Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 11-05-2011) 08-06-2011, n. 23094 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 marzo 2010, la Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione del G.U.P. di Santa Maria Capua Vetere con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, T.M. era stato condannato, il 12 giugno 2009, per i reati di violenza sessuale tentata in danno di minore, corruzione di minorenne ed atti osceni.

Lo stesso era chiamato a rispondere del primo reato in quanto, dopo essersi denudato si mostrava ad una adolescente di anni quindici mentre era intento a masturbarsi e, dopo che la stessa si era allontanata, l’aveva seguita con la propria auto tentando di toccarla e di trascinarla all’interno del veicolo con il quale l’aveva pedinata.

Il secondo reato contestato si era invece concreato in quanto si era mostrato nelle medesime condizioni ad una donna ed al figlio minore di costei di anni due.

Entrambe le condotte venivano poste in essere sulla pubblica via, di qui l’imputazione anche per il terzo reato.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Deduceva, in primo luogo, il vizio di motivazione rilevando che, con riferimento al tentativo di violenza sessuale, la motivazione si presentava manifestamente illogica laddove si era ritenuto configurabile detto reato in presenza di una evento riconducibile, invece, nella fattispecie di cui all’art. 527 c.p., in quanto scopo evidente della condotta posta in essere era quello di far assistere la minore alla propria masturbazione e non anche quello di avere un contatto fisico con la stessa.

Con riferimento al reato di corruzione di minorenne rilevava l’insussistenza dei presupposti del delitto contestato in quanto il suo intento era soltanto quello di molestare la donna adulta senza avere alcuna intenzione di mostrarsi al bambino, ritenendo peraltro che lo stesso, per la piccola statura, non fosse in grado di vedere quanto avveniva all’interno della vettura dove egli si trovava seduto mentre era intento a masturbarsi.

Lamentava inoltre la violazione dell’art. 609 bis c.p. con riferimento al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al comma 3, medesimo art., ben potendo i fatti ipotizzati ricondursi tra quelli di minore gravità.

Osservava, infine, che la Corte territoriale aveva del tutto omesso di motivare in ordine alla richiesta di contenimento dell’aumento per la continuazione entro il minimo edittale.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso appare fondato.

Occorre in primo luogo rilevare che nell’imputazione formulata al capo A) della rubrica la condotta del ricorrente viene descritta nel senso che lo stesso, dopo essersi mostrato alla minore nell’intento di masturbarsi, avrebbe poi tentato di toccarla e trascinarla nella sua vettura con la quale l’avrebbe anche pedinata.

La sentenza impugnata, però, fornisce una descrizione diversa dell’episodio.

Rinviando infatti per l’esatta ricostruzione alla decisione di primo grado, la Corte territoriale rileva che il ricorrente aveva inseguito la minore dopo che la stessa, resasi conto delle sue intenzioni, cercava di allontanarsi. L’inseguimento era avvenuto mediante una manovra a marcia indietro a velocità sempre maggiore per raggiungere la ragazza la quale trovò rifugio in un’abitazione nei pressi.

I giudici dell’appello, richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ritengono corretto l’inquadramento dell’episodio, effettuato dal giudice di prime cure, nell’ipotesi di violenza sessuale tentata, in quanto la condotta posta in essere avrebbe denotato il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo di violare la libertà di autodeterminazione della vittima.

Ciò posto, deve rilevarsi che sebbene il tentativo di violenza sessuale sia certamente configurabile anche allorquando manchi un contatto fisico tra l’autore del reato e la persona offesa (v. Sez. 3^ n. 27762, 8 luglio 2008; Sez. 3^ n. 34128, 12 ottobre 2006) deve tuttavia sussistere l’univoca intenzione dell’agente di soddisfare la propria concupiscenza e l’oggettiva idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione sessuale della vittima.

La giurisprudenza di questa Corte ha tuttavia precisato che l’atto sessuale cui la norma fa riferimento deve comunque coinvolgere la corporeità sessuale del soggetto passivo il quale, stabilisce l’art. 609 bis, deve essere costretto "a compiere o subire atti sessuali" (Sez. 3 n. 2941, 3 novembre 1999).

Tale requisito è stato ritenuto infatti determinante, nella menzionata decisione, per distinguere l’atto sessuale propriamente detto da tutti gli altri atti che, sebbene significativi di concupiscenza sessuale, siano tuttavia inidonei ad intaccare la sfera della sessualità fisica della vittima, in quanto comportano esclusivamente un’offesa alla libertà morale o al sentimento pubblico del pudore, come avviene nel caso dell’esibizionismo, dell’autoerotismo praticato in presenza di altri costretti ad assistervi o del "voyeurismo".

La decisione richiamata, invero, parte dal presupposto che la nozione di atti sessuali attualmente contemplata dal codice penale comprenda in sè entrambi i concetti di congiunzione carnale e atti di libidine in precedenza considerati dal legislatore, con la conseguenza che devono ritenersi estranei a tale nozione tutti gli atti o comportamenti che, pur essendo manifestazione di istinto sessuale, non si risolvano in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo o comunque non coinvolgano la corporeità sessuale di quest’ultimo.

Si precisa, altresì, che i reati di violenza sessuale attualmente considerati dal codice penale offendono la libertà personale intesa come libertà di autodeterminazione della propria corporeità sessuale e non già la libertà morale della persona oppure il pudore e l’onore sessuale come specificazioni della moralità pubblica e del buon costume.

Da tale distinzione la menzionata pronuncia ricava l’ulteriore conclusione che l’esibizionismo o il compimento di atti di masturbazione in presenza di terzi costretti ad assistervi senza che vi sia alcun contatto con i genitali o le zone erogene della persona presente non consentono di ritenere configurabile la violenza sessuale quanto, piuttosto, il delitto di atti osceni o quello di violenza privata, sempre che ne sussistano le condizioni. Il voyeurismo, invece, può essere ricondotto ad una ipotesi di molestia nei confronti delle persone oggetto della morbosa curiosità, ma non integra violenza sessuale nei confronti delle stesse.

Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide, deve rilevarsi che, nella fattispecie, la sentenza impugnata non fornisce alcuna indicazione circa le ragioni per le quali debba riconoscersi nel pedinamento della minore l’univoca finalità del ricorrente di compiere atti sessuali con la stessa o farli ad essa subire e non anche il solo intento di procedere ulteriormente nella attività di esibizionismo che l’allontanamento della giovane aveva impedito di portare a compimento.

Potendosi tale dato fattuale ricondurre in diverse ipotesi di reato per le ragioni dianzi esposte, le conclusioni cui perviene la Corte territoriale si palesano, in assenza di ulteriori specificazioni, come del tutto apodittiche, con la conseguenza che la lacuna motivazionale dovrà essere colmata nel successivo giudizio di rinvio tenendo conto dei principi menzionati.

Il secondo motivo di ricorso è, invece, infondato.

Nel delitto di corruzione di minorenni il bene giuridico tutelato consiste nella difesa di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale del minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall’assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri (Sez. 3^ n. 44681, 7 dicembre 2005).

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico, individuabile nella finalità di far assistere il minore al compimento degli atti sessuali o, comunque, nella consapevolezza di agire allo scopo di far assistere il minore a tali atti commessi in sua presenza e che si è ritenuto incompatibile con il dolo eventuale (Sez. 3^ n. 15633, 15 aprile 2008).

La decisione appena richiamata evidenzia, peraltro, che per la configurabilità del reato deve ritenersi necessaria la presenza consapevole del minore da preferire alla mera presenza fisica, in quanto lega la punibilità del fatto alla possibilità di percezione da parte del minore dell’atto sessuale compiuto in sua presenza.

Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, tuttavia, non è in alcun modo richiesto dalla norma che il minore sia l’unico destinatario della condotta illecita quando l’autore del reato sia consapevole della presenza cosciente dello stesso.

Nella fattispecie risulta chiaramente dalla descrizione dei fatti forniti dalla decisione impugnata che il ricorrente era perfettamente conscio della presenza del minore, al cospetto del quale si è denudato e masturbato facendolo comunque assistere al compimento di tali atti ancorchè diretti anche verso la madre dello stesso ed una sua amica.

Non vi è dunque, in tale ipotesi, la mera accettazione del rischio che il minore possa eventualmente assistere al compimento dell’atto, quanto piuttosto la piena consapevolezza della cosciente presenza dello stesso e le affermazioni giustificative riportate in ricorso, circa la ritenuta impossibilità che il bambino, a causa della statura, non fosse in grado di vedere quanto accadeva all’interno della vettura sono state coerentemente ritenute dalla Corte territoriale del tutto prive di riscontro, evidenziando altresì che a tale circostanza il ricorrente non aveva mai fatto riferimento nel corso del processo, essendosi limitato a scusarsi per l’accaduto.

La natura assorbente del primo motivo di ricorso esonera, infine, questa Corte dalla trattazione degli ulteriori motivi dedotti.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente al capo A) della rubrica con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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