, e non giustifica quindi la pretesa al suo annullamento giurisdizionale, in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio della relativa concessione di costruzione, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento diverso da quello concessivo del titolo a costruire (Consiglio Stato, sez. IV, 31 gennaio 1995, n. 37).

Anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo T.U sull’edilizia, la giurisprudenza ha ribadito che il procedimento di rilascio del permesso di costruire e quello di determinazione dei contributi continuano ad avere natura distinta ed autonoma, pur essendo necessaria la determinazione del contributo di costruzione prima del rilascio della concessione edilizia (C.d.S sez. IV, 11 maggio 2007, n. 2325).

Da ciò consegue che il pagamento può intervenire successivamente, anche a rate, e l’erronea determinazione della somma dovuta per oneri non incide sulla legittimità della concessione edilizia e sul diritto dell’Amministrazione di richiedere eventuali conguagli o sul diritto dell’interessato di chiedere la restituzione di quanto eventualmente pagato in eccesso.

Anche la determinazione dell’oblazione attiene ad un aspetto autonomo che non incide sulla legittimità della concessione edilizia. Peraltro i ricorrenti non hanno indicato quale sia la parte della costruzione interessata da accertamento di conformità, a fronte dell’osservazione della parte resistente sulla inesistenza di opere realizzate in difformità della concessione del 2003, attenendo la concessione edilizia del 2009 ad una riduzione delle volumetrie previste originariamente, per rendere la costruzione aderente alla pronuncia del giudice penale.

Per le su esposte considerazioni il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso come in epigrafe proposto.

Condanna i ricorrente al pagamento delle spese del giudizio nei confronti della controinteressata e del Comune di Quartu Sant’Elena, che liquida nella somma complessiva di Euro 2000,00 (duemila//00), in favore di ciascuna di dette parti, mentre le compensa nei confronti del Ministero dei Beni Culturali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *