Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2011) 08-06-2011, n. 22773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Con sentenza in data 12-23.12.2010 la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pregressa decisione del tribunale della stessa città datata 18.3.2010, riduceva la pena inflitta a M.R. per i delitti di rapina pluriaggravata e sequestro di persona da anni 8 e mesi 4 ed Euro 2.500 di multa ad anni 8 di reclusione ed Euro 2.100 di multa,tenendo conto della delle condizioni personali e familiari, nonchè della giovane età dell’imputato.

In breve i fatti come ricostruiti dai giudici di merito: L’imputato con altri due correi rimasti sconosciuti, attendevano il titolare della farmacia del (OMISSIS) sita in (OMISSIS), tale A.G. ed il suo dipendente, G.R., nell’atto di entrare da un ingresso laterale nell’esercizio, li immobilizzavano, li chiudevano a chiave nel locale servizi, e quindi si impossessa di Euro 9.300, di sette orologi di marca per poi darsi alla fuga. Gli indizi a carico del M. erano costituiti dal ricognizione operata dalle persone offese in termini di somiglianza con il rapinatore, come dal riconoscimento del berretto e degli occhiali, sequestrati a casa dell’imputato, e come da lui indossati nel corso della rapina ed, infine, dalla comparazione delle impronte dell’imputato con quelle di cui ai rilievi dattiloscopici, operati dalla p.g. nell’immediatezza dei fatti, e rinvenute su una scatola, confezione di guanti in lattice, rinvenuta nel luogo dove i rapinatori si erano appostati per sorprendere le persone offese nell’atto di entrare nei locali della farmacia.

2. Sostenuto da cinque motivi, con il richiamo all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) ed e), è il ricorso per Cassazione proposto dall’imputato avverso la sentenza: 1) inutilizzabilità degli esiti dell’accertamento dattiloscopico perchè compiuto dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa, in violazione dell’art. 360 c.p.p., comma 5, senza alcuna delega da parte dell’autorità giudiziaria; 2) nullità comunque dell’atto perchè compiuto senza l’assistenza del difensore, in violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c); 3) inutilizzabilità ancora perchè gli accertamenti di p.g. potevano solo essere funzionali alla individuazione e non alla identificazione dell’imputato, alla stregua degli artt. 348 e 349 c.p.p.; mancanza di motivazione perchè gli esiti di un accertamento contrassegnato da così patologici vizi non avrebbero potuto costituire materiale idoneo a sorreggere la motivazione giudiziale;

5) violazione infine dell’art. 192 c.p.p. per non essere gli indizi sui quali è stata fondato il giudizio di responsabilità penale precisi, gravi e concordanti: non i rilievi dattiloscopici, perchè a parte i rilievi sulla, loro inutilizzabilità e nullità, la scatola su cui erano state rinvenute le impronte poteva non appartenere ai rapinatori e contenere i guanti di lattice di cui i predetti si erano serviti per la rapina, non la ricognizione della persona e degli oggetti indossati perchè contrassegnata, la ricognizione, da incertezze ed imprecisioni nella loro descrizione.

3. Il ricorso va disatteso perchè inammissibile.

I primi quattro motivi di ricorso, collegati tra loro e tutti funzionali a espungere dai dati costitutivi del giudizio l’accertamento tecnico irripetibile e la sua comparazione con le impronte dell’imputato, si fonda su un equivoco evidente: la rapportabilità dell’apprensione del dato e della sua valutazione comparativa ai contenuti di una vera e propria consulenza tecnica.

Ebbene una tale rapportabilità deve per definizione escludersi, tra l’altro sulla,scia di un indirizzo giurisprudenziale univoco nel senso che se, da un lato, gli accertamenti dattiloscopici compiuti dalla polizia giudiziaria, pur potendo costituire fonte di prova nel giudizio, non hanno carattere nè formale, nè sostanziale di perizia, ma s’inquadrano nell’attività preliminare d’accertamento e d’assicurazione delle prove, per l’espletamento della quale non è necessario venga garantita la presenza e l’intervento del difensore dell’indiziato (Sez. 4, 25.6/10.10.2008, Sparer, Rv 2412022), dall’altro la comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria, sempre per giurisprudenza costante di questa Corte, non richiede particolari cognizioni tecnico- scientifiche e si risolve in un mero accertamento di dati obiettivi, ai sensi dell’art. 354 c.p.p., sicchè il suo svolgimento non postula il rispetto delle formalità previste dall’art. 360 c.p.p..

Ne consegue che qualora colui che abbia svolto attività di comparazione sia sentito, come nel caso di specie in dibattimento e riferisca in ordine alla medesima, il giudice non è tenuto a disporre perizia, potendosi attenere alle emergenze esposte dal dichiarante (Sez. 5, 9.2/4.5.2010, Costache, Rv 246872; Sez. 1, 11.6.2009, n. 28848: Sez. 5, 17.3.2004, n., 23319).

L’ulteriore, il quinto, motivo di ricorso perde ogni forza probante, una volta che i dati di fatto oggetto delle argomentazioni difensive vengano collegati con la legittimità e la persuasivi della sicura rapportabilità delle impronte lasciate sulla scena del delitto con quelle proprie dell’imputato: ne consegue che la verosimiglianza, e non la certezza, di per sè, del riconoscimento fotografico e personale dell’imputato, come del berretto e degli occhiali indossati nel corso della rapina e de sequestro di persone, si implementano dei valori propri della certezza processuale derivati da quel collegamento. Ne consegue che la Corte, pur avendo la possibilità di esaminare gli atti del processo per verificare l’esistenza della violazione denunciata, non può superare il limite rigoroso che vieta al giudice di legittimità di interpretare in modo diverso rispetto a quanto compiuto dal giudice di merito i fatti storici posti alla base del dato processuale se non nei limiti della mancanza o manifesta illogicità della motivazione. E resta quindi inammissibile, in sede di legittimità, la censura che sia nella sostanza rivolta a sollecitare soltanto una rivalutazione del dato probatorio. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, 1 imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n..l86/2000; n. 69/1964) – al versamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *