Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-05-2011) 08-06-2011, n. 23082 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 settembre 2009, la Corte d’Appello di Trento, respingendo gli appelli dell’imputato e del pubblico ministero, ha confermato la sentenza del Tribunale di Trento, emessa a seguito di giudizio abbreviato il 21 maggio 2008, con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di cui all’art. 609-bis c.p., perchè, con violenza e comunque approfittando delle condizioni di inferiorità fisica, costringeva B.V., di anni 9, a subire atti sessuali: precisamente, avvicinandosi alla minore da dietro mentre questa si trovava sull’altalena in un parco giochi, spingendola e facendola cadere a terra e toccandola ripetutamente sul sedere, il pube, i genitali.

Avverso tale decisione l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, in particolare, lamentando: 1) la contraddittorietà della motivazione circa la responsabilità penale, perchè l’unica prova a suo carico sarebbero le dichiarazioni della minore, da ritenersi inattendibile;

dichiarazioni rese in incidente probatorio che, per problemi tecnici, non sono state registrate, ma solo verbalizzate in forma riassuntiva;

2) la carenza di motivazione quanto alla sussistenza dei profili soggettivi e oggettivi del reato, sul rilievo che il comportamento asseritamele tenuto dall’imputato non sarebbe sussumibile nella fattispecie astratta, anche perchè non sarebbe configurabile l’elemento soggettivo.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è infondato.

1.1. – In riferimento al primo motivo di impugnazione, va premesso che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, in sede di controllo di legittimità, non solo è preclusa la possibilità di sovrapporre una valutazione diversa delle risultanze processuali rispetto a quella fatta propria dai giudici di merito, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia sottoposta al giudizio di legittimità mediante il raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, (ex plurimis, Sez. un. 30 aprile 1997 n. 6402). Tale principio è stato ribadito da questa Corte anche a seguito delle modificazioni apportate all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b). Rimane, infatti, esclusa la possibilità che la verifica della correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, sicchè il vizio di motivazione è ravvisabile solo nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste ovvero su risultanze probatorie incontestabilmente diverse da quelle reali. L’esame del materiale processuale previsto dalla norma non può mai comportare per la Corte di legittimità una nuova valutazione del risultato probatorio e delle sue ricadute in termini di ricostruzione del fatto e delle responsabilità, ma deve limitarsi a verificare che la sentenza impugnata non sia incorsa nel vizio di travisamento della prova. Nè i vizi logici, che devono essere manifesti, possono essere ravvisati nel fatto che il ricorrente abbia ritenuto non soddisfacenti le argomentazioni con le quali la sentenza impugnata ha risposto ai rilievi formulati nei motivi di gravame (ex plurimis, tra le pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46: Sez. 6, 29 marzo 2006, n. 10951; Sez. 6, 20 aprile 2006, n. 14054; sez. 4, 10 ottobre 2007, n. 35683; sez. 1, 15 giugno 2007, n. 24667; sez. 5, 25 settembre 2007, n. 39048; Sez. 3, 19 marzo 2009, n. 12110; Sez. 1, 24 novembre 2010, n. 45578; Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096; Sez. 3, 10 marzo 2011, n. 13726).

Tali principi trovano applicazione nel presente giudizio, perchè, dall’esame dei numerosi rilievi contenuti nei motivi di ricorso, con i quali sono stati denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, emerge con evidenza che gli stessi si esauriscono nella richiesta di riesame del materiale probatorio con riferimento all’attendibilità della parte lesa; riesame precluso in sede di legittimità. Quanto a tale valutazione, la sentenza in questione – rispondendo alle specifiche doglianze dell’appellante sul punto – argomenta in modo circostanziato e logicamente corretto le ragioni per cui il quadro probatorio è da ritenere completo e attendibile ed evidenzia dettagliatamente l’insussistenza di ragioni in contrario.

La Corte d’appello trae, infatti, la conclusione della penale responsabilità dell’imputato dai seguenti elementi: a) la verosimiglianza del racconto della vittima quanto alla corretta interpretazione dell’accaduto, per la radicale incompatibilità fra la versione da lei fornita e quella fornita dall’imputato, secondo cui la bambina avrebbe pianto perchè lui le avrebbe toccato la spalla passandole accanto; b) il brevissimo lasso di tempo fra il fatto e l’intervento dei carabinieri, tale da non consentire eventuali ideazioni o ricostruzioni fantastiche dell’accaduto da parte della vittima; c) l’identità delle versioni fornite dalla bambina alla nonna, al padre, ai carabinieri e in sede di incidente probatorio; d) la mancanza di ragioni precostituite di astio della vittima nei confronti dell’imputato, posto che i due non si conoscevano prima del fatto; e) la piena utilizzabilità nel giudizio abbreviato delle dichiarazioni raccolte nelle indagini preliminari rese dal padre della bambina e dalla bambina personalmente e confermate dalla verbalizzazione dell’incidente probatorio di quest’ultima, redatta in forma riassuntiva a norma dell’art. 398 c.p.p., u.c.; f) la mancanza di concreti elementi dedotti dall’imputato a sostegno di una diversa ricostruzione dei fatti, non potendosi considerare rilevante la circostanza che l’imputato stesso sarebbe rimasto sul luogo senza fuggire dopo il fatto; circostanza spiegabile con la mancanza della percezione dell’esatto disvalore dell’atto compiuto o con la convinzione che la vittima non avrebbe denunciato l’accaduto.

Ne deriva il rigetto del primo motivo di gravame.

1.2. – Il secondo motivo di ricorso – riferito alla carenza di motivazione quanto alla sussistenza dei profili soggettivi e oggettivi del reato, sul rilievo che il comportamento asseritamente tenuto dall’imputato non sarebbe sussumibile nella fattispecie astratta, anche per la mancanza dell’elemento soggettivo derivante dall’inconsapevolezza del disvalore sociale della condotta – è manifestamente infondato.

La Corte d’appello ha, infatti, puntualmente rilevato che, nel caso in esame, gli atti compiuti sono consistiti nell’avvicinarsi alla minore da dietro mentre questa si trovava sull’altalena in un parco giochi, spingendola e facendola cadere a terra e toccandola ripetutamente sul sedere, il pube, i genitali ed ha correttamente desunto dalle modalità della condotta sia la sua riconducibilità al reato di cui all’art. 609-bis c.p., nella fattispecie di minore gravita di cui al comma 3, sia la sussistenza del dolo dell’agente, richiamando sul punto i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

Il procedimento logico-giuridico seguito dal giudice di secondo grado appare, dunque, del tutto esente da vizi, perchè gli atti in questione devono essere ricondotti, in base alla consolidata e nota giurisprudenza di questa Corte, alla categoria degli atti sessuali.

Si tratta, infatti, di toccamenti e sfregamenti sulle parti intime della vittima suscettibili di eccitare la concupiscenza anche in modo incompleto e per un breve periodo, senza che possa darsi rilievo alla mancata effettiva soddisfazione sessuale dell’autore o alla sua eventuale percezione soggettiva di uno scarso disvalore sociale del comportamento (explurimis, Sez. 3, 2 maggio 2000, n. 7772; Sez. 3, 18 ottobre 2005, n. 42446; Sez. 3, 6 ottobre 2010, n. 39173; Sez. 3, 5 novembre 2010, n. 44981; Sez. 3, 2 dicembre 2010, n. 1813/2011).

2. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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