Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 08-06-2011, n. 23072 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 27.4.2009, in parziale riforma della sentenza 14.2.2008 del Tribunale di Tivoli – Sezione distaccata di Castelnuovo di Porto:

a) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di L. G. in ordine al delitto di cui:

– agli artt. 81 e 481 cod. pen. poichè – quale architetto direttore dei lavori – in relazione ad un intervento edilizio di totale demolizione di un manufatto preesistente ad unica elevazione, sito in (OMISSIS), e realizzazione di un nuovo fabbricato a tre piani completamente diverso per sagoma, tipologia, forma, struttura, superficie e volumetria complessive: a) asseverava falsamente, in una perizia tecnica del 19.6.2003, allegata ad una DIA, che gli eseguendi lavori avrebbero riguardato il risanamento conservativo di un fabbricato esistente e che l’intervento sarebbe stato eseguito con la tecnica del "cuci-scuci" senza porsi in contrasto con la normativa urbanistica, il regolamento edilizio e lo strumento urbanistico; b) in altra perizia giurata in data 15.10.2003 (conseguente a sospensione dei lavori disposti con ordinanza comunale) attestava falsamente la regolarità dell’intervento eseguito);

b) determinava la pena, con le già riconosciute attenuanti generiche, in Euro 200,00 di multa, confermando la concessione dei doppi benefici di legge;

c) dichiarava estinta per prescrizione la contravvenzione di edificazione edilizia abusiva (D.P.R. n. 3280 del 2001, art. 44, lett. b,) ascritta al L. in concorso con i committenti dei lavori.

Avverso tale sentenza hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione i due difensori dell’imputato, i quali – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – hanno dedotto:

– la inconfigurabilità del reato di cui all’art. 481 cod. pen., in quanto la relazione tecnica asseverata da allegarsi alla DIA non avrebbe natura di "certificato", "riflettendo essa, per la parte progettuale, non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione".

In relazione, poi, alla perizia giurata del 15.10.2003, il L. non avrebbe attestato la regolarità dell’intervento, ma si sarebbe limitato ad affermare che l’originaria stiuttura muraria sarebbe stata ripristinata e le dimensioni in pianta dell’edificio e la sua sagoma sarebbero rimaste invariate, manifestando ancora una volta "una semplice intenzione o, comunque, la previsione di un fatto futuro".

Quanto poi alle opere effettivamente realizzate, non vi sarebbe stata una totale "demolizione e ricostruzione della struttura preesistente", avendo tate attività riguardato, invece, "una piccola parte del fabbricato".
Motivi della decisione

1. Le doglianze riferite in ricorso alla pretesa inconfigurabilità del reato residuo sono infondate.

2. L’art. 481 cod. pen. punisce la condotta di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in certificati commessa nell’esercizio di una professione forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica necessità.

In relazione a tale previsione sanzionatoria il Collegio – tenuto conto di quanto espressamente disposto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3, nonchè della elaborazione giurisprudenziale già svolta da questa Corte – ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:

– il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all’interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 cod. pen. vedi Cass.: sez. 5, 4.10.2010, n. 35615, D’Anna; 24.2.2010, a 7408, Frigè; nonchè sez. 3, 16.7.2010, n. 27699, Coppola e altro; 19.1.2009, n. 1818, Baldessari).

3. L’art. 481 cod. pen. prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali l’atto sia destinato a provare la verità sia contenuta all’interno di un "certificato" e da ciò discende la necessità di individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia abbia o meno natura di "certificato".

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con consolidato orientamento, che costituisce "certificazione" la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alte opere da realizzare Cass.: sez. 5, n. 35615/2010, D’Anna; sez. 3, n. 27699/2010, Coppola e altro).

3.1 Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto alla parte progettuale della relazione allegata alla DIA edilizia.

In relazione a tale parte del documento si è sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione dell’interessato di realizzare le opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto riguarda l’eventuale attestazione dell’assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso dal dichiarante, come tale non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri vedi Cass., sez. 5: n. 7408/2010, Frigè; 3.5.2005, n. 24562, Mazzoni; 26.4.2005, n. 23668, Giordano; sez. 3, n. 27699/2010, Coppola e altro).

A divergenti conclusioni è pervenuta, invece, questa Sezione – con la sentenza 19.1.2009, n. 1818, Baldessari – ove è stato evidenziato che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento ( D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3), emergerebbe un "sostanziale affidamento" riposto dall’ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che "quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell’intervento". In tale prospettiva la relazione del tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell’attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.

3.2 Quanto alla dichiaazione di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti – a fronte dell’orientamento secondo il quale si tratterebbe soltanto di un mero giudizio del dichiarante – la stessa è stata ricondotta, invece, all’attività certificativa da Cass., sez. 3, n. 27699/2010, Coppola e altro.

4. A fronte degli orientamenti giurisprudenziali dianzi delineati, con riferimento alla parte progettuale della relazione di accompagnamento alla DIA edilizia ed alla dichiarazione di conformità delle opere realizzande alla pianificazione comunale, ritiene il Collegio di aderire alle argomentazioni ed alle conclusioni svolte nella sentenza n. 1818/2009, Baldessari.

In tale sentenza è stato condivisibilmente evidenziato che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3, dispone che "Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen.. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all’art. 23, comma 1, l’amministrazione ne da comunicazione al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari".

Le previsioni anzidette devono essere lette in necessaria correlazione con quelle poste dal precedente art. 23, il quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una relazione del progettista "che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti" (comma 1);

che il dirigente o responsabile dell’ufficio tecnico comunale, "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza" (comma 6);

che, ultimato l’intervento, "il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale … con il quale si attesta la conformità dell’opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività" (comma 7).

Il progettista, dunque, ha un duplice obbligo: a) redigere una relazione preventiva in cui si assume l’onere di "asseverare" tra l’altro la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi; b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale. E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è stato esattamente osservato che il termine "asseverare" ha il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità del contenuto.

Il progettista si pone come "persona esercente un servizio di pubblica necessità" proprio perchè assume una posizione di particolare rilievo in un procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione amministrativa comunque denominata.

La principale caratteristica della DIA, infatti, consiste nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l’esercizio delle stesse non è più necessaria l’emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione.

A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui dispone l’amministrazione – a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo – non è finalizzato all’emanazione di un provvedimento amministrativo di consenso all’esercizio dell’attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall’interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l’attività in questione.

Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell’autoresponsabilità dell’amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l’esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore.

Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sè una particolare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l’ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell’intervento.

Proprio in considerazione di questo affidamento la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica ( D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 3) che si connette alle previsioni del precedente art. 23, commi 1 e 6.

L’art. 236, comma 6, in particolare, dispone che, in caso di "falsa attestazione" del professionista, il funzionario comunale ha l’obbligo di inoltrare segnalazione informativa all’autorità giudiziaria, sicchè è evidente che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più delle condizioni stabilite", risulta strettamente correlata alle prescrizioni poste dal medesimo art. 23, comma 1, ove la relazione del progettista integra la dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato di piena autonomia. Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l’eliminazione dell’intermediazione del potere autorizzatorio dell’attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi "certificativo". 4.1 In conclusione, sulla base dell’assetto normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni dianzi svolte, deve affermarsi il principio secondo il quale:

– la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell’attività) ha natura di "certificato" per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l’attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.

5. Nella fattispecie in esame, l’imputato:

– nella relazione del 19.6.2003 ha descritto la prevista realizzazione di opere finalizzate ad "evitare la demolizione e ricostruzione";

– nella perizia giurata del 15.10.2003, ha attestato che "la metodologia dell’intervento finora eseguita e che si intende adottare per il prosieguo" era e sarebbe stata "quella del cd. cuci e scuci, la quale permette di eseguire l’opera effettuando parziali demolizioni e relative ricostruzioni, inferiori al 50% della sagoma ante operam".

I giudici del merito hanno accertato, invece, la intervenuta totale demolizione del manufatto preesistente e la realizzazione di un nuovo e diverso fabbricato articolato su tre piani al posto di uno. Tale complessivo intervento non poteva essere eseguito con la DIA (alternativa al permesso di costruire) prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a), avendo comportato incremento di volumetria e modificazione della sagoma verticale dell’edificio preesistente (vedi art. 3, comma 1, lett. d, stesso T.U.).

L’imputato, inoltre, non era soltanto progettista ma anche direttore dei lavori, sicchè aveva il dovere di costante controllo della conformità delle opere che progressivamente venivano realizzate rispetto a quelle denunziate con la DIA. 6. La sentenza impugnata, però, deve essere annullata senza rinvio, perchè il residuo reato continuato ascritto al L. è estinto per prescrizione.

Le condotte delittuose, infatti, sono state poste in essere il 19 giugno ed il 15 ottobre 2003, sicchè il termine massimo prescrizionale (di anni 7 e mesi 6), non sussistendo alcuna interruzione o sospensione, si è rispettivamente compiuto il 19.12.2010 ed il 15.4.2011.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di L.G., per essere il reato residuo estinto per prescrizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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