Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-04-2011) 08-06-2011, n. 22789 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o del P..
Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.11.2008 il GUP del Tribunale di Napoli condannava P.A. e L.C. alle pene, rispettivamente, di anni sette e anni tre e mesi sei di reclusione, in quanto ritenuti responsabili:

il primo:

a)- del reato di cui all’art. 56 c.p., art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., artt. 110 e 377 bis c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver concorso, come istigatore, nel tentativo, posto in essere con modalità mafiose e per favorire l’organizzazione camorristica facente capo all’imputato, di indurre R.A. a rendere al P.M. in veste di indagato dichiarazioni reticenti o mendaci in ordine a un (falso) alibi fornito al P. per l’omicidio di P. P.;

b)- del reato di cui agli artt. 110 e 381 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver concorso, come istigatore, con l’avv. Baldini Michele, nel procedimento relativo all’omicidio del Pr., nell’illecito duplice patrocinio dell’imputato P. e, tramite interposta persona, della parte civile Pa.An., finalizzato a far rendere a quest’ultima dichiarazioni scagionanti per il P. e a favorire così l’organizzazione camorristica a lui facente capo;

c)- del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., artt. 110 e 377 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver concorso, come istigatore, nelle promesse di denaro a Pa.An., per farle rendere falsa testimonianza nel procedimento relativo all’omicidio del Pr., con l’aggravante di aver voluto favorire l’organizzazione camorristica facente capo all’imputato;

– il primo e il secondo:

d)- del reato di cui agli artt. 110 e 368 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver, in concorso fra loro, il P. quale istigatore e il L. quale esecutore, incolpato, nelle dichiarazioni rese dal secondo nel procedimento relativo all’omicidio del Pr., M.F., che sapevano innocente, di aver ceduto, tramite il L., cocaina al Pr., con l’aggravante di aver voluto favorire, attraverso lo scagionamento del P., l’organizzazione camorristica a lui facente capo;

e)- del reato di cui agli artt. 110 e 369 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per avere, nei ruoli e con la finalità indicati al capo precedente, determinato la falsa autoincolpazione del L. del concorso nella detta cessione di cocaina al Pr.;

il primo:

f)- del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 e 377 bis c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver concorso, come istigatore, nella dazione di somme al L., perchè rendesse le dichiarazioni di cui ai due capi precedenti, con l’aggravante di aver voluto favorire, attraverso lo scagionamento del P., l’organizzazione camorristica a lui facente capo;

g)- del reato di cui agli artt. 110 e 381 c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7, per aver concorso, come istigatore, con l’avv. Santoro Angelo, difensore del L., nell’arrecare nocumento a se stesso con le dichiarazioni di cui ai capi d) ed e), con le aggravanti di aver commesso il fatto ai danni di un imputato di delitto punito con reclusione superiore a cinque anni e di aver voluto favorire, attraverso lo scagionamento del P., l’organizzazione camorristica a lui facente capo.

Su appello dei prevenuti la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 14.01.2010, previa esclusione dell’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, riduceva le pene, per il P., ad anni quattro e mesi otto di reclusione e, per il L., ad anni due e mesi quattro di reclusione.

Ricorrono gli imputati.

Il L. deduce che la Corte di merito ha errato nella motivazione della sentenza, che risulta contraddittoria e apodittica, in quanto la responsabilità dell’imputato è stata ritenuta solo in base alle dichiarazioni di alcuni correi, in violazione delle norme sulla formazione della prova, e si sono ignorati del tutto i motivi di appello.

Il P. deduce violazione di legge e vizio di motivazione su tutti i capi ascritti. In particolare:

– quanto al capo a), non si sarebbe tenuto conto delle obiezioni sollevate sulla riconducibilità all’imputato, veridicità e reale consistenza delle presunte minacce profferite nei confronti del dott. R.;

– quanto ai capi b) e c), si sarebbero trascurati gli elementi indicati dalla difesa a sostegno dell’estraneità dell’imputato al presunto patrocinio infedele e a confutazione della effettività e finalità delle offerte di denaro alla Pa.;

– quanto ai capi d), e), f) e g), la Corte d’appello non avrebbe risposto adeguatamente alle puntuali deduzioni difensive circa l’effettività e la consapevolezza della presunta falsità delle affermazioni del L..
Motivi della decisione

Il ricorso del L. è inammissibile per genericità.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in relazione al motivo dell’inammissibilità, si stima equo determinare in Euro 1000,00.

Infondato è il ricorso del P..

Quanto, invero, al capo a), dal complesso delle risultanze illustrate e valutate nelle sentenze di primo e secondo grado emerge con chiarezza, in sostanziale esaustiva risposta alle obiezioni della difesa, che l’imputato, avendo, per la data dell’omicidio del Pr., allegato il falso alibi di un intervento di implantologia dentaria eseguito da R.A. presso lo studio Pi. di (OMISSIS), e avendo ottenuto che il R., in dichiarazioni rese al suo difensore, confermasse la coincidenza delle date, era fortemente preoccupato del fatto che il R., nell’imminente interrogatorio che doveva rendere al P.M., ritrattasse la detta dichiarazione confermativa e rivelasse – secondo quanto nel frattempo le indagini avevano con certezza appurato – che nel giorno predetto non vi era stato il riferito intervento. Di qui una serie di comunicazioni scritte e orali tra lui, all’epoca detenuto, e la moglie (con la partecipazione, a volte, anche della figlia), nelle quali – pur nel linguaggio prudente (che fa sempre riferimento alla "verità", che non era però la verità "vera", correttamente richiamata dal difensore del R., avv. Giaquinto) di chi (come ricordato dal primo giudice) teme di essere soggetto a controlli e intercettazioni – i giudici di merito hanno non illogicamente ravvisato la prova di una forte attivazione per indurre il R. a non ritrattare, sfociata certamente in alcuni interventi minatori, diretti e indiretti, sullo stesso, posti in essere da terze persone:

interventi della cui veridicità, reale consistenza e riconducibilità al P. i giudici di merito hanno dato congruamente conto, alla luce della falsità originaria dell’alibi, degli obiettivi contenuti degli interventi e del complessivo andamento della vicenda (come accertato in atti), che vede come regista costante e principale il P.. Quanto ai capi b) e c), dal complesso delle risultanze illustrate e valutate nelle sentenze di primo e secondo grado emerge con chiarezza, in sostanziale esaustiva risposta alle obiezioni della difesa, che l’imputato, avendo avuto cognizione degli elementi che potevano smontare l’alibi allegato per la data dell’omicidio del Pr., si adoperò per un intervento, tramite l’avv. Mariano (già Michele) Baldini, su Pa.An., già convivente del Pr., affinchè si costituisse parte civile, con un difensore di comodo, che fu lo stesso avv. Baldini, già suo difensore, il quale utilizzò allo scopo l’avv. Barbara Lombardi, e nella detta posizione di particolare credibilità, rendesse testimonanza indirettamente scagionante per il P., in quanto diretta a dirottare artatamente i sospetti su altri soggetti ( M.F. e G.P.) e altra causale (droga). A tale scopo vennero anche elargite alla Pa. somme di denaro. Tali conclusioni sono tratte non illogicamente dai giudici di merito dai contenuti delle conversazioni intercettate (documentalmente riscontrati quanto alle circostanze relative alla costituzione di parte civile e alla indicazione della Pa. nella lista testi della difesa P.), chiaramente indicative del ruolo propulsivo e organizzativo avuto dal P. nella vicenda, della finalità del mendacio testimoniale (poi non realizzatosi per la sopravvenuta rinuncia della difesa alla testimonianza, ragionevolmente attribuita dal primo giudice alle incertezze sull’affidabilità della teste) e della elargizione di denaro all’uopo effettuata.

Quanto ai capi d), e), f) e g), dal complesso delle risultanze illustrate e valutate nelle sentenze di primo e secondo grado emerge con chiarezza, in sostanziale esaustiva risposta alle obiezioni della difesa, che l’imputato, nell’intento di corroborare la costruzione della versione diretta a dirottare artatamente i sospetti per l’omicidio del Pr. su altri soggetti ( M.F. e G.P.) e altra causale (droga), si adoperò per un intervento su L.C., affinchè rendesse dichiarazioni indirettamente scagionanti per il P., accusando M. F. e se stesso di aver fornito droga al Pr..

A tale scopo vennero anche elargite al L. somme di denaro.

Tali conclusioni sono tratte non illogicamente dai giudici di merito dai contenuti delle conversazioni intercettate (documentalmente riscontrati quanto alle circostanze relative alla assunzione della difesa del L. da parte dell’avv. Santoro, indicato dal P. per l’illecito scopo di cui sopra, alla indicazione del L. nella lista testi della difesa P. e alle dichiarazioni effettivamente rese dal L.), chiaramente indicative del ruolo non meramente consapevole ma propulsivo e organizzativo avuto dal P. nella vicenda, della effettività del mendacio delle dichiarazioni rese e della elargizione di denaro all’uopo effettuata.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del L. e rigetta il ricorso del P..

Condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e il L. altresì a quello della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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