T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 08-06-2011, n. 1076 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A. – Con ricorso ritualmente notificato e depositato il ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, i provvedimenti in epigrafe indicati, esponendo:

– di essere proprietario di un terreno, sito nel territorio del Comune di Palazzo Adriano, censito in catasto al foglio 28, particelle 74, 97, 125 e 126, nonché al foglio 30, particelle 112 e 118; e di avere ottenuto, per l’esercizio di una cava di calcare in quel terreno, l’autorizzazione n. 23/2003, da cui successivamente era decaduto per mancato inoltro della denuncia di esercizio entro il termine di un anno dal rilascio di detta autorizzazione, giusto provvedimento del Distretto Minerario di Palermo n. 5/2004;

– di avere quindi richiesto, con istanza del 22.10.2004, il rilascio di una nuova autorizzazione all’apertura della cava, da cui scaturiva un complesso iter istruttorio, che si concludeva con l’emissione di un parere sfavorevole, oggetto di impugnativa, da parte dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente, competente per la valutazione di incidenza ex D.P.R. n. 357/1997, per essere l’attività estrattiva incompatibile con la destinazione a verde agricolo del sito; nonché ricadere il terreno in zona ZPS (zona di protezione speciale), con conseguente divieto di apertura di nuove cave ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera n), del D.M. 17.10.2007;

– detto parere veniva recepito dal Distretto Minerario con l’emissione del provvedimento di rigetto dell’istanza presentata dal ricorrente.

Il predetto affida il ricorso ai seguenti motivi:

1) Eccesso di potere per manifesta illogicità – perplessità e contraddittorietà dell’azione amministrativa – incompetenza – difetto di motivazione – violazione art. 3 l. n. 241/90.

Con riferimento al motivo di diniego relativo alla destinazione a verde agricolo della zona, sostiene il ricorrente che detta destinazione risulterebbe compatibile con l’attività di cava, avendo la sola finalità di impedire un’attività edilizia di tipo residenziale.

Peraltro, in occasione del rilascio della prima autorizzazione, sul medesimo sito oggetto di contestazione, non era stata rilevata alcuna incompatibilità dell’attività con la vocazione agricola della zona; avendo, peraltro, il Sindaco del Comune di Palazzo Adriano trasmesso attestazione di non incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, lettera n) D.M. 17.10.2007- eccesso di potere, sotto altro profilo, per illogicità.

Con riferimento al secondo motivo di diniego, fondato sull’asserita esistenza di un divieto, non derogabile, di apertura di nuove cave nelle zone di protezione speciale, sostiene parte ricorrente che l’amministrazione procedente non avrebbe correttamente interpretato il dettato normativo citato, il quale, nell’ultima parte dell’indicata lettera n), prevede un’ipotesi derogatoria per i progetti di cave già sottoposti – come quello del ricorrente – alla valutazione di incidenza alla data di entrata in vigore del medesimo decreto ministeriale.

Ha chiesto, quindi, l’annullamento degli atti impugnati, con vittoria di spese.

B. – Al fine di resistere al ricorso, si è costituito in giudizio l’Assessorato Industria, Dipartimento Industria e Miniere, Corpo Regionale delle Miniere, Distretto Minerario di Palermo, depositando documentazione.

C. – Con ordinanza n. 678 depositata in data 8 luglio 2009 è stata accolta, ai fini del riesame, l’istanza cautelare.

D. – Con istanza presentata ai sensi dell’art. 3 della legge n. 205 del 2000, il ricorrente ha chiesto l’ottemperanza alla misura cautelare concessa con ordinanza n. 678/09, la quale è stata accolta con ordinanza collegiale n. 6 depositata il 15 gennaio 2010.

E. – In data 01.02.2010 il resistente Assessorato ha depositato ulteriore documentazione.

F. – Con memoria depositata in vista della pubblica udienza l’amministrazione regionale ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato.

G. – Con memoria di replica depositata in data 11 maggio 2011 parte ricorrente ha controdedotto alle argomentazioni di parte avversa, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

H. – Alla pubblica udienza del giorno 1 giugno 2011, su conforme richiesta dei difensori delle parti, presenti come da verbale, il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

A. – La vicenda contenziosa sottoposta all’esame del Collegio attiene al provvedimento di rigetto dell’istanza di autorizzazione all’apertura di una cava, emesso dal Distretto Minerario di Palermo, e il presupposto parere sfavorevole adottato dal Servizio VIAVAS dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente sulla base di plurimi motivi.

B. – Nel confermare la delibazione assunta in fase cautelare, il ricorso si presenta fondato.

B.1. – Il primo motivo merita accoglimento.

Come chiarito già in punto di fatto, la parte fondamentale dell’istruttoria conclusasi negativamente, e oggetto di sostanziale contestazione da parte ricorrente, è contenuta nel presupposto parere (al rigetto dell’istanza) emesso dal Dipartimento Territorio e Ambiente (Servizio 2/V.A.S.V.I.A.) con nota prot. n. 86544 del 18.11.2008, il quale si basa su tre motivi (sostanzialmente due, stante la stretta connessione tra i motivi1 e 3): 1) l’area di progetto ricade in zona "verde agricolo"; 2) la cava ricade all’interno della ZPS ITA020048 denominata "Monti Sicani, Rocca Busambra, Bosco della Ficuzza", per la quale vige il divieto di apertura di nuove cave ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera n), del D.M. 17.10.2007; 3) la destinazione urbanistica dell’area di progetto medesimo non rientra tra le eccezioni al divieto di apertura di nuove cave in ZPS, di cui al citato art. 5, comma 1, lettera n).

Quanto al primo motivo, va premesso, in linea generale, che la destinazione agricola di una zona non impedisce di per sé lo svolgimento di attività estrattiva, a meno che non sussista un esplicito divieto in tal senso, da ricondurre alla particolare natura dell’area agricola e/o al particolare pregio dell’assetto agricolo esistente: è stato, infatti, anche di recente, rilevato che la destinazione agricola, nell’ambito della pianificazione urbanistica, ha lo scopo di impedire gli insediamenti abitativi residenziali e non anche quello di precludere in via radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante (cfr. Consiglio di Stato, V, 18 settembre 2007, n. 4861; nello stesso senso: T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 21 dicembre 2007, n. 3488; T.A.R. Veneto, II, 18 giugno 2003, n. 3345; T.A.R. Calabria, Catanzaro, II, 2 maggio 2002, n. 886).

Ad assicurare una astratta valutazione di compatibilità della cava con le previsioni urbanistiche soccorre, sul piano normativo, la seguente legislazione regionale:

– la l.r. 1 marzo 1995, n. 19, contenente disposizioni modificative della l.r. 9 dicembre 1980, n. 127, in ordine ai giacimenti di materiali da cava, la quale dispone, all’art. 1, che le autorizzazioni relative ad attività estrattive dei materiali lapidei devono essere corredate da una serie di documenti, tra i quali è previsto, alla lettera d) dello stesso articolo, "l’attestato di cui all’art. 2 della legge regionale 26 marzo 1982, n. 22" (attestato di conformità con gli strumenti urbanistici vigenti);

– il comma 2 del medesimo art. 1 stabilisce che la certificazione, di cui alle lettere c) e d) del comma 1, si intende rilasciata positivamente qualora l’amministrazione competente non si sia pronunciata entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta;

– a sua volta, il richiamato art. 2 della l.r. 26 marzo 1982, n. 22, sostituisce l’art. 39 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71 (già modificato dall’art. 10 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127), il quale, nel testo in atto vigente, stabilisce che: "L’apertura delle cave non è soggetta alla concessione prevista dall’art. 1 della legge regionale 28 gennaio 1977, n. 10, bensì subordinata ad un attestato da parte del sindaco di conformità con gli strumenti urbanistici vigenti nonché all’approvazione da parte del comune dello studio di fattibilità e del progetto di massima di cui alla lett. d dell’art. 12.

Se la cava da aprire ricade su terreni destinati a verde agricolo, l’attestato di conformità è sostituito da un attestato di non incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti.

Le decisioni, positive o negative, di cui ai commi precedenti, devono essere assunte entro sessanta giorni dalla data di trasmissione della documentazione da parte del distretto minerario. Decorso tale termine, provvede in via sostitutiva, entro i successivi trenta giorni, l’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente a mezzo di commissario ad acta".

Così delineato il panorama normativo di riferimento, appare chiaro come la stessa disciplina specifica prevede la possibilità che una cava ricada su terreni destinati a verde agricolo, e che, in tal caso, l’attestato di conformità sia sostituito da un "attestato di non incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti".

Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, va rilevato, per un verso, che, in ordine al primo procedimento conclusosi con il rilascio dell’autorizzazione, il Sindaco del Comune di Palazzo Adriano ha emesso l’attestazione di non incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti (cfr. nota n. 5521/1999 citata nell’autorizzazione n. 23/2003); per altro verso, che, in ordine al nuovo procedimento, per cui è controversia, il Distretto Minerario di Palermo lo ha avviato con nota n. 4663 del 27.10.2004, inoltrata anche al Sindaco del Comune di Palazzo Adriano, il quale – stando alla documentazione depositata – non risulta avere emesso alcun atto, con conseguente formazione del silenzio assenso in applicazione dell’art. 1, comma 2, della l.r. n. 19/1995.

Va, altresì, evidenziato che la disciplina contenuta nello strumento urbanistico del citato Comune non conteneva – né contiene – previsioni, tali da precludere l’intervento estrattivo nella zona in interesse, atteso che:

– dall’esame dell’attestazione del 06.07.1999 dell’Ufficio Tecnico del Comune di Palazzo Adriano si evince che nella zona "E1" del Programma di Fabbricazione vigente "è consentita l’apertura di nuove cave a condizione che la cava non insista su terreni utilizzati per colture specializzate, dotati di infrastrutture o alberati con essenze di alto fusto. L’apertura della cava è sempre subordinata ai pareri preventivi ed alle attestazioni previsti dalle L.R. n. 22/82 e n. 127/80" (cfr. attestazione prodotta da parte ricorrente in data 01.07.2009);

– dall’esame del certificato di destinazione urbanistica prot. n. 5492 del 19.05.2009 emesso dal medesimo Ufficio Tecnico si evince come la medesima disposizione sia stata riprodotta per la zona E1 del vigente P.R.G. (allegato n. 4 al ricorso).

Va rilevato per completezza che da tale certificato si evince – ma tale dato non costituisce oggetto di alcuna contestazione – che talune particelle ricadono nel vincolo Zona SIC ZPS (particella 74, interamente; particella 112, in parte; particella 116, in minima parte).

Non è superfluo, infine, rilevare come, in occasione del rilascio della prima autorizzazione, sul medesimo sito oggetto di contestazione, non fosse stata evidenziata alcuna incompatibilità dell’attività con la vocazione agricola della zona (cfr. attestazione di non incompatibilità con gli strumenti urbanistici vigenti rilasciata dal Sindaco del Comune di Palazzo Adriano).

B.2. – Merita accoglimento anche il secondo motivo.

Il parere sfavorevole, posto alla base del provvedimento di diniego, ha interpretato l’art. 5, comma 1, lettera n), del D.M. 17.10.2007, come preclusivo, in maniera assoluta, dell’apertura di nuove cave in aree ricadenti in ZPS, qual è, in parte, quella oggetto dell’istanza di autorizzazione respinta.

Giova riportare la norma di cui la P.A. ha fatto applicazione (art. 5, comma 1, lettera n):

"Per tutte le ZPS, le regioni e le province autonome, con l’atto di cui all’art. 3, comma 1, del presente decreto, provvedono a porre i seguenti divieti…(omissis)…:

n) apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, ad eccezione di quelle previste negli strumenti di pianificazione generali e di settore vigenti alla data di emanazione del presente atto o che verranno approvati entro il periodo di transizione, prevedendo altresì che il recupero finale delle aree interessate dall’attività estrattiva sia realizzato a fini naturalistici e a condizione che sia conseguita la positiva valutazione di incidenza dei singoli progetti ovvero degli strumenti di pianificazione generali e di settore di riferimento dell’intervento; in via transitoria, per 18 mesi dalla data di emanazione del presente atto, in carenza di strumenti di pianificazione o nelle more di valutazione d’incidenza dei medesimi, è consentito l’ampliamento delle cave in atto, a condizione che sia conseguita la positiva valutazione d’incidenza dei singoli progetti, fermo restando l’obbligo di recupero finale delle aree a fini naturalistici; sono fatti salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d’incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e semprechè l’attività estrattiva sia stata orientata a fini naturalistici;".

La norma, per un verso, prescrive alle regioni e alle province autonome, in sede di adozione e/o adeguamento delle misure di conservazione per le Zone di protezione speciale (ZPS), di porre il divieto di apertura di nuove cave e ampliamento di quelle esistenti, con le eccezioni appena riportate; per altro verso, fa espressamente salvi i progetti di cava già sottoposti a procedura di valutazione d’incidenza, in conformità agli strumenti di pianificazione vigenti e sempreché l’attività estrattiva sia orientata a fini naturalistici, indicando non già una eccezione al divieto di apertura di nuove cave (o ampliamento di quelle esistenti), bensì una ipotesi derogatoria al fine di disciplinare i progetti, il cui procedimento fosse in itinere al momento dell’entrata in vigore del decreto ministeriale.

Nel caso in esame, tenendo conto dell’iter procedimentale svoltosi, si osserva che:

– il Distretto Minerario di Palermo – avviata l’istruttoria per l’esame dell’istanza per il rilascio dell’autorizzazione all’apertura della cava in argomento e la contestuale procedura di verifica ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 12.04.1996 – ha chiesto al ricorrente, con nota prot. n. 76262 del 26.11.2004, reiterata con nota n. 4989 del 05.12.2005, tra l’altro, la produzione di uno studio di incidenza ai sensi dell’art. 5 e dell’allegato G del D.P.R. n. 357/1997, in considerazione della circostanza che buona parte dell’area ricade all’interno del SIC ITA 020032 denominato "Boschi di Granza";

– il ricorrente, con nota protocollata al n. 39205 del 06.06.2006, ha trasmesso copia della relazione relativa a detta procedura di incidenza; e con successiva nota protocollata al n. 56442 (dell’Assessorato) del 30.04.2007, anche ulteriore documentazione integrativa.

Già solo da tali dati di fatto, si ricava agevolmente che, alla data di entrata in vigore del D.M. 17.10.2007 (G.U.R.I. 6 novembre 2007, n. 258), l’iter istruttorio, quanto alla valutazione di incidenza sul progetto di cava in interesse, fosse già in corso.

Quanto alla memoria difensiva prodotta dai resistenti Assessorati, preme rilevare che le considerazioni espresse, in ordine alla non ricorrenza dell’eccezione di cui all’art. 5, comma 1, lettera n) del menzionato decreto, se per un verso sembrano confermare indirettamente la astratta applicabilità del regime derogatorio ai progetti di apertura di cave, la cui valutazione di incidenza fosse – come nel caso in specie – già stata avviata alla data di entrata in vigore del D.M.; per altro verso, introducono una motivazione postuma del provvedimento di rigetto dell’istanza.

Invero, nella memoria depositata in vista della pubblica udienza, sostiene la difesa erariale che nel caso di specie non ricorrerebbe l’eccezione sopra riportata, in quanto l’attività oggetto di autorizzazione non sarebbe orientata a fini naturalistici e non sarebbe conforme agli strumenti di pianificazione vigenti.

Quanto a quest’ultimo aspetto, si fa rinvio a quanto rilevato al superiore punto B.1 in ordine al contenuto della disciplina urbanistica del Comune di Palazzo Adriano.

Quanto al secondo aspetto – orientamento a fini naturalistici – lo stesso non fa parte del tessuto motivazionale dei provvedimenti impugnati.

In particolare, il parere sfavorevole impugnato non ha in alcun modo richiamato tale elemento, avendo, invece, escluso in radice l’applicabilità del regime di deroga previsto dall’ultima parte del più volte citato art. 5, comma 1, lettera n), in base alla (sola) circostanza che il terreno ricade all’interno di una ZPS.

Va, quindi, sul punto, richiamato il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo cui la motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio, dovendo la stessa precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, individuando con ciò il fondamento dell’illegittimità della motivazione postuma nella tutela del buon andamento amministrativo e nell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (cfr.: Consiglio di Stato, V, 15 novembre 2010, n. 8040; VI, 12 novembre 2009, n. 6997; 19 agosto 2009, n. 4993; IV, 7 maggio 2007, n. 1975; V, 31 maggio 2007, n. 404; 23 gennaio 2007, n. 192).

Il richiamato presupposto per l’applicabilità del regime derogatorio potrà costituire, semmai, specifico elemento di valutazione in sede di rinnovato esercizio del potere amministrativo.

B.3. – L’accoglimento di entrambi i motivi comporta l’annullamento del parere sfavorevole impugnato (n. 86544 del 18.11.2008 dell’Assessorato Territorio e Ambiente).

Il provvedimento di rigetto (n. 1069 del 20.03.2009) del Distretto Minerario, in quanto adottato sulla base del presupposto parere sfavorevole, segue le medesime sorti di quest’ultimo.

C. – Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va accolto nei sensi indicati in motivazione, con conseguente annullamento degli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti delle competenti Amministrazioni.

D. – Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto anche conto del comportamento processuale del resistente Assessorato Territorio ed Ambiente, rimasto inottemperante all’ordine di riesame, nonostante l’emissione di due provvedimenti giurisdizionali di questa Sezione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione terza, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie, nei sensi indicati in motivazione, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti delle competenti Amministrazioni.

Condanna l’Assessorato Regionale delle Attività Produttive e l’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (euro tremila/00), in ragione, rispettivamente, di un terzo e due terzi, oltre oneri accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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