Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-10-2011, n. 20756 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato, depositato il 4 luglio 2008, la Corte d’appello di Potenza ha rigettato la domanda proposta da P. O., per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione nell’importo meglio visto, per i danni non patrimoniali conseguenti alla violazione del termine di durata ragionevole del procedimento penale per una serie di truffe, di cui la parte aveva avuto per la prima volta cognizione con la notificazione del decreto di citazione a giudizio del 24/6/2002, definito dal Tribunale di Brindisi in 1^ grado con la sentenza del 20/10/2005, e dalla Corte d’appello di Lecce, con la sentenza del 26/1/07, ed infine dalla S.C. con dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto dal P., in data 26/9/2007.

La Corte territoriale ha respinto la domanda del P., rilevando che, partendo dalla data di notificazione del decreto di citazione a giudizio, la durata complessiva del processo penale nei tre gradi percorsi andava individuata in anni cinque, mesi tre e giorni due, durata che non travalicava il termine di ragionevole durata fissato, per consolidato orientamento della Corte EDU, in anni sei per tutti i gradi del giudizio.

Ricorre per cassazione il P., sulla base di quattro motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1.1.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, comma 1 della CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè difetto di motivazione del decreto, dovendo ritenersi ricompreso nella tutela dell’art. 6, par. 1 della CEDU, alla stregua della giurisprudenza del S.c. e della Corte EDU, la fase delle indagini preliminari, a partire da quando perviene la notitia criminis alla Procura ed il soggetto viene iscritto nel registro degli indagati, e nel caso l’iscrizione è avvenuta nell’anno 2000, come risulta dal RGNR, da cui la durata del processo di sette anni.

1.2.- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dei criteri di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, in particolar modo quello riguardante il comportamento delle parti e la valutazione del procedimento nella sua interezza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e difetto di motivazione, per avere la Corte territoriale valutato nel complesso il processo, ma operato una selezione tra i tre gradi, mentre la durata del processo va valutata nella sua unitarietà, non limitandosi a valutare solo il periodo eccedente la durata ragionevole.

1.3.- Con il terzo motivo, la parte lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza di danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole, ex art. 360 c.p.c., n. 5: il P., per il protrarsi del giudizio, si è trovato in uno stato di angoscia, incertezza, frustrazione.

1.4.- Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento alla L. n. 89 del 2001, artt. 4 e 5, per essere stata pronunciata la condanna alle spese del ricorrente, in violazione dei principi della Corte EDU. 2.1.- 2.1.- I motivi primo, secondo e quarto sono da ritenersi inammissibili, per quanto di seguito rilevato, ed il terzo motivo va ritenuto assorbito.

Come affermato dalle S.U. nella sentenza 2658/2008, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile ratione temporis, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una "regula iuris".

E’ agevole rilevare che i tre motivi indicati si risolvono in una mera domanda alla Corte sulla fondatezza di quanto sostenuto nel motivo, peraltro, formulata in maniera del tutto generica, senza alcun riferimento alle specifiche argomentazioni del decreto impugnato e quindi anche inconferente.

Quanto alle denunce di vizio di motivazione, va rilevata altresì l’inammissibilità, alla stregua del principio secondo il quale in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (in tali termini la sentenza delle S.U., n. 20603/07, nonchè le successive pronunce 4309/08, 8897/08 e 11019/2011, tra le tante).

Tale momento di sintesi è nel caso insussistente.

3.1.- Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente grado del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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