Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-05-2011) 08-06-2011, n. 22797

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Genova ha confermato la pronuncia di condanna per i delitti di resistenza e lesioni emessa da quel Tribunale in data 4 dicembre 2008 ed appellata dall’imputato C.R.J. in punto di responsabilità e di pena e dal Procuratore Generale della Repubblica presso quella Corte per ritenuta concessione delle attenuanti generiche.

2. Ricorre il C. e lamenta la mancanza della motivazione in ordine alla affermata responsabilità, rilevando che le lesioni riportate dal carabiniere T., con cui era avvenuta la colluttazione, non attestavano che esse erano state procurate volontariamente, ma che potevano essere compatibili con la sua reazione di fuga; inoltre, egli risentiva degli effetti di un pregresso intervento chirurgico, che aveva debilitato le sue forze, sicchè era implausibile la versione della parte offesa; con un secondo motivo si duole che gli sia stata negata la diminuente del rito abbreviato condizionato alla escussione della parte offesa, sul presupposto che la richiesta probatoria era superflua.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato.

2. Il C., sotto la veste della illogicità e della mancanza di adeguata considerazione delle risultanze probatorie, investe non il ragionamento logico seguito dai i giudici di appello, ma la valutazione dei dati di fatto, emergenti dagli atti, proponendo una diversa versione dei fatti. Ora a fronte di un ragionato esame delle condotte tenute sia dall’imputato che dalla parte offesa, che ha portato la Corte ad escludere che le lesioni dell’agente operante fossero non collegate eziologicamente alla condotta del C., visto dall’altro teste spintonare la po’ sino a farla cadere, è evidente che in questa sede non sono consentite le versioni alternative proposte, in quanto basate su considerazioni di puro merito, escluse dal novero delle lagnanze consentite.

3. E’, invece fondata la seconda doglianza, con cui il C. ribadisce l’erroneo rigetto della sua richiesta di abbreviato condizionato e chiede il recupero della relativa diminuente.

4. Invero, la motivazione con cui sia il giudice di prime cure sia quello di appello hanno ancorato la decisione di diniego non può essere condivisa; il punto per valutare la "condizione" è stato spostato dalla necessità e rilevanza del mezzo istruttorio richiesto rispetto agli elementi probatori raccolti, alla osservazione che nel giudizio ordinario è di norma sentita la parte offesa, e tanto ha giocato per il giudizio di superfluità. Tale ragionamento è del tutto incongruo; in primo luogo, perchè il giudice deve valutare se rispetto al materiale già raccolto e utilizzabile, la prova sollecitata sia integrativa, e nella specie, era certo che il carabiniere T. non aveva reso dichiarazioni; in secondo luogo, perchè deve valutarne la necessità e la compatibilità con il rito richiesto, e non trarre una ragione di inammissibilità dalla constatazione che il rito ordinario consente uno sviluppo istruttorio identico a quello sollecitato con la condizione, asserzione peraltro del tutto fallace, posto che comunque l’imputato consentiva con la accettazione del rito alla utilizzazione di altri non irripetibili, e che altrimenti non avrebbero potuto essere introdotti in un ordinario procedimento.

5. Ancor più errata si appalesa, poi, la decisione dei secondi giudici, che si sono adagiati sulla precedente osservazione di superfluità, non tenendo conto oltre a quanto detto sul giudizio valutativo sulla integrazione in relazione alla completezza degli elementi esistenti in atti, che comunque la condanna era stata pronunciata proprio sulla testimonianza resa dalla p.o., evidentemente utile ed indispensabile per pervenire all’accertamento della verità. 6. Ne consegue che il giudice di appello, a ciò sollecitato, avrebbe dovuto procedere al riconoscimento della diminuente per il rito, erroneamente negato e sul punto la sentenza è da annullare; questa corte, ricorrendo le condizioni di cui all’art. 521, può procedere alla rideterminazione operando la chiesta riduzione di un terzo sulla pena di nove mesi di reclusione inflitta dal giudice di primo grado, che va conseguentemente diminuita in mesi sei di reclusione, fermo restando il rigetto nel merito del ricorso.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omessa riduzione per il rito – abbreviato e ridetermina la medesima pena in mesi sei di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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