Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 08-06-2011, n. 22808

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di O.A. propone ricorso avverso l’ordinanza del 5/1/2011 con la quale il Tribunale di Milano ha respinto l’istanza di riesame proposta.

Si lamenta violazione di legge con riferimento alla disposizione di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5 avendo il P.m. violato l’obbligo di trasmettere al Tribunale del riesame anche gli atti a favore dell’indagato, che nella specie riteneva di individuare nell’interrogatorio reso dal coimputato, la cui portata favorevole era stata ingiustamente sottovalutata dal Tribunale.

Richiama a sostegno della propria interpretazione le affermazioni formulate dal coimputato, e, ritenuta non corretta la sfavorevole valutazione aprioristica svolta dal giudice di merito, sottolinea la rilevanza della mancata osservanza del termine previsto dall’art. 309 c.p.p., comma 5 al fine del rispetto delle garanzie difensive. Si contesta inoltre, da un canto, l’affidabilità della valutazione di non rilevanza delle dichiarazioni, che andava operata oggettivamente, e l’impossibilità di corroborare tale giudizio sulla base del richiamo alla pronuncia di condanna dei due imputati intervenuta medio tempore, non essendone state ancora depositate le motivazioni.

La valutata inverosimiglianza della versione resa dai due imputati nel corso dell’interrogatorio denota la presenza di un’analisi svolta sulla base di motivazione contraddittoria, non basata su elementi di fatto.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui il Tribunale ha negato la sussistenza della disparità di trattamento con il coimputato, valorizzando la circostanza che a questi fosse stato consentito di permanere agli arresti domiciliari nella medesima abitazione in cui erano stati rinvenuti bilancino e droga, senza che su tale decisione avesse spiegato influenza la sua qualità di tossicodipendente, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, ed analoga opportunità non fosse stata concessa, immotivatamente al ricorrente.

Si sollecita conseguentemente l’annullamento del provvedimento impugnato.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. Deve infatti accertarsi la pacifica insussistenza della violazione di legge, eccepita in relazione alla pretesa inosservanza della disposizione di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, poichè la qualificazione di un atto quale "elemento favorevole alla persona sottoposta alle indagini" è di natura oggetti va, e riguarda atti sopraggiunti all’esecuzione della misura, che siano a conoscenza dell’organo dell’accusa, il cui contenuto sia in grado di escludere la valenza degli elementi di segno contrario.

E’ pacifico che tra tali atti possano rientrare anche le dichiarazioni liberatorie rese da un coindagato, (Sez. 4, Sentenza n. 31402 del 22/06/2005, dep. 19/08/2005, imp. Oreste, Rv. 231749) purchè ad esse possa essere riconosciuta ipoteticamente valenza favorevole, offrendo tale dichiarazione una chiave di lettura del tutto alternativa e coerente degli elementi di accusa, mentre pacificamente non possono così qualificarsi gli interrogatori che contengano una mera allegazione, che risulti ininfluente a svilire il quadro indiziario.

Tale evenienza si è verificata nella specie, in quanto le affermazioni sulla base delle quali il coindagato si è assunto la responsabilità esclusiva dell’accaduto risultano smentite dagli ulteriori elementi a carico dell’odierno ricorrente rilevati dalla diretta osservazione degli agenti che eseguirono l’arresto, di cui si è dato compiutamente conto nell’ordinanza impugnata.

Per di più nella specie il rilievo formale del mancato rispetto del termine per la trasmissione degli atti eccepito, è superato dalla circostanza che le dichiarazioni del coimputato erano già a disposizione della difesa o erano dalla parte conoscibili, ed in tal caso si ritiene che non sussista l’onere di allegazione da parte del P.m. cui si richiama la disposizione citata (Sez. 3, Sentenza n. 2916 del 10/12/2009, dep. 22/01/2010, imp. Ndrepepaj Rv. 245906), come è del tutto logico ritenere sulla base del venir meno, nel concreto, di qualsiasi possibilità di sottovalutazione degli elementi favorevoli da parte del giudice, in forza della produzione che l’interessato può realizzare, e che di fatto ha realizzato, degli atti a lui favorevoli.

Tale effetto non può essere escluso sulla base della limitata efficacia attribuita dalla difesa all’esibizione dell’atto, che si assume prodotto solo al fine di fondare l’eccezione di perdita di efficacia della misura, in quanto la prescrizione di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5 è finalizzata a rendere effettiva la discovery cautelare, e la tempestiva conoscenza da parte della difesa degli elementi contestati, dimostrando la possibilità di un concreto confronto sul merito delle risultanze, per ciò stesso esclude che le ulteriori alternative ricostruzioni del fatto siano state sottratte alla conoscenza del contraddittore, che, anche in ipotesi di omessa produzione nei termini a cura della parte pubblica, è posto in condizione di sottoporre tali elementi al giudice del riesame.

Nè può ritenersi che la perdita di efficacia in tal caso sia già intervenuta in forza del mero decorso del termine, e debba essere solo dichiarata dal giudice: la limitazione dell’obbligo di allegazione agli atti favorevoli all’indagato presuppone un giudizio di valore, che, imponendo un controllo ex post di merito sulla natura dell’atto, esclude che possa attribuirsi valenza preliminare ed esclusiva al dato formale del decorso del tempo, in assenza dell’allegazione sollecitata.

2. L’impugnazione è inammissibile anche in relazione al secondo motivo di ricorso prospettato, formulato ignorando del tutto le motivazioni della pronuncia che, nell’esame di sussistenza delle esigenze cautelari, ha dato ampiamente conto della diversità sostanziale della posizione processuale dell’odierno ricorrente rispetto a quella del coimputato, giustificando nei confronti del primo la misura maggiormente afflittiva in ragione delle pregresse rilevanti condotte antisociali, che dimostravano una costanza nell’illecito, ed un elevato pericolo di reiterazione, condizione che non risulta essere comune al coimputato, ed in quanto tale da sola risulta idonea ad escludere la pretesa disparità di trattamento sulla quale si fonda la richiesta subordinata; in tal senso le deduzioni in fatto, operate in senso contrario, e riguardanti la ritenuta incongruità della decisione di concedere gli arresti domiciliari al coimputato e negarla al ricorrente, risulta del tutto irrilevante, poichè quanto posto in luce nel provvedimento in relazione alla personalità del ricorrente, e non contestato dalla difesa in relazione alla sua aderenza ai fatti, esclude in radice la possibilità che possa esservi stata una disparità di trattamento con il coimputato nell’applicazione del criterio di adeguatezza della misura, e, conseguentemente, esclude l’ammissibilità dell’eccezione di violazione di legge e difetto di motivazione sviluppata sul punto nell’atto introduttivo.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. Pen., comma 1 ter.

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