Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2011) 08-06-2011, n. 22771

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 14.1.2010, il G.U.P. del Tribunale di Caltanissetta dichiarò O.G. responsabile dei reati di tentata rapina e tentata violazione di domicilio, unificati sotto il vincolo della continuazione e – con la diminuente per il rito – lo condannò alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza in data 18.11.2010, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al tentativo di rapina: pur a fronte di specifiche doglianze in punto di affermazione di responsabilità (quali la non compatibilità fra le ecchimosi refertate alla B. e la asserita aggressione, la non immediatezza della denunzia, il fatto che l’imputato avesse riferito di intrattenere una relazione con la badante e donna delle pulizie della B.S.M., la quale gli aveva aperto la porta, il fatto che appena la B. glielo chiese l’imputato lasciò l’abitazione della donna) la Corte d’appello si sarebbe limitata a sostenere le stesse ragioni del primo giudice;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata qualificazione del fatto solo come tentativo di violazione di domicilio: la Corte territoriale non avrebbe affermato alcunchè sui motivi di gravame;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena sulla base della asserita pericolosità del ricorrente, peraltro smentita dalla sostituzione degli arresti domiciliari con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; nuovamente la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripetere gli stessi argomenti già svolti dal giudice di primo grado nella sentenza appellata.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti la Corte territoriale ha fondato l’affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della persona offesa B. G., giudicate chiari, lineari, logiche e prive di contrasti, nonchè dal referto delle lesioni patite dalla donna. La violenza è stata ritenuta non limitata al permanere nell’abitazione ma finalizzata ad ottenere denaro. In relazione al tentativo di violazione di domicilio in danno di Ba.Gi. la Corte d’appello ha richiamato le dichiarazioni della stessa ed i segni di effrazione. In ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena la Corte di merito ha rilevato che vi ostavano la reiterazione dei fatti, l’aver perpetrato i fatti in danno di persone anziane.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5Asent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

E’ poi giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, (in questo senso v. Cass. Sez. 4 sent. n. 1149 del 24.10.2005 dep. 13.1.2006 rv 233187).

Del resto questa Corte ha chiarito che "In sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione". (Cass. Sez. 2 sent. n. 29434 del 19.5.2004 dep. 6.7.2004 rv 229220. Nella specie la Corte ha ritenuto che la semplice circostanza che alcuno dei collaboranti avesse taciuto in ordine alla presenza di uno dei coimputati in seno all’associazione per delinquere, non incrinava la logicità della motivazione della Corte di merito che aveva confermato la responsabilità dell’imputato).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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