Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-05-2011) 08-06-2011, n. 22838

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 25 giugno 2010 e depositata il 21 agosto 2010, la Corte di appello di Palermo, ridotte in parziale riforma della sentenza del giudice della udienza preliminare del Tribunale di quella stessa sede, 10 ottobre 2008, le pene principali, irrogate a G.G. e a M.L. – rispettivamente a quattro anni, otto mesi di reclusione ed Euro 24.000 di multa, al primo, e a due anni, otto mesi di reclusione ed Euro 12.000 di multa alla seconda – ed eliminate o sostituite le pene accessorie, ha confermato, nel resto, la condanna inflitta ai succitati imputati e agli altri appellanti V.G. B. e V.S., imputati V.G. B., G. e la M., in concorso con S. S. e B.D., separatamente processati, del delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti (capo 1); il solo V. G.B., in concorso col B., dell’ulteriore delitto di coltivazione (capo 2), della estorsione tentata in danno dell’allevatore Ta.Bu.Fr. (capo 9), della corruzione dell’agente della Polizia Penitenziaria E. F. (capo 17); entrambi i V. della estorsione in danno del commerciante L.C.G. (capo 4), dell’incendio della autovettura del genitore di costui (capo 5), della estorsione tentata in danno del commerciante V.P. (capo 6), del danneggiamene dell’uliveto del padre della vittima (capo 7), della estorsione tentata in danno dell’imprenditore Sa.Sa.

(capo 8), della violazione del domicilio di C.D. (capo 12), del danneggiamento della porta della abitazione del succitato C. (capo 13), di lesione personale (capo 14) e di violenza privata tentata (capo 15) in danno del medesimo, di estorsione consumata in danno di P.V. (capo 18).

I giudici di merito, sulla base delle intercettazioni dei colloqui intercosi nel parlatorio del carcere, nei mesi maggio, giugno, luglio e agosto dell’anno 2007, tra il detenuto V.G. B., la M. (sua convivente) e altri familiari, in visita, hanno accertato quanto segue: V.G.B. continuò a gestire dal carcere tramite i compartecipi, tra i quali il cognato G.G., la coltivazione di una piantagione di un milione e quattrocentomila arbusti di canapa indiana, in agro di Monreale, in contrada Perciana, vicino al centro abitato del limitrofo comune di san Cipirrello e alla cantina vinicola denominata Pietralunga; il terreno era dotato di impianto di irrigazione a pioggia alimentato da un invaso artificiale; il medesimo V. coltivava, altresì, in concorso col compartecipe B.D. (separatamente processato), altra piantagione di canapa, sita alla contrada Dammusi in agro di Monreale;

In relazione ai motivi di appello la Corte territoriale ha osservato, quanto appresso.

1.1 – Il linguaggio criptico delle conversazioni non ha impedito alla polizia giudiziaria di disvelarne l’illecito contenuto e localizzare e individuare le piantagioni; gli accertamenti tossicologici e le indagini botaniche hanno accertato la natura delle piante coltivate;

certa è la identificazione del G., per il riferimento degli interlocutori alla relazione di affinità che lo lega al cognato V. (avendone sposato la sorella C.) e per il diminutivo I.; privi di pregio sono i rilievi difensivi sul punto che nelle conversazioni talvolta sia menzionato il nome di battesimo G. e sul punto che G. coltivi effettivamente pomodori, in quanto dal contesto dei colloqui si evince che la menzione dell’ortaggio cela il riferimento alla canapa indiana; nè rileva la circostanza che la presenza di G. in contrada Perciana non sia stata rilevata in occasione del sopralluogo eseguito dalla polizia giudiziaria il 7 agosto 2007, in quanto dalla intercettazione del 21 luglio 2007 emerge che G. si teneva lontano dalla piantagione, subodorando il controllo delle Forze dell’ordine.

1.2 – L’entità della coltivazione non consente il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche (già elargite) sulla ritenuta aggravante dell’art. 80 del Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, etc., approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. 1.3 – Le evidenze delle intercettazioni conclamano il ruolo di "dominus" della coltivazione esercitato da V.G. B..

1.4 – La intercettazione del 6 agosto 2007 dimostra il coinvolgimento di V. anche nella coltivazione della piantagione di contrada Dammuso, in quanto la M. lo assicura che lo zio M. G., arrestato il 24 luglio 2007, in seguito alla scoperta della piantagione in parola, "non lo aveva chiamato in causa". 1.5 – Le pene per G. e la M. devono essere congruamente ridotte, ai sensi dell’art. 133 c.p., nelle misure rispettivamente indicate, in considerazione che nessuno dei due rivestì ruoli di particolare preminenza nella compartecipazione delittuosa e, quanto alla M., tenuto anche conto della incensuratezza della donna.

1.6 – In relazione alla estorsione in danno del commerciante L. C. è dimostrato il concorso di V.G.B. e di V.S..

Il primo, preso contatto con la vittima tramite il dipendente del commerciante, tale F.P., in più incontri, formulò reiterate richieste estorsive, col pretesto di dover corrispondere l’onorario al proprio difensore. La pretesa iniziale di Euro 20.000 fu dimezzata per la resistenza di L.C.. Uno degli incontri fu preannunziato da V.S. il quale riferì a L.C. che G.B. gli doveva parlare "per quel discorso", dimostrando di essere perfettamente al corrente e partecipe della vicenda. Al rifiuto di L.C., seguì quella stessa notte l’incendio della autovettura di L.C.G., genitore di G..

La testimonianza affatto attendibile della persona offesa, assunta nell’incidente probatorio, trova conferma nelle relazioni di servizio: V.S. fu scorto il 28 marzo 2007, allorchè contattò L.C.; e, nell’occasione, fu pure avvistato V. G.B. il quale stazionava poco distante accanto alla sua vettura Golf; Co.Vi., socio di L.C., confidò al maresciallo Mo., comandante della stazione dei Carabinieri di San Giuseppe Jato, che era stata avanzata la richiesta estorsiva e che aveva consigliato L.C. di sporgere denunzia. La estorsione forma, peraltro, oggetto della conversazione intercettata il 6 maggio 2007 tra V.G.B., V.S. e V. S., fratello di G.B.; S. consigliava di adottare maggiore prudenza; V.S. proponeva di non contattare più direttamente la vittima, bensì di interessare al riguardo il dipendente di L.C., F.P.; ma S. replicava che il F. non sarebbe stato disponibile, avendo compreso che si trattava di "pizzo".

Infondata è, pertanto, la tesi dell’appellante V.S. di non essere a conoscenza della estorsione, essendosi limitato a comunicare a L.C. che V.G.B. voleva incontrarlo.

La metodologia tipicamente mafiosa e il riferimento criptico di V.G.B. a "chi era sopra di lui" danno conto della ricorrenza della aggravante a effetto speciale.

1.7 – Il commerciate V.P., titolare del negozio di laterizi V.C., ha riferito in ordine alla richiesta estorsiva di una somma di danaro imprecisata rivoltagli, con "tono minaccioso" da V.G.B. il quale era assieme a V.S. la notte del 3 aprile 2007. Al rifiuto segui la notte successiva il danneggiamento dell’uliveto di V. C., padre di P.: trecentocinquanta piante vennero resecata alla base del tronco.

V.P. ha individuato fotograficamente sia V. G.B. che V.S..

Il taglio degli alberi è stato, inoltre, rievocato da V. S., nel corso della conversazione con V.S., intercettata il 9 maggio 2007: il primo ricorda al secondo quanto faticosa era stata la esecuzione della impresa delittuosa.

In precedenza altra conversazione, intercettata il 6 maggio 2007, tra V.G.B., V.S. e V. S. concerne le strategia da adottare per portare a termine l’estorsione in danno del commerciante di ceramiche.

La narrazione dei fatti offerta della persona offesa, più diffusa in sede di incidente probatorio rispetto alla denunzia (caratterizzata da comprensibile e maggiore "prudenza"), non incide sulla attendibilità del testimone.

Prive di pregio sono, pertanto, le deduzioni degli appellanti. In particolare, per quanto riguarda V.S., la presenza di costui in occasione del primo contatto colla vittima, non può reputarsi meramente inerte e passiva, avendo rafforzato piuttosto la capacità di intimidazione.

1.8 – Il colloquio nel parlatorio del carcere di Palermo – Pagliarelli tra V.S., detenuto, e i genitori in visita, intercettato il 6 dicembre 2007, disvela la estorsione commessa dal giudicabile, in concorso con V.G.B., in danno di P.V., addetto alla omonima azienda agricola.

L’appellante spiega ai genitori, ignari, la ragione per la quale P., già sottoposto a taglieggiamento, aveva loro ceduto alcuni prodotti a prezzo irrisorio.

Successivamente sentito, il 6 febbraio 2008, P. ha confermato di aver consegnato alcuni agnelli e partite di formaggi ai V. che li avevano pretesi gratuitamente, in quanto conoscendo "di fama" gli estortori, come persone "capaci di azioni delittuose", aveva preferito soggiacere alla imposizione – anche in difetto di minacce espresse – per timore di danneggiamenti alla azienda in caso di rifiuto. .

L.d.e.i.d.f.d.p.o.r.

s.l.i.d.Giovanni Battista e.d.Vassallo Stefano ,.g.v.i.t.i.o.d.l.a.

n.p.d.2.

I.r.f.d.Vassallo Stefano a.g.s.

l.d.d.s.e.

1.-.I.o.d.p.l.Buscemi Tartarone Francesco h.c.l.c.r.a.C. d.S.d.S.G.J.(.d.d.r.d.

s.d.2.m.2.c.l.r.d.p.d.E. 8.p.i.p.d.g.e.c.l.d.s.

a.s.a.r.o.a.Vassallo Giovanni Battista ,.p.c.d.v.

F.d.s.l.d.p.o.l.

i.d.g.e.l.d.p.i.

q.i.t.d.p.a.p.a.t.

p.c.a.a.l.d.g.

1.-.L.p.d.d.c.i.d.d.Cirrincione Domenico d.Giovanni Battista e.d.Stefano @Vassallo ,.i.

c.c.a.p.n.i.e.o.d.

d.d.p.o.l.q.h.p. i.d.

R.c.c.a.d.l.a.f.

p.a.d.a.d.Cirrincione.

1.-.L.d.c.d.1.m.2.t.

Gi.Ba. e V.S. e persona, poi identificata nel geometra Sa.Sa., procuratore della impresa Savatteri Costruzioni, s.r.l, la localizzazione geosatellitare degli interlocutori nel cantiere della ditta, le dichiarazioni del Sa. e la individuazione fotografica da parte di costui degli appellanti V. comprovano il tentativo di estorsione, consistito nella imposizione della assunzione di personale e dell’acquisito di materiali da determinati fornitori.

Il tono "perentorio" delle richieste ne disvela la valenza estorsiva.

1.12 – Dell’accertamento della corruzione da conto la coordinata considerazione delle evidenze emergenti a) dal servizio di osservazione predisposto che ha consentito di verificare il prelievo effettuato il 6 dicembre 2007 da parte dell’agente della Polizia Penitenziaria corrotto di più buste colme di frutta e verdura dal banco dei fruttivendoli ambulanti C. e V.F.;

6) dalle conversazioni intercettate tra V.G.B. e i familiari, in visita, nel parlatorio del carcere, nei mesi di ottobre e novembre 2007, dalla quali risultano il contrabbando di cibarie e generi di conforto e le comunicazioni epistolari clandestine con V.S., nonchè il preannunzio da parte di V.G.B. di una visita dell’agente ai fruttivendoli per il prelievo di frutta.

1.13 – A carico di entrambi gli appellanti V.G. B. e V.S. ricorre la aggravante del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, la quale prescinde dalla intraneità alla associazione mafiosa.

1.14 – Il ruolo rivestito da V.S. nella compartecipazione delittuose osta al riconoscimento della attenuante della minima partecipazione.

1.15 – V.S. neppure merita la concessione delle attenuanti generiche in considerazione della gravità dei fatti e della pericolosità dell’appellante, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

1.16 – La pena irrogata al succitato appellante è congrua ed equa, rispondente alla dosimetria stabilita dall’art. 133 c.p..

1.17 – Deve essere esclusa la continuazione, invocata da V. G.B., tra i delitti concernenti gli stupefacenti e le estorsioni trattandosi di condotte non omogenee.

1.18 – A V.G.B. non possono concedersi le circostanze attenuanti generiche in considerazione della gravità dei fatti e del grado elevatissimo della capacità a delinquere.

1.19 – La pena irrogata all’appellante precitato, anche in relazione agli aumenti applicati a titolo di continuazione, è congrua ed equa, e risponde ai criteri dell’art. 133 c.p..

2. – Tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione:

V.G.B., mediante atto del 26 ottobre 2010, redatto dagli avvocati Vincenzo Giambruno e Fabio Ferrara; V. S., personalmente, mediante atto del 29 ottobre 2010; M. e G., mediante atto recante la data del 28 ottobre 2010, redatto dall’avvocato Vincenzo Giambruno.

2.1 – V.G.B. sviluppa nove motivi, con i quali dichiara promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 110, 56 e 629 c.p., Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, etc., approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 e D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203; inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

2.1.1 – Con il primo motivo i difensori deducono: è frutto di mera congettura indimostrata l’assunto della Corte territoriale che le conversazioni intercettate concernano la piantagione di canapa indiana, scoperta dai Carabinieri nell’agosto 2007 in località Perciana; il riferimento all’altezza nel corso della conversazione del 2 luglio 2007 non concerne le pianticelle, bensì la statura di tale D. la quale mandava i suoi saluti al ricorrente; il supposto compartecipe G. è effettivamente un bracciante agricolo e produce pomodori; la menzione degli ortaggi non riveste alcuna criptica valenza, come immotivatamente affermato dai giudici di merito; il consulente botanico del Pubblico Ministero ha stabilito che, alla data del 7 agosto 2007, le piantine avevano l’età di un mese; pertanto i pretesi interventi in epoca "di molto precedente" non avevano attinenza colla coltura dello stupefacente; nè la commissione per l’acquisto di gasolio per venti Euro, oggetto di conversazione del 24 aprile 2007 tra S. e V.S. può essere posta in relazione col rinvenimento del un bidone di quindici litri di nafta in occasione della ispezione effettuata dai Carabinieri il 7 agosto 2007 sul terreno della piantagione; lo stato di detenzione del ricorrente era incompatibile colla condotta materiale della coltivazione; nè è dimostrato, sul piano del concorso morale, il contributo offerto dal giudicabile alla attività delittuosa; V.G.B., sottoposto a controllo e monitoraggio fin dal marzo 2007, mai "venne localizzato dalla polizia giudiziaria nelle vicinanze del terreno" ove era coltivata la canapa.

2.1.2 – Con il secondo motivo i difensori, in relazione all’ulteriore delitto di coltivazione commesso in contrada Dammusi, oppongono che le emergenze della conversazione del 6 agosto 2007 sono affatto equivoche e inidonee a sorreggere l’accertamento della compartecipazione nella concorsuale condotta delittuosa, frutto piuttosto di mera congettura.

2.1.3 – Con il terzo motivo i difensori argomentano in ordine alla estorsione in danno del commerciante L.C. e al connesso delitto di incendio della autovettura del padre di lui: le richieste di danaro del ricorrente, "al di là di una generica e vaga pressione", non erano idonee "a coartare la volontà della persona offesa": non furono, infatti, "accompagnate da esplicite minacce verbali"; e il giudicabile ha, via via, notevolmente ridotto l’importo della pretesa; il mero riferimento a persona che "era sopra di lui" da parte di V.G.B. non vale a integrare la ritenuta aggravante a effetto speciale; la succitata riduzione dell’importo della somma richiesta contraddice la conclusione che il ricorrente sia stato l’autore dell’incendio, in quanto in tal caso V. "avrebbe mantenuto fermo il quantum". 2.1.4 – Con il quarto motivo i difensori, con riferimento alla estorsione in danno del commerciante V.P. e al connesso delitto di danneggiamento, obiettano: la richiesta di sovvenzione in danaro rivolta dal ricorrente non integra gli estremi della ritenuta ipotesi delittuosa; la pressione esercitata sulla persona offesa è, infatti, "troppo vaga e generica" e scevra da minacce; nessuna intimidazione o coartazione è stata operata; lo stesso denunziante ha espresso dubbi in ordine al collegamento tra la richiesta e il danneggiamento; le emergenze delle intercettazioni della conversazione tra V.S. e V.C. non sono pertinenti al danneggiamento dell’uliveto del padre di V. P.; la Corte territoriale non ha indicato, in relazione alla aggravante a effetto speciale, il connotato della metodologia mafiosa.

2.1.5 – Con il quinto motivo i difensori sostengono, circa la estorsione in danno di P.V., che costui ha negato che gli fossero state rivolte minacce in relazione alla regalia; la liberalità è stata frutto non di effettiva coartazione, bensì di mera supposizione ed "elaborazione soggettiva" della persona offesa, affatto errata; infatti, successivamente i familiari del V. pagarono la merce acquistata; lo stato psichico della persona offesa non è riconducibile al paradigma del soggetto passivo del delitto di estorsione, che nella specie è insussistente; nè, tampoco, ricorre l’aggravante a effetto speciale, difettando la connotazione del metodo mafioso.

2.1.6 – Con il sesto motivo i difensori rilevano, in relazione alla estorsione tentata in danno dell’imprenditore Sa.: il ricorrente non fece alcuna richiesta di denaro; difettano intimidazione e coercizione; la persona offesa ha accennato alla imposizione delle forniture solo dopo aver ascoltato la registrazione della conversazione intercettata; e tanto dimostra la inidoneità della richiesta dell’imputato "a coartare in qualche modo la volontà del Sa."; e in ordine alla aggravante a effetto speciale soccorrono analoghe considerazioni a quelle rassegnate nei precedenti motivi.

2.1.7 – Con il settimo motivo i difensori argomentano: il rifiuto opposto dal pastore T.B. "con modi rudi e sprezzanti" esclude la idoneità della ritenuta condotta delittuosa; difettano gli estremi della estorsione tentata e della aggravante a effetto speciale, in ordine alla quale si richiama quanto in precedenza osservato.

2.1.8 – Con l’ottavo motivo i difensori sostengono che il delitto di corruzione doveva essere derubricato ai sensi dell’art. 318 c.p., in quanto il recapito "in modo più celere e preferenziale" di cibarie e cosmetici al detenuto da parte del soggetto intraneo costruirebbe "un atto dovuto". 2.1.9 – Con il nono motivo i difensori censurano il diniego della continuazione tra i delitti di coltivazione degli stupefacenti e i reati di estorsione, tentata o consumata, deducendo: è errato il rilievo della Corte territoriale circa la mancanza di omogeneità delle condotte; è sufficiente "la generica programmazione di azioni criminose"; i giudici di merito hanno omesso di considerare che nella specie le attività delittuose, realizzate dal ricorrente in un breve periodo di tempo, sono frutto del proposito di V.G. B. di "affermare il proprio controllo nel territorio del paese", assumendo "una posizione antagonista al gruppo di potere mafioso di Br.Gi.". 2.2 – V.S. sviluppa sette motivi, con i quali dichiara – anche promiscuamente – di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale (primo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo), nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (primo, secondo, terzo, quinto e settimo motivo).

2.2.1 – Col primo motivo il ricorrente censura l’affermazione della responsabilità penale in ordine alla estorsione tentata in danno del commerciante L.C.G., deducendo: la pura e semplice comunicazione alla persona offesa che V.G.B. voleva parlargli non integra gli estremi della compartecipazione nella attività delittuosa; difetta la tipicità del contributo causale e manca, inoltre, la prova dell’elemento psicologico; la Corte territoriale ha, infine, erroneamente attribuito a esso ricorrente il riferimento operato da V.G.B. a V.P. nel corso della conversazione del 6 maggio 2007. 2.2.2 – Col secondo motivo il ricorrente obietta che è frutto di mera supposizione indimostrata l’attribuzione dell’incendio della autovettura di L.C.G., operata dalla Corte di appello in violazione dei canoni stabiliti dall’art. 192 cod. proc. pen. e del principio dell’accertamento della responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio.

2.2.3 – Col terzo motivo il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto più attendibile la testimonianza di V.P. in sede di incidente probatorio rispetto alle dichiarazioni rese dal teste all’atto della denunzia, allorchè aveva rappresentato "un ruolo inattivo" di esso imputato in occasione dell’incontro con V.G.B.; sostiene che le prime dichiarazioni sono maggiormente attendibili; deduce che esso ricorrente è incensurato; che la persona offesa ha dichiarato di conoscerlo appena di vista; che contraddittoriamente i giudici di merito hanno supposto che la vittima potesse essere stata intimidita.

Oppone, infine, il ricorrente che la mera presenza in occasione del colloquio tra V.G.B. e V.P. non integra alcuna compartecipazione nella tentata estorsione.

2.2.4 – Con il quarto motivo il ricorrente, in relazione alla estorsione tentata in danno di Sa.Sa., argomenta:

non fu rivolta alcuna minaccia, nè richiesta di danaro;

l’imprenditore non aveva attribuito alcuna importanza alla offerta di servizi; e solo dopo l’ascolto della registrazione accennò alla imposizione della fornitura di materiale.

2.2.5 – Con il quinto motivo il ricorrente oppone con riferimento alla estorsione in danno di P.V.: la persona offesa ha liberamente accondisceso alla regalia senza che gli fosse stata rivolta alcuna minaccia e senza che esso ricorrente e il coimputato avessero assunto atteggiamenti intimidatori; e se anche si supponesse la ricorrenza di "una blanda forma di minaccia", difetterebbe il nesso eziologico con l’atto di disposizione spontaneamente compiuto;

la conversazione intercettata il 6 dicembre 2007 con i genitori in visita al carcere non suffraga l’accertamento della responsabilità;

P. fece un piccolo sconto per "la quantità rilevante" degli acquisti; è arbitraria e affatto soggettiva l’interpretazione della mimica degli interlocutori; difetta, infine, la ricorrenza della aggravante del metodo mafioso.

2.2.6 – Col sesto motivo il ricorrente censura il diniego della attenuante della minima partecipazione in relazione ai delitti di cui ai capi 4, 6 e 18, deducendo, quanto alla estorsione tentata in danno di L.C., che la condotta consistette nella semplice comunicazione che V.G.B. desiderava incontrare il commerciante, e, quanto agli altri reati, che il ruolo fu "meramente passivo". 2.2.7 – Col settimo motivo il ricorrente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, argomentando che il diniego non è giustificato dal rilievo della misura di prevenzione, peraltro assertivamente applicata sulla base della considerazione delle medesime condotte delittuose oggetto del giudizio.

2.3 – M. e G. sviluppano due motivi con i quali dichiarano promiscuamente di denunciare, à sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 267, 268 e 271 cod. proc. pen. (primo motivo) e in relazione all’art. 110 c.p. e Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, etc., approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 (secondo motivo), nonchè manifesta illogicità della motivazione (con entrambi i motivi).

2.3.1 – Col primo motivo i ricorrenti eccepiscono la inutilizzabilità delle conversazioni intercettate "con riferimento al decreto 1372/07 n.r.i".

Previo richiamo di precedente delle Sezioni Unite pertinente alla materia, il difensore deduce: il decreto di deroga emesso dal Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3, per l’esecuzione delle intercettazioni mediante impianti diversi da quelli installati nella Procura della Repubblica, è immotivato; il mero rilievo della "insufficienza degli impianti" della sala ascolto dell’ufficio non soddisfa l’obbligo della motivazione; nè giova il richiamo alla certificazione della segreteria circa la indisponibilità delle apparecchiature domestiche, in difetto delle ulteriori esplicazioni.

2.3.2 – Col secondo motivo il difensore deduce: le intercettazioni non sono confortate da alcun riscontro; non offrono la dimostrazione nè della disponibilità della piantagione da parte di V. G.B., nè del concorso dei ricorrenti; G. mai ha conferito in carcere con V.G.B.; la conversazione del 24 maggio 2007 si svolge esclusivamente tra V.G.B. e il fratello S.: manca l’aggancio colla piantagione di contrada Perciana: l’età delle piante (apprezzata in poco più di un mese nell’agosto 2007) non collima colla supposizione delle attività (irrigazione, abbruciamento) commesse da V.G.B. nel precedente mese di maggio; nessun elemento è emerso dalle intercettazioni della utenza telefonica di V.S.;

prima del 21 giugno 2007 G. non è mai stato citato; e nulla emerge dalle intercettazioni delle comunicazioni della utenza telefonica di V.G.B. e delle conversazioni nell’abitacolo della autovettura di costui; le intercettazioni dei colloqui nel parlatorio del carcere sono "piene di incomprensibili";

V.G.B. non è mai stato avvistato in località Perciana; non sono stati censiti contatti della M. con gli altri imputati; arbitraria è la identificazione della persona indicata col diminutivo di I. col G.: quando gli interlocutori si riferiscono al ricorrente lo chiamano col nome di battesimo, G., come pure emerge dal riferimento alla coltivazione dei pomodori effettivamente prodotti dal G.;

nessun significato criptico risiede nelle conversazioni; il ricorrente non è mai stato notato nei pressi di contrada Perciana;

la sentenza impugnata si basa su presunzioni e illazioni indimostrate.

3.- I ricorsi sono infondati.

3.1 – Priva di giuridico pregio è l’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni, formulata dai ricorrenti G. e M., sotto il profilo della carenza di motivazione del relativo decreto di esecuzione (presso impianti diversi da quelli installati presso la Procura della Repubblica) adottato dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 268 c.p.p., comma 3.

Questa Corte, infatti, pur dopo l’arresto della Sezioni Unite, invocato dai ricorrenti (12 luglio 2007, n. 30347, Aguneche), ha avuto occasione di fissare il principio di diritto secondo il quale è da considerarsi adeguatamente motivato il provvedimento recante – come nella specie – menzione della indisponibilità degli impianti domestici, attestata da certificazione della segreteria (Sez. 4^, 17 ottobre 2007, n. 43404, Notarangelo, massima n. 238247 e Sez. 6^, 22 giugno 2010, n. 27761, Cardone, massima n. 247868).

3.2 – La ritenuta violazione dei canoni di valutazione della prova fissati dall’art. 192 cod. proc. pen. non è riconducibile alla tipologia della inosservanza della legge processuale (ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) evocata nell’incipit del ricorso di V.G.B..

Non si tratta, infatti, di norma processuale stabilita a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, siccome prevede l’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, ridetta lett. c).

Nello scrutinio di legittimità l’inosservanza dei criteri dell’art. 192 cod. proc. pen. assume rilievo esclusivamente sotto il profilo della manifesta illogicità della motivazione.

Il vizio in questione è, infatti, integrato non solo dalla violazione degli altri principi della logica formale (oltre che di quello di non contraddizione, oggetto di distinta ed espressa previsione normativa) ovvero dalla invalidità (o scorrettezza) dell’argomentazione – per carenza di connessione tra le premesse della abduzione ovvero per difetto di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione – ma anche, per l’appunto, dalla formale inosservanza dei canoni normativi di valutazione della prova prescritti dall’art. 192 cod. proc. pen. (cfr.: Cass., Sez. 6^, 8 gennaio 2004, n. 7336, Meta, massima n. 229159; Cass., Sez. 6^, 14 ottobre 1997, n. 9104, Arena, massima n. 211578; Sez. 1^, 3 aprile 1997, n. 5036, Pesce, massima n. 207789; Sez. 1^, 16 dicembre 1994, n. 1381, Felice, massima n. 201488).

Epperò la denunzia della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., resta assorbita nella concorrente censura formulata dal ricorrente à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), oggetto di esame in prosieguo (v. infra).

La conclusione riceve a fortiori conforto dal principio di diritto fissato da questa Corte in ordine alla sussunzione del vizio della mancanza di motivazione (ancorchè rilevante come specifica ipotesi di nullità ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3) nell’ambito della previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) – quale lex specialis – piuttosto che in quella generale della inosservanza della legge processuale stabilita a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) (Sez. 1^, 28 gennaio 1993, n. 360, Moccia, massima n. 193371).

3.3 – Il contrabbando intramurario di cibarie e generi di consumo e il recapito di corrispondenza clandestina tra i detenuti costituiscono per gli agenti della Polizia penitenziaria atti contrari ai doveri di ufficio.

Si tratta infatti – senza, ovviamente, tener conto alcuno della introduzione nell’ordinamento (comunque successiva alla condotta del ricorrente) del delitto di cui all’art. 391 bis c.p. à termini della L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 26, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica – di condotte (già all’epoca) manifestamente illecite e, peraltro, normativamente tipizzate e sanzionate disciplinarmente, ai sensi del D.Lgs. 30 ottobre 1992, n. 449, art. 3, comma 2, lett. v), e art. 5, comma 3, lett. p), recante "Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma della L. 15 dicembre 1990, n. 395, art. 21, comma 1".

Esatta è, quindi, la definizione giuridica operata dai giudici di merito della corruzione del concorrente intraneo (separatamente processato) e, conseguentemente, del concorso nel reato proprio del ricorrente compartecipe V.G.B., ai sensi degli artt. 319 e 321 c.p..

3.4 – Affatto corretta è, altresì, la applicazione data dalla Corte di appello alla disciplina della continuazione col diniego del riconoscimento del vincolo tra i reati, concernenti gli stupefacenti (capi 1 e 2) e gli altri residui delitti, ascritti a V. G.B..

Nè alla stregua dell’accertamento operato dai giudici di merito, nè alla stregua delle stesse prospettazioni del ricorrente è dato evincere la ricorrenza di apprezzabili elementi di fatto rivelatori della adozione da parte del giudicabile, in un preciso momento, di una unica risoluzione criminosa concernente sia la coltivazione delle piantagioni di canapa indiana che la perpetrazione delle estorsioni e dei reati alle medesime connessi.

Anzi lo stesso assunto del ricorrente circa "la generica programmazione di azioni delittuose" in contesto associativo contraddice ed esclude la continuazione. Nella giurisprudenza di questa Corte è, infatti, consolidato il principio di diritto, secondo il quale "l’unicità del disegno criminoso non può identificarsi in un programma di attività delinquenziale", che sia meramente "generico", essendo, invece, necessaria "la individuazione, fin dalla commissione del primo episodio, di tutti i successivi, almeno nelle loro connotazioni fondamentali" (v. da ultimo: Sez. 5^, 12 luglio 2006, n. 40724, Pieri, massima n. 235480), epperò con deliberazione di carattere (non dunque generico, bensì) generale (Sez. 1^, 22 giugno 2007, n. 28037, Assili Abdelkader; Sez. 1^, 10 dicembre 2008, n. 48204, Abello; e Sez. 1^, 15 luglio 2010, n. 30560, De Falco, non massimate).

3.5 – Per il resto, avuto riguardo alle ulteriori deduzioni dei ricorrenti, non ricorre il vizio della violazione di legge:

– nè sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);

– nè sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte territoriale esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, nè, oltretutto, opponendo il ricorrente alcuna alternativa interpretazione a quella correttamente seguita nel provvedimento impugnato.

Invero i giudici di merito hanno esattamente applicato le disposizioni, concernenti le norme incriminatrici, le circostanze del reato e il trattamento sanzionatorio, sulla base dell’accertamento dei pertinenti presupposti fattuali, corrispondenti alle previsioni di legge.

3.6 – E nessun vizio della motivazione, rilevante in questo giudizio, è apprezzabile in relazione agli accertamenti operati e alle correlate valutazioni di merito.

La Corte di appello ha dato conto adeguatamente – come illustrato nel paragrafo che precede sub 1. – delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1967, n. 624, Maruzzella, massima n. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. 4^, 2 dicembre 2003, n. 4842, Elia, massima n. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.

E appena il caso di aggiungere, con riferimento alla obiezione formulata dai ricorrenti in relazione alla età dello specifico raccolto di canapa indiana, sequestrato in sito dai Carabinieri in occasione del sopralluogo nell’agosto 2007, che il rilievo non contraddice l’accertamento – operato dai giudici di merito sulla base delle emergenze delle intercettazioni telefoniche – della coltivazione della piantagione (nonchè degli interventi effettuati dai compartecipi) in epoca anteriore alla semina delle messi maturate nell’agosto 2007.

Le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dai ricorrenti, benchè variamente inscenati sotto la prospettazione di viti a della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito, sicchè, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili à termini dell’art. 606 c.p.p., comma 3. 3.7 – Conseguono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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