Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-10-2011, n. 20807 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Dicendosi eredi legittimi di N.V., vedova di N. G., deceduta nel (OMISSIS), numerosi attori, eredi di N. A., di N.V.C., di N.C.B. convenivano in giudizio, davanti al tribunale di Napoli, B. L. ed E.L., per rivendicare la proprietà di due beni immobili, chiedendo il pagamento dei canoni di locazione. Per quanto ancora interessa, in relazione alla posizione di E.L., odierno ricorrente, gli attori esponevano che questi aveva acquistato l’immobile sito in (OMISSIS), da N.E.M., erede testamentario di V., con atto notaio C., trascritto il 15 febbraio 1985; che l’atto non era ad essi opponibile, perchè stipulato dopo la trascrizione della domanda giudiziale di nullità del testamento suddetto.

1.1) E. resisteva eccependo l’avvenuta usucapione ex art. 1159 c.c. e, in subordine, di aver stipulato nel 1983 un preliminare con N.G., marito e dante causa di N.V., per l’acquisto di quell’immobile, versando metà dei quindici milioni pattuiti, sicchè gli attori avrebbero dovuto dare esecuzione al contratto ex art. 2932 c.c. Inoltre chiamava in causa il notaio C. per il risarcimento dei danni derivati dall’aver rogato l’atto di acquisto senza accertarsi della precedente trascrizione della domanda giudiziale di nullità del testamento.

La domanda principale degli eredi N. veniva accolta dal tribunale di Napoli con sentenza del 4 ottobre 2002, che condannava E. al rilascio dell’immobile e al pagamento di un canone di 258,00 Euro mensili dalla data della decisione al rilascio, rigettando le domande di E. anche nei confronti del chiamato in causa.

La sentenza veniva confermata dalla Corte d’appello di Napoli il 16 aprile 2009. 1.2) La Corte d’appello ribadiva che l’ E. non poteva vantare di essere acquirente in buona fede, perchè smentito dalla deposizione della teste Ro. e dalla mancata risposta all’interrogatorio formale. Precisava che l’omessa visura delle trascrizioni da parte del notaio C. non aveva inciso causalmente sull’acquisto a non domino dell’ E.. Riteneva legittima la liquidazione equitativa del danno da occupazione illegittima, con interessi compensativi. Respingeva la censura relativa alla domanda ex art 2932 c.c. E. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 17 giugno 2009, svolgendo cinque motivi.

Il notaio C. ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con ordinanza del settembre 2010 è stato disposto rinnovo della notifica per integrazione del contraddittorio nei confronti di due intimati.

Eseguita il 19. 11. 2010 la rinotifica a B.L. e verificata, su istanza del ricorrente, che produceva prova della prima notificazione, la ritualità dell’instaurazione del contraddittorio nei confronti di N.E.M., veniva fissata pubblica udienza.

Le parti costituite hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

2) Il ricorso, ritualmente notificato, può essere esaminato nel merito, atteso che il potere – dovere della Corte di verificare se la notifica iniziale del ricorso fosse stata eseguita, consente di accertare che l’atto venne ritirato l’11 luglio 2009, come da avviso di ricevimento, prodotto in atti.

La Corte territoriale ha respinto l’appello dell’ E. relativo all’eccezione di usucapione abbreviata ex art. 1159 c.c., sollevata per paralizzare la domanda di rivendica degli attori. Ha ritenuto non sussistente il requisito della buona fede sulla scorta della deposizione della teste Ro.Gi. e mancata risposta dell’appellante all’interrogatorio formale deferitogli in primo grado.

3) Il primo motivo di ricorso censura questo capo della decisione e denuncia in rubrica, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 832 c.c., degli artt. 1159, 1147, 2697, 2728 2730 c.c.; degli artt. 246 e 232 c.p.c.; degli artt. 99, 112, 115 c.p.c.; omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione.

Il motivo, che invano, in memoria, parte ricorrente vuoi accreditare della natura di censura di un vizio in procedendo, concerne la richiesta di nuova valutazione della deposizione testimoniale al fine di negare che fosse stata data prova della conoscenza da parte dell’acquirente E. della pendenza di un giudizio di annullamento del testimone, circostanza ritenuta idonea a dimostrare l’assenza di buona fede.

Si tratta quindi di censura attinente la motivazione della sentenza;

essa è però infondata, perchè la tesi esposta non risulta decisiva.

Il ricorso non attacca infatti l’altro elemento dal quale è stato tratto il convincimento del giudice di merito, la mancata risposta all’interrogatorio formale, mezzo di prova idoneo e sufficiente a provare il fatto controverso – la conoscenza della pendenza della lite – posto a fondamento della decisione.

Significativamente di esso nulla dice il momento di sintesi articolato a pag. 15 del ricorso ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

4) Il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1175, 1176 e 1218 1223, 2229 c.c.; degli artt. 2043 2697 c.c.; degli artt. 99, 112, 115 c.p.c. omesso esame di punto decisivo; vizi di motivazione.

La censura concerne l’assoluzione del notaio C., chiamato in garanzia per ottenere la restituzione di somme ad esso versate e per il risarcimento dei danni subiti da E. a seguito della compravendita, oggetto di atto pubblico "in presenza dell’esistenza della precedente trascrizione della domanda giudiziale" concernente il testamento.

Il quesito (o momento di sintesi del fatto controverso – parte ricorrente non ha chiarito il riferimento, sebbene fosse tenuta a farlo) formulato a conclusione del motivo si concentra sull’esistenza dell’obbligo del notaio di rilevare eventuali trascrizioni pregiudizievoli "indipendentemente dalla eventuale avvenuta conoscenza o meno da parte del soggetto acquirente acquisita aliunde della pendenza del giudizio di cui all’innanzi indicata domanda". 4.1) Anche questa censura non coglie nel segno.

La Corte d’appello ha ampiamente ed esaurientemente motivato circa l’assenza di nesso causale tra l’omissione rimproverata al notaio e il danno lamentato dall’appellante.

Questi non poteva dolersi della inattività del professionista, perchè quando aveva stipulato l’atto era già consapevole della trascrizione, come ritenuto dalla Corte con motivazione che ha resistito alla prima doglianza di questo ricorso.

In forza di tale circostanza non sussisteva uno degli elementi che compongono indefettibilmente la fattispecie del danno risarcibile, profilo che la censura non investe adeguatamente e che comunque è ineccepibilmente esposto, sotto il profilo logico e giuridico, dalla sentenza impugnata.

5) Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 2932, 1350, 1362 c.c.; artt. 99, 112, 115 c.p.c., omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione;

tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Esso attiene alla domanda subordinata di esecuzione in forma specifica del contratto del 1983, intercorso con N.G.. La Corte ha confermato il rigetto di questa domanda, sul rilievo che nella scrittura de qua il N. non aveva assunto "alcuna specifica obbligazione a contrarre"; che essa comprovava l’esistenza di trattative, ma non di un contratto preliminare, "giacchè non contiene alcun impegno a stipulare il successivo definitivo, nè indica in alcun modo il prezzo della vendita" E.L. censura con successo questa affermazione, sia sotto il profilo motivazionale, che in riferimento al canone ermeneutico letterale di cui all’art. 1362 c.c. e riporta il testo della scrittura.

Da esso si evince che il N. accusava ricevuta di un "acconto" di L. 7.500.000 per la compravendita dell’appartamentino di via (OMISSIS). Si diceva inoltre che il prezzo complessivo era "stato pattuito in L. 15.000.000" e che la differenza sarebbe stata versata entro un anno.

Dunque la Corte d’appello ha mal letto il documento, almeno con riguardo alla indicazione del prezzo della vendita che, al contrario di quanto ritenuto, era stato espressamente previsto. Apodittica risulta poi la parte della motivazione in cui si nega la sussistenza di un impegno a stipulare, posto che erano previsti l’oggetto della compravendita, il versamento di un acconto, il saldo del prezzo e il termine entro cui completare tale pagamento. La doglianza è quindi fondata, dovendo la Corte d’appello nuovamente motivare circa il rigetto della domanda de qua, adeguatamente spiegando perchè non si sia in presenza di un contratto preliminare soggetto alla disciplina di cui all’art. 2932 c.c. 6) Fondato è anche il quarto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 1282, 2043, 2697 c.c. e artt. 99, 112, 115 c.p.c.; omesso esame di punto decisivo della controversia; vizi di motivazione; tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Esso concerne la liquidazione del danno da occupazione illegittima dell’appartamento, richiesto dagli eredi N. e liquidato equitativamente dal primo giudice.

La Corte d’appello ha respinto il gravame sul punto, osservando che il giudice può esercitare il potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa ex art. 1226 c.c. in difetto di istanza di parte.

Il ricorrente censura questa affermazione, chiedendo che sia negata tale facoltà del giudice allorquando parte ricorrente nulla abbia dedotto o provato in proposito e il danno non sia di impossibile o difficoltosa quantificazione.

E’ pacifico in giurisprudenza che, in riferimento ad obbligazioni contrattuali, la liquidazione del danno in via equitativa, che può aver luogo soltanto in caso di impossibilità o difficoltà di una precisa prova sull’ammontare e sull’entità del danno subito, non esonera l’interessato dall’obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del medesimo – la quale costituisce il presupposto indispensabile per una valutazione equitativa – per consentire che l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, limitato alla funzione di colmare solo le inevitabili lacune al fine della precisa liquidazione del danno (Cass. 15585/07).

L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza (Cass. 10607/10).

Ove il giudice provveda invece a dar corso officiosamente nella liquidazione equitativa, può incorre nella violazione lamentata, esorbitando dai limiti della domanda risarcitoria e dall’ambito interpretativo delle disposizioni citate.

La sentenza impugnata non ha motivato adeguatamente sul punto, poichè si è limitata a rinviare a Cass 315/02, a mente della quale la liquidazione in via equitativa rientra nei poteri discrezionali che il giudice – del merito, può esercitare, senza necessità di richiesta della parte, ma solo "in presenza delle condizioni richieste dall’art. 1226 cod. civ.", che è quanto qui si intende ribadire.

La Corte d’appello avrebbe dovuto quindi dar conto della difficoltà o impossibilità da parte degli attori di provare il danno da occupazione illegittima dell’appartamento, che normalmente si desume dalle offerte ricevute per lo stesso o analoghi immobili della zona o da oggettivi riscontri circa i valori di mercato.

In difetto delle condizioni sopradette non poteva decidere equitativamente.

Anche su questo punto la sentenza va dunque cassata.

7) La sentenza resiste invece al quinto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1470, 1483, 1223, 1224, 2697, 2043, c.c.; art. 99, 112, 115 c.p.c.; omesso esame di punto decisivo; vizi di motivazione, tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La Corte d’appello, investita dall’ E., convenuto evitto, di doglianze relative alla domanda riconvenzionale di risarcimento danni proposta nei confronti del suo dante causa N.E.M. e degli attori tutti, ha confermato il rigetto della pretesa.

Ha osservato che il compratore che subisce l’evizione ha diritto al ristoro del ed interesse negativo, costituito dalla restituzione del prezzo e dal rimborso delle spese. Stabilita l’estraneità degli attori al contratto di vendita, la Corte ha escluso il risarcimento da lucro cessante a carico del venditore, "in considerazione della conoscenza del compratore in merito alla pendenza della controversia sulla titolarità dell’immobile", di cui si è qui discusso nel primo motivo.

Il ricorrente torna a ripetere che il venditore avrebbe tenuto comportamento doloso e comunque colposo, perchè non avrebbe informato l’acquirente della pendenza della causa per la nullità del testamento.

La censura è per due ragioni priva di pregio: in primo luogo perchè non esamina il profilo attinente la conoscenza della causa sulla validità del testamento da parte dell’ E., questione qui già risolta sfavorevolmente per il ricorrente.

In secondo luogo perchè, quanto al comportamento del N., chiede alla Corte di legittimità un diretto esame degli atti che le è precluso, posto che la censura non involge un vizio in procedendo, ma la correttezza dell’applicazione delle norme in tema di risarcimento del danno spettante all’evitto che si trovi nella peculiare situazione affermata dal giudice di merito. Un secondo profilo del quinto motivo concerne la svalutazione monetaria, richiesta dall’ E. sulla somma oggetto di restituzione e negatagli anche dalla Corte d’appello. La sentenza è su questo punto ineccepibile, perchè ha fatto corretta applicazione dell’insegnamento di Cass. 2451/99, a mente della quale il diritto alla restituzione del prezzo pagato per l’evizione parziale del bene costituisce un credito di valuta, e poichè prescinde dalla colpa, anche solo presunta, del venditore, se il giudice esclude la sussistenza del diritto al risarcimento del danno, e l’acquirente non prova il pregiudizio derivatogli dal ritardo nel riavere la somma, su di essa non può esser riconosciuta la svalutazione monetaria.

L’ E. avrebbe pertanto potuto chiedere, provandone i presupposti, il maggior danno ex art. 1224 c.c., ma non l’automatica rivalutazione del credito restitutorio.

Discende da quanto esposto il rigetto di primo, secondo e quinto motivo di ricorso, l’accoglimento del terzo e del quarto motivo. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, per nuova motivazione in ordine ai capi di domanda di cui ai motivi accolti, fermi i principi di diritto qui riaffermati, desunti anche da Cass. 315/02.

La Corte d’appello procederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, secondo e quinto motivo di ricorso;

accoglie il terzo e il quarto motivo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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