Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-10-2011, n. 20801 corrispettivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Dosi s.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Pescara, C. e P.A. per sentirli condannare al pagamento del residuo compenso per l’esecuzione in appalto di opere edili di ristrutturazione edilizia, nonchè al risarcimento del danno.

Nel resistere in giudizio i convenuti domandavano in via riconvenzionale la condanna della società appaltatrice al risarcimento dei danni per la mancata ultimazione dei lavori e la restituzione delle somme corrisposte in eccesso.

Il Tribunale, accertato un residuo redito dell’impresa pari a L. 15.405.000 (di cui 11.425.000 per opere extrapreventivo) nonchè la mancata ultimazione delle opere per un totale di L. 18.230.000, operata la compensazione tra i rispettivi crediti condannava la Dosi s.r.l. al pagamento della differenza, pari a Euro 1.464,16, in favore dei committenti.

Tale sentenza era riformata dalla Corte d’appello dell’Aquila, adita dalla Dosi s.r.l., la quale condannava C. e P.A. al pagamento della somma di Euro 6.970,44.

Riteneva la Corte aquilana, sulla base degli accertamenti tecnici svolti, che l’importo dei lavori previsti in contratto ed eseguiti dalla società appaltatrice era di L. 15.110.000; che le interruzioni registratesi nello svolgimento del rapporto non erano addebitabili alla Dosi s.r.l., dato il completamento quasi integrale delle opere contrattuali, le oggettive difficoltà di realizzazione emerse in corso d’opera e le variazioni imposte al progetto originario, come evidenziate dal c.t.u.; che la Dosi s.r.l. aveva realizzato, altresì, opere aggiuntive extra progetto originario per L. 11.425.000; che i committenti avevano già corrisposto L. 14.000.000;

che pertanto il residuo credito della Dosi s.r.l. ammontava a L. 12.535.000; che per vizi, difetti e mancato completamento dell’opera spettava ai committenti la somma di L. 4.280.000; e che, in definitiva, operate le compensazioni del caso, il credito della società appellante ammontava a L. 13.496.650.

La Corte territoriale escludeva, invece, che in favore dei committenti potesse essere riconosciuta a titolo di danni la somma di L. 14.450.000, che il c.t.u. aveva stimato necessaria per adeguare la costruzione alla normativa antisismica, poichè le relative opere non erano state previste nel capitolato d’appalto e la loro mancata esecuzione non poteva, pertanto, essere imputata alla società appaltatrice.

Infine, i giudici d’appello ritenevano che non potessero essere riconosciute somme ulteriori a titolo di danno, in aggiunta agli interessi legali sulla somma liquidata in favore della Dosi s.r.l., non essendo stata fornita prova di un maggiore pregiudizio da ritardo.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono C. e A. P., formulando tre motivi d’annullamento.

Resiste con controricorso la Dosi s.r.l., la quale propone, altresì, ricorso incidentale affidato a un unico motivo articolato in cinque motivi.

Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. – Sempre in via preliminare va respinta l’eccezione sollevata dalla parte controricorrente nella propria memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale ha dedotto l’inesistenza in favore del difensore del ricorrente di una valida procura per resistere al ricorso incidentale, essendo la procura a margine del ricorso limitata alla proposizione di quest’ultimo atto. Questa Corte ha già chiarito in precedenti occasioni che per resistere al ricorso incidentale non occorre una nuova procura, essendo sufficiente quella rilasciata per la proposizione del ricorso principale (Cass. Nn. 937/79 e 683/62).

Non vi sono ragioni per non dare continuità a tale indirizzo, assente qualsivoglia argomentazione di contrasto.

3. – Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt.1655 e 1667 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che l’appaltatore dispone di ampia discrezionalità tecnica e organizzativa nell’esecuzione dell’opera e risponde del risultato anche quando abbia seguito le direttive del committente; che egli, inoltre, viola gli obblighi di diligenza se non accerta, allorchè interviene su strutture preesistenti, l’idoneità delle stesse a reggere le opere commissionategli; e che, a prescindere dalle previsioni contrattuali, deve rendere edotto il committente delle opere ulteriori rese necessarie dalla disciplina antisismica.

Nello specifico, prosegue parte ricorrente, l’opera doveva essere eseguita come da progetto approvato dal comune di Pescocostanzo e vistato dall’Ufficio del Genio Civile dell’Aquila, e consisteva, tra l’altro, in strutture di cemento armato che, notoriamente, rilevano ai fini della stabilità dei fabbricati in zona sismica, in base alle norme tecniche definite con D.M. 9 gennaio 1987, attuativo della L. 2 febbraio 1974, n. 64. Pur avendo evidenziato che occorreva una spesa ulteriore di 14.450.000 per adeguare la costruzione alla normativa antisismica, la Corte d’appello non ha tratto la conseguenza del caso in punto di responsabilità della società appaltatrice, sul falso presupposto che tali opere ulteriori non fossero dovute perchè non previste in contratto. Al contrario, dette opere, ove anche non fossero state previste nel contratto, sarebbero state ugualmente dovute in quanto l’appaltatore ha l’obbligo di eseguire i lavori secondo le regole dell’arte, avvertendo all’occorrenza la parte committente delle eventuali carenze progettuali.

3.1. – Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di osservare che ove il corrispettivo dell’appalto, secondo un progetto che non preveda l’esecuzione di determinate opere, imposte da disposizioni normative inderogabili, sia stato stabilito senza alcun riferimento alle predette opere, il prezzo delle necessarie variazioni integrative, a meno che non risulti una contraria volontà delle parti, non può considerarsi compreso in quello previsto nell’appalto e, anche quando il progetto sia stato predisposto dall’appaltatore, deve essere, pertanto, determinato dal giudice ai sensi dell’art. 1660 c.c. (Cass. nn. 3353/93, 9796/11).

Non contrasta tale orientamento altra pronuncia di questa Corte (n. 14812/08), la quale ha ritenuto che la violazione delle prescrizioni dettate per la progettazione e l’esecuzione delle costruzioni soggette ad azione sismica integri gravi difetti, di cui l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente ai sensi dell’art. 1669 c.c. Diversa è la fattispecie in esame, in cui si controverte non sulla responsabilità dell’appaltatore per le conseguenze della realizzazione di un progetto carente per la mancata considerazione di opere imposte da disposizioni inderogabili di legge, ma dell’inclusione o non di tali opere in un progetto per lavori diversi, per il solo fatto di essere queste necessarie alla destinazione finale dell’immobile.

La sentenza impugnata ha accertato, al riguardo, che le opere necessarie ad adeguare la costruzione alla normativa antisismica non fossero previste nel capitolato d’appalto; di talchè, negatane l’inclusione nel programma obbligatorio a carico dall’impresa appaltatrice, la Corte territoriale ha coerentemente tratto la conseguenza che il relativo prezzo non potesse essere sottratto dalla somma spettante a titolo di corrispettivo dei lavori commissionati ed eseguiti. E poichè, per il superiore principio di diritto richiamato, non ogni opera può ritenersi dovuta dall’appaltatore sol perchè imposta da specifiche disposizioni di legge, ed essendo, pertanto, l’appaltatore obbligato ad eseguire solo i lavori inclusi nel capitolato d’appalto, la sentenza impugnata si sottrae in parte qua alla critica svolta dai ricorrenti.

4. – Con il secondo motivo è dedotta l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

L’adeguamento alla normativa antisismica ritenuto necessario dal c.t.u., sostiene la parte ricorrente, attiene alla carente realizzazione dei solai, tant’è che l’ausiliario del giudice ha ritenuto che la sua esecuzione costituisse un’evidente difformità dal progetto, che prevedeva un cordolo posto ad altezza maggiore e la sostituzione del vecchio solaio con uno in latero-cemento, almeno secondo il progetto depositato presso l’Ufficio del Genio Civile, e che anche la nuova realizzazione del solaio è difforme dal progetto avendo un’altezza inferiore al previsto. Pertanto, conclude parte ricorrente, la decisione impugnata non rende conto di tali evidenze processuali, esclude che le conclusioni del c.t.u. importino addebito di responsabilità all’impresa appaltatrice e non motiva sul perchè le opere previste in contratto e in progetto, cioè la realizzazione dei solai, sarebbero escluse dall’appalto, mancando di considerare che l’oggetto del contratto d’appalto è costituito, in via generale, dall’esecuzione dei lavori descritti negli elaborati progettuali, solo sommariamente indicati nella scrittura di affidamento dell’incarico.

4.1. – Il motivo è inammissibile per difetto del prerequisito di autosufficienza.

Per assolvere l’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda (e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza), è necessario che, in ossequio al principio di autosufficienza di detto atto processuale, si provveda anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (Cass. n. 6937/10; analogamente, Cass. n. 1707/09, secondo cui gli elementi dedotti con il ricorso, che non siano rilevabili d’ufficio, assumono rilievo in quanto siano stati ritualmente acquisiti nel dibattito processuale nella loro materiale consistenza, nella loro pregressa deduzione e nella loro processuale rilevanza, quale potenzialità probatoria che consenta di giungere ad una diversa soluzione, ed in sede di legittimità siano rievocati in modo autosufficiente).

Nello specifico, il ricorrente ha riportato solo stralci della relazione del c.t.u., che non ne consentono un’adeguata lettura complessiva, ed ha mancato di riprodurre il contenuto della scrittura di affidamento dei lavori, adducendone, a proprio insindacabile giudizio, il carattere del tutto sommario e, dunque, l’inutilità ai fini della ricostruzione dell’oggetto contrattuale. Tale carenza elide il termine di paragone rispetto al quale saggiare sufficienza e logicità del dato motivazionale denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 rendendo inammissibile la relativa censura.

5. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte d’appello ha erroneamente attribuito due volte l’IVA sul corrispettivo dei lavori extra contratto.

Deducono che a pag. 4 della sentenza impugnata è detto che l’importo dei lavori in base agli accordi contrattuali è di L. 15.110.000, IVA esclusa, mentre a pag. 5 si afferma che l’appaltatore ha realizzato opere aggiuntive per L. 11.425.000, senza specificare alcunchè riguardo all’IVA, con la conseguenza che quest’ultima debba ritenersi compresa; così che nel riepilogare le partite di dare e avere la Corte somma i due crediti della Dosi s.r.l. (L. 15.110.000 + L. 11.425.000) calcolando poi l’IVA sul totale, con la conseguenza che detta imposta risulta essere stata considerata due volte sull’importo delle opere extra contratto.

5.1. – Il motivo è fondato in quanto il calcolo effettuato dalla Corte territoriale contrasta con la norma (non dell’art. 1, ma) del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, commi 3 e 4 secondo cui ai fini dell’applicazione dell’IVA le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, ovvero dell’emissione della fattura se emessa anteriormente, di guisa che l’imposta deve essere calcolata una sola volta sull’importo pagato o fatturato.

6. – Con il ricorso incidentale la parte controcorrente sostiene che:

1) se, come ha ritenuto la Corte d’appello con accertamento non censurato in questa sede, la colpa dell’interruzione dei lavori non poteva essere ascritta alla Dosi s.r.l., non poteva neppure porsi a carico dell’impresa appaltatrice la somma di L. 3.780.000 necessaria per il completamento dell’opera, così come neppure potevano addebitarsi all’impresa le somme dovute per la difformità dal progetto, sicchè la sentenza è sul punto viziata da motivazione illogica o comunque omessa o insufficiente anche in considerazione di quanto eccepito nella consulenza tecnica di parte; 2) non sono evincibili vizi e relativa quantificazione, con conseguente difetto di motivazione al riguardo, vizi che comunque non sono mai stati denunciati dalla parte committente, sono stati accettati dalla committenza e comunque risultano preclusi da prescrizione e decadenza, che la parte contro ricorrente eccepisce; 3) tutti le opere sono state eseguite sotto la direzione del direttore dei lavori, che ha sottolineato che la variazione della quota del solaio era tecnicamente corretta e che aveva prestato il proprio consenso al riguardo; sotto tale riguardo la motivazione della sentenza impugnata è inadeguata, illogica e contraddittoria anche con riferimento alla valutazione delle risultanze probatorie, alla violazione della previsione contrattuale di cui al punto m), nonchè in relazione alle norme degli artt. 1662, 1663, 1665 e 1667 c.c.; 4) risulta violato l’art. 1671 c.c. in quanto, avendo la Corte accertato che l’interruzione dei lavori non era addebitabile alla società Dosi, quest’ultima aveva comunque diritto non solo al pagamento delle opere eseguite, ma anche al mancato guadagno; 5) è stato violato anche l’art. 1224 c.c., in quanto, data la non controversa qualità d’imprenditore commerciale della Dosi s.r.l. e la deduzione, da parte sua, di un danno da perdita del potere d’acquisto della moneta per il ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, ai fini del risarcimento del maggior danno non era necessaria la prova di un concreto danno ricollegabile all’indisponibilità del credito, dovendosi presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, che la somma percepita in caso di tempestivo adempimento sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi.

6.1. – Il motivo contiene censure in parte infondate e in parte inammissibili.

6.1.1. – Quanto alla prima e alla quarta censura, va osservato che la non imputabilità all’appaltatore dell’interruzione del rapporto contrattuale non implica un automatico riconoscimento del diritto alla percezione anche del compenso previsto per le opere non eseguite, ma solo, in ipotesi, al pagamento di un indennizzo per il mancato guadagno, ai sensi dell’art. 1671 c.c., ove sia stata proposta la relazione azione; il che non è avvenuto nella specie, avendo la Dosi s.r.l. agito per il pagamento delle opere eseguite e per il risarcimento del danno (v. pag. 3 della sentenza impugnata).

E’ inammissibile, invece, la seconda parte della prima censura, atteso che non è specificato rispetto a quali puntuali e decisive allegazioni di parte la motivazione sui difetti dell’opera sarebbe carente.

6.1.2. – La seconda censura è inammissibile in quanto introduce una questione – la decadenza del committente dall’azione di garanzia – nuova, che non risulta aver formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (cfr. in tema di inammissibilità del motivo che introduca una questione nuova nel procedimento di legittimità, Cass. nn. 1474/07 e 5620/06).

6.1.3. – La terza censura è relativa ad un accertamento di fatto – il giudizio – favorevole all’esattezza dell’opera, che sarebbe stato formulato dal direttore dei lavori – di cui non è nè indicata la specifica deduzione nel giudizio d’appello, nè dimostrato il carattere decisivo, sicchè la critica si limita a sollecitare un sindacato di merito incompatibile con il giudizio di legittimità. 5.1.4. – La quinta censura, infine, è infondata.

Infatti, nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass. S.U. n. 19499/08). Occorre pur sempre, però, che il creditore fornisca la prova di tale differenziale tra il rendimento dei titoli del debito pubblico e il saggio legale degli interessi; prova che, nella specie, la sentenza impugnata esclude (dando atto che la parte ricorrente non ha dimostrato "ulteriori compensi per danni"), e che il motivo d’impugnazione non allega essere stata, invece, offerta.

6. – In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo del ricorso principale, respinti gli altri, e rigettato il ricorso incidentale.

Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri, rigetta il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello dell’Aquila, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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