Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-05-2011) 08-06-2011, n. 23083

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 luglio 2010, il Giudice di pace di Bologna, ha condannato l’imputata alla pena dell’ammenda di Euro 400,00 per il reato di cui all’art. 726 c.p., per avere commesso atti contrari alla pubblica decenza, sostando lungo la pubblica via e indossando abiti succinti tali da lasciare scoperto il fondoschiena, che mostrava ai passanti piegandosi verso la carreggiata.

Avverso tale decisione l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, in particolare, lamentando: 1) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, perchè la sua condotta, consistita nel mostrare i glutei ai passanti, non integrerebbe il reato contestato; 2) la mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione circa il luogo e l’orario del fatto, le parti del corpo effettivamente mostrate, l’attività di meretricio asseritamente svolta dall’imputata stessa.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è inammissibile, perchè proposto per motivi manifestamente infondati.

1.1. – In riferimento al primo motivo di impugnazione, va rilevato che la condotta descritta nell’imputazione, consistente nel mostrare i glutei scoperti ai passanti, integra pacificamente il reato contestato, come risulta dalla nota e consolidata giurisprudenza di questa Corte, perchè si tratta di un comportamento relativamente lieve, tenuto in luogo di pubblico transito, certamente contrario alle regole ordinarie di decenza nel vivere civile, ma solo indirettamente riferibile alla sfera sessuale in senso stretto (ex plurimis, Sez. 3, 30 ottobre 1996, n. 9685; Sez. 3, 13 febbraio 2000, n. 3557; Sez. 3, 25 ottobre 2002, n. 41055).

Il primo motivo di ricorso è, dunque, manifestamente infondato.

1.2. – Quanto al secondo motivo di impugnazione, va rilevato che esso si esaurisce in un tentativo di rivisitazione critica della sentenza censurata, la quale – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’imputata – contiene una motivazione precisa e puntuale su tutte le circostanze del fatto, laddove, riferendosi alla testimonianza dell’agente di polizia giudiziaria escusso, precisa che: a) il fatto si è svolto alle ore 20,40 in un tratto di strada illuminato e trafficato; b) l’imputata mostrava i glutei alle auto che passavano, allo scopo di promuovere la sua attività di prostituzione; c) l’imputata era conosciuta dal teste come dedita alla prostituzione.

Trova, perciò, applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, n. 8096 del 2011).

Ne deriva la manifesta infondatezza del relativo motivo di ricorso.

2. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1,000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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