Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 08-06-2011, n. 23095 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 marzo 2010, la Corte d’Appello di Cagliari riformava parzialmente la sentenza con la quale, il 15 novembre 2005, A.M. era stato condannato dal Tribunale di Cagliari per i reati di cui agli artt. 609 bis e 594 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e art. 612 c.p., comma 2.

Lo stesso era accusato di aver richiamato l’attenzione di una bambina dodicenne intenta a cercare lumache in un campo sportivo vicino casa e, dopo averle rivolto apprezzamenti sul suo aspetto fisico mentre si trovava a bordo della propria vettura, al tentativo della giovane di allontanarsi, la tratteneva dapprima per un braccio e poi, sceso dalla vettura, le palpava il seno ed i glutei baciandola sulla bocca e minacciandola successivamente di investirla con l’auto se avesse raccontato l’accaduto.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 533 c.p.p. ed il vizio di motivazione, osservando che la sentenza impugnata non dà adeguatamente e logicamente conto delle ragioni per le quali i giudici dell’appello erano pervenuti all’affermazione di responsabilità pur in presenza di dichiarazioni della persona offesa connotate da numerose contraddizioni ed in assenza di prove in merito alla sussistenza tanto dell’elemento oggettivo del reato che di quello soggettivo.

Aggiungeva che la decisione impugnata non aveva neppure valutato con il necessario rigore l’attendibilità della persona offesa la quale, costituitasi parte civile, aveva un interesse diretto ad una affermazione di penale responsabilità e poteva essere stata indotta alle dichiarazioni rese da interferenze poste in essere da terze persone.

Aggiungeva che nessuno dei testi escussi lo aveva visto molestare o minacciare la minore.

Con un secondo motivo di ricorso deduceva l’erronea applicazione dell’art. 609 bis c.p., non avendo i giudici indicato in cosa sia consistita la violenza o minaccia nei confronti della minore e non avendo considerato, alla luce della ricostruzione dei fatti, che la eventuale compressione della libertà sessuale della bambina consentiva di ricondurre l’episodio tra quelli di minore gravità.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e si colloca ai limiti dell’inammissibilità.

Esso è infatti connotato, per lo più, da generiche affermazioni che non forniscono alcuna indicazione delle specifiche censure mosse alla decisione impugnata la quale, al contrario, si presenta del tutto immune da censure.

Ciò premesso, deve osservarsi che il ricorso è principalmente incentrato sulla inattendibilità della persona offesa e la conseguente imprecisa ricostruzione dei fatti contestati.

Tali affermazioni, seppure espressamente riferite al vizio di motivazione ed alla violazione di legge in cui sarebbero incorsi i giudici dell’appello, si risolvono nella prospettazione di una lettura alternativa del materiale probatorio acquisito nel giudizio di merito non consentito in questa sede di legittimità.

La Corte territoriale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, ha proceduto ad una rigorosa analisi dei dati offerti alla sua attenzione, rilevando come le dichiarazioni della giovane vittima di abuso sessuale siano state sempre lineari e coerenti ed avessero trovato conferma in riscontri obiettivi esterni.

Osservano a tale proposito i giudici che la minore aveva dichiarato di aver avuto dapprima timore a confidarsi con la madre sull’accaduto e solo dopo aver casualmente incontrato il suo aggressore si era spaventata e messa a piangere, confidandosi con la persona che l’accompagnava la quale, a sua volta, forniva una identica versione dell’episodio.

Aggiungono, inoltre, che la bambina non conosceva il ricorrente, nè risultavano ragioni di contrasto o intenti calunniatori da parte della stessa anche in considerazione del fatto che la giovanissima età non le avrebbe consentito di ripetere nel tempo, con linearità e coerenza, una versione dei fatti non rispondenti al vero e finalizzati ad accusare falsamente il ricorrente di reati mai commessi.

La Corte valorizza, inoltre, altri dati fattuali, quali la reazione emotiva della piccola in occasione del casuale incontro con il ricorrente e lo stato di agitazione manifestato dopo l’episodio che l’aveva vista coinvolta e che le aveva impedito, come riferito dalla madre, di continuare ad uscire da sola.

Infine, ne 11’apprezzare la veridicità del racconto della minore, la Corte evidenzia che, pur avendo il ricorrente lamentato la presenza di contraddizioni tra quanto dichiarato dalla persona offesa nel corso del dibattimento ed in sede di sommarie informazioni testimoniali nel corso delle indagini, sulle quali aveva insistito nell’atto di appello, queste non erano state mai formalmente contestate dalla difesa del ricorrente nel corso dell’esame ed, anzi, vi era stata ferma opposizione all’acquisizione agli atti del processo del relativo verbale nonostante la richiesta del Pubblico Ministero e della parte civile.

La Corte d’Appello ha dunque fornito una coerente ed esaustiva indicazione dell’iter argomentativo seguito per pervenire alla decisione impugnata la cui motivazione, priva di contraddizioni e di salti logici, si presenta del tutto immune dalla censure mosse in ricorso.

Corretta appare, inoltre, la qualificazione giuridica del fatto come violenza sessuale.

E’ infatti di tutta evidenza che la nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non consiste soltanto nell’applicare energia fisica direttamente verso la persona offesa, ma anche nel porre in essere qualsiasi atto o fatto che limiti la libertà del soggetto passivo il quale viene costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà (Sez. 3^ n. 6643, 18 febbraio 2010).

La semplice ricostruzione dei fatti evidenziava, quindi, che tale violenza venne esercitata nei confronti della minore la quale, mentre cercava di allontanarsi, era stata trattenuta e poi costretta a subire, certamente contro al sua volontà, i palpeggiamenti ed i baci del ricorrente.

Parimenti corretta è la determinazione che ha condotto alla revoca delle attenuanti generiche.

La decisione impugnata precisa, sul punto, che deponevano in tal senso la presenza di precedenti penali, ancorchè non specifici e la gravita del fatto che evidenziava una spiccata capacità a delinquere caratterizzata dalla progressione dei comportamenti posti in essere nei confronti di un’adolescente che si trovava in una fase critica dello sviluppo ed esposta al rischio di una successiva crescita non equilibrata e dall’atteggiamento di minaccia che manifestava inequivocabilmente la mancanza di ravvedimento.

Occorre ricordare, a tale proposito, che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1 n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6 n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6 n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1 n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010).

Anche sotto tale profilo, pertanto, la decisione impugnata è immune da censure.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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