Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-04-2011) 08-06-2011, n. 22790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

) e Mastropasqua (per Ma. che si riportano ai ricorsi.
Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe veniva tra l’altro confermata la penale responsabilità di M.C. e Ma.An. per il reato di cui agli artt. 110 e 575 c.p. e art. 577 c.p., n. 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, omicidio aggravato in danno di S.G. (capo 5), ascritto al primo come esecutore materiale e al secondo come compartecipe all’azione materiale, e del Ma. altresì per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., appartenenza all’associazione di stampo mafioso capeggiata da L.R. (capo 1).

Relativamente all’omicidio la Corte territoriale rilevava che le propalazioni accusatorie dei quattro chiamanti in reità, pur essendo "de relato" da confidenze ricevute per lo più dagli stessi autori del delitto, oltre a convergere fra di loro, avevano trovato riscontro nelle dichiarazioni della madre della vittima, che aveva confermato il movente e l’area di provenienza del delitto, quali indicati dai collaboratori, e in quelle del testimone oculare T., che, pur non riconoscendo fotograficamente con sicurezza il M., aveva descritto le fattezze dell’autore materiale dell’omicidio in modo corrispondente a quelle del medesimo, oltre che nella confermata circostanza della latitanza del M. e nel rapporto di conoscenza-ospitalità esistente fra lo stesso, estraneo all’ambiente barlettano, e il Ma.. Nè marginali divergenze fra le dichiarazioni potevano incrinare la complessiva pregnanza dei dati probatori.

In ordine al delitto associativo la Corte di merito fondava il giudizio di responsabilità del Ma. sulle dichiarazioni dei collaboratori, escludendo in particolare che la condizione di detenuto potesse ritenersi ostativa alla partecipazione al sodalizio, avendo, fra l’altro, l’imputato ricevuto, nella condizione predetta la c.d. "partenza".

Propongono ricorso gli imputati.

M.C. deduce il vizio di motivazione sulla confermata responsabilità per il reato di cui al capo 5), stante il riconoscimento della insufficienza delle dichiarazioni dei collaboranti per l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1) e l’utilizzo improprio e contraddittorio delle medesime – prive in sè di validi riscontri – per l’affermazione di responsabilità per il reato di omicidio.

Ma.An. deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla confermata responsabilità, stanti, per il reato di cui al capo 1), la circostanza scagionante della sua restrizione in carcere e, per il reato di cui al capo 5), l’insufficienza delle risultanze processuali, costituite da chiamate "de relato" non riscontrate.
Motivi della decisione

I ricorsi sono fondati quanto al reato di omicidio.

La Corte territoriale, invero, individua il coacervo probatorio nelle dichiarazioni di quattro collaboranti, tutte "de relato" (in genere dagli stessi imputati), e nei riscontri costituiti dalle dichiarazioni della madre della vittima e di tale T., nonchè negli appurati dati relativi alla latitanza del M. e ai suoi rapporti con il Ma..

Ora, le dichiarazioni dei collaboranti sono tutte "de relato", da fonte non specificata o indicata negli stessi imputati o in uno di essi. Sulle medesime, quindi, stante la comunanza e non verificabilità dell’unica fonte indicata, il conforto di riscontri esterni individualizzanti era assolutamente necessario, come riconosciuto dalla stessa Corte di merito. Senonchè, al riguardo c’è da osservare:

– che la madre della vittima ha riscontrato solo il movente e lo scenario di fondo in cui è maturato il delitto, senza riferimenti individualizzante;

– che la situazione di latitanza del M. e i suoi rapporti col Ma. possono considerarsi dati individualizzanti ma non hanno collegamenti diretti col fatto. Quanto alle dichiarazioni del T., se le stesse si fossero concretate in un reale riconoscimento fotografico del M., sarebbero certamente state un riscontro assai forte nei confronti di quest’ultimo, con riverberi anche sulla valenza degli accertati rapporti col Ma. all’epoca dei fatti. Sta di fatto, però, che il T. non riconobbe il M. ma descrisse solo le fattezze fisiche dello sparatore in modo compatibile con il predetto. Il che ne consente evidentemente di ritenere le sue dichiarazioni un reale riscontro individualizzante.

Da tanto consegue che la motivazione resa dalla Corte territoriale sulla concludenza del quadro probatorio non appare congrua in riferimento ai parametri di cui all’art. 192 c.p.p.. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata relativamente alla imputazione di omicidio di cui al capo 5, con rinvio al giudice di merito, che procederà a nuovo giudizio, rendendo motivazione immune a vizi. Infondato è invece il ricorso del Ma. in relazione al reato di cui al capo 1. L’impugnata sentenza, infatti, ha adeguatamente argomentato in ordine alla persistenza del vincolo associativo dell’imputato anche in pendenza di detenzione, col riferimento alla comprovata e decisiva circostanza della percezione, da parte sua, della c.d. "partenza" settimanale (p. 182).
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di omicidio di cui al capo 5 e rinvia ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Bari per nuovo giudizio su tale capo.

Rigetta nel resto il ricorso del Ma..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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