T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 5158

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 30 novembre 2010, depositato il successivo 3 dicembre, la Confcommercio impugna il decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2010, n. 230, successivamente pubblicato, laddove, nel rinnovare la composizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro per il quinquennio 2010 – 2015, sono stati nominati nella categoria "imprese", settore "commercio", due componenti designati dalla medesima, in luogo dei tre indicati nell’elenco definito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo con atto n. 00047552.3.8.4. del 12 marzo 2010.

L’impugnazione è stata estesa alla presupposta deliberazione del Consiglio dei ministri 22 luglio 2010, nonché ai decreti 28 luglio 2010 del Presidente della Repubblica, decisori dei ricorsi proposti avverso l’elenco dei componenti del CNEL siccome definito con il citato provvedimento DICA del 12 marzo 2010.

Avverso gli atti impugnati parte ricorrente, esposto che nelle precedenti quattro consiliature del CNEL ha sempre espresso nel settore in parola tre rappresentanti, indirizza le censure di seguito illustrate nei titoli e, sinteticamente, nel contenuto.

1) Violazione e falsa applicazione di legge: art. 2, commi 1, 2, 3 e 4 della l. 30 dicembre 1986, n. 936; eccesso di potere per difetto di presupposto e travisamento dei fatti.

Premesso che la rappresentanza delle categorie produttive di beni e servizi all’interno del CNEL, come regolata dall’art. 2 della l. 936/86, è suddivisa in tre categorie (lavoratori dipendenti; lavoratori autonomi, distinti in coltivatori diretti artigiani, liberi professionisti ed esponenti della cooperazione; imprese, distinte per settori agricoltura e pesca, industria, commercio e turismo, servizi), e che tale suddivisione riflette quella contenuta nel Codice Civile, Libro V, Del Lavoro, parte ricorrente sostiene l’illegittimità della nomina in seno al CNEL, categoria "imprese", settore "commercio", di un soggetto designato da Confprofessioni, organismo che, come da statuto, assume la rappresentanza dei liberi professionisti. Parte ricorrente segnala anche che la categoria dei liberi professionisti è già rappresentata in seno al CNEL, nell’ambito della categoria "lavoratori autonomi", che prevede una specifica rappresentanza dei liberi professionisti, e che lo stesso d.P.R. impugnato ha nominato quattro soggetti designati dalle medesime categorie professionali che Confprofessioni intenderebbe rappresentare con la nomina contestata.

2) violazione di legge: art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione o motivazione apparente.

Parte ricorrente denunzia che dall’impugnato decreto non risultano le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a mutare la propria decisione di assegnare alla ricorrente due soli rappresentanti in luogo dei tre precedentemente indicati, né è rinvenibile la motivazione per relationem, atteso che il provvedimento si limita ad una mera elencazione di tutti gli atti endoprocedimentali.

3) Violazione e falsa applicazione di legge: art. 4, commi 2 e 5 della l. 30 dicembre 1986, n. 936; eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di presupposto.

In via subordinata, parte ricorrente sostiene che, a fronte dell’ampiezza e diffusione delle strutture organizzative e della partecipazione alla contrattazione collettiva di settore di Confcommercio, Confprofessioni, non essendo organizzazione a carattere nazionale, difetta sia del requisito essenziale che legittima alla designazione di rappresentanti in seno al CNEL, sia di rappresentatività, avendo stipulato un solo contratto collettivo, volto alla disciplina dei rapporti di lavoro tra soggetti che svolgono attività professionali ed il relativo personale dipendente, e in un ambito estraneo al settore commercio.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

Le intimate amministrazioni, costituitesi in giudizio, hanno eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, instando per la reiezione dell’impugnativa.

Analoghe conclusioni sono state rassegnate anche dalla controinteressata Confprofessioni, nonché da Confesercenti e Marco Giuseppe Venturi, da Confesercenti designato nell’ambito del CNEL e successivamente nominato con il gravato decreto del Presidente della Repubblica. Questi ultimi paventano che l’accoglimento del gravame possa travolgere anche la detta nomina.

Nell’ambito delle predette difese, sono state spiegate eccezioni di carattere pregiudiziale.

Le parti hanno affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.
Motivi della decisione

1. Prescrive il comma 1 dell’art. 2 della legge 30 dicembre 1986, n. 936 ("Norme sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro") che il CNEL "è composto di esperti e rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato e rappresentanti delle categorie produttive, in numero di centoventuno, oltre il presidente, secondo la seguente ripartizione:

I) dodici esperti, qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica, dei quali:

a) otto nominati dal Presidente della Repubblica;

b) quattro proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ibis) dieci rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato dei quali, rispettivamente, cinque designati dall’Osservatorio nazionale dell’associazionismo e cinque designati dall’Osservatorio nazionale per il volontariato;

II) novantanove rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato, dei quali quarantaquattro rappresentanti dei lavoratori dipendenti, diciotto rappresentanti dei lavoratori autonomi, trentasette rappresentanti delle imprese".

Il successivo art. 4, nel prevedere (comma 1) che "nove mesi prima della scadenza del mandato dei membri del Consiglio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dà avviso di tale scadenza e dei termini di cui al presente articolo, con pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale", soggiunge (comma 2) che "le organizzazioni sindacali di carattere nazionale, entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta Ufficiale, fanno pervenire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri le designazioni dei rappresentanti delle categorie produttive di cui all’articolo 2".

Avverso l’elenco dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, formato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del comma 3 del medesimo art. 4, è consentita la presentazione di ricorso amministrativo (comma 4); nel quale (comma 5 dell’art. 4) "le organizzazioni sono tenute a fornire tutti gli elementi necessari dai quali si possa desumere il grado di rappresentatività, con particolare riguardo all’ampiezza e alla diffusione delle loro strutture organizzative, alla consistenza numerica, alla loro partecipazione effettiva alla formazione e alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro e alle composizioni delle controversie individuali e collettive di lavoro".

2. Il combinato disposto delle previsioni di cui ai riportati commi 2 e 5 dell’art. 4 della legge 936/1986 ha condotto la giurisprudenza a ritenere che il carattere nazionale dell’organizzazione sindacale costituisca requisito indispensabile per poter designare membri in capo al CNEL (C. Stato, IV, 29 gennaio 2008 n. 237): rilevando per l’effetto, quali indici del possesso del suindicato requisito, gli elementi indicati dalla disposizione da ultimo richiamata (ampiezza e diffusione dell’organizzazione; consistenza numerica della stessa; partecipazione all’attività di formazione e stipulazione di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro; composizione di controversie individuali e collettive di lavoro).

Omogenee considerazioni sono state rassegnate da questa Sezione (sentenza 2 agosto 2006, n. 6839), osservandosi che:

– se l’art. 4, comma 2, attribuisce alle sole organizzazioni sindacali di "carattere nazionale" il potere di designazione di propri rappresentanti all’interno del CNEL (in linea, del resto, con il rango e l’efficacia territoriale che quest’ultimo assume nell’ordinamento, quale organo di rilevanza costituzionale),

– mentre il successivo comma 4 precisa che il grado di rappresentatività è correlato all’ampiezza ed alla diffusione delle strutture organizzative, alla consistenza numerica, alla partecipazione effettiva alla formazione ed alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, nonché alla composizione delle controversie individuali o collettive di lavoro,

allora le due disposizioni riportate "vanno interpretate congiuntamente, sicché "l’ampiezza e la diffusione" delle organizzazioni in parola va pur sempre riferita al "carattere nazionale", che assurge a necessario ed ineludibile parametro di riferimento in sede di distribuzione dei posti di rappresentante all’interno del CNEL’".

Va anche rilevato che l’elaborazione giurisprudenziale si è data carico di integrare il criterio della maggiore rappresentatività con il criterio "pluralistico", chiarendo, in particolare, che è legittima l’assegnazione di un seggio a un’associazione (pur) minoritaria, la quale sia (tuttavia) dotata di una "certa rappresentatività" della categoria; ed affermando che, una volta accertata l’esistenza di una obiettiva consistenza dell’associazione minoritaria che ne evidenzi comunque una capacità rappresentativa, "il principio di partecipazione pluralistica impone che venga riconosciuto il diritto dell’associazione medesima di designare un proprio rappresentante… anche se ciò comporti, nei rapporti tra le varie associazioni, una deroga al principio della potenziale proporzionalità".

Ciò in quanto "la misura della rappresentatività e l’intensità del grado di espressività degli interessi non sono da assumere in funzione del solo dato quantitativo, ma anche in base alla specialità, qualità e rilevanza degli interessi collettivi espressi" (C. Stato, VI, 17 ottobre 1987, n. 1486; 10 luglio 1989, n. 846; 12 febbraio 1993, n.159; 3 giugno 1996, n. 767).

Tale orientamento giurisprudenziale, che presenta profili di persuasiva coerenza rispetto all’esigenza – come sopra esposta – di assicurare la più ampia partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza sindacale agli organismi nei quali le medesime siano, come nella fattispecie in esame, chiamate a designare propri componenti, merita peraltro di essere precisato con riferimento alle evenienze che possono venire in considerazione in relazione al numero dei posti suscettibili di assegnazione.

Tre, in particolare, le evenienze ipotizzabili.

In primo luogo, è possibile che il numero dei posti sia inferiore rispetto a quello delle organizzazioni aspiranti alla nomina di propri componenti.

In tale caso, inevitabilmente verrà in considerazione il criterio della maggiore rappresentatività – necessariamente contemperato con il complesso di indici rilevanti quanto alla fattispecie all’esame, per come precisati dalla sopra riportata disposizione di legge – con conseguente individuazione, nel novero delle organizzazioni "maggiormente rappresentative", di quelle (fra esse) "più rappresentative".

Se, ex converso, non si pone alcun problema di carattere interpretativo laddove il numero dei seggi sia pari a quello delle organizzazione aspiranti, evidentemente diverso è il caso in cui il primo sia superiore rispetto alle seconde.

Viene, infatti, necessariamente a configurarsi un numero "residuo" di posti che, di seguito all’assegnazione di un seggio per ciascuna organizzazione "maggiormente rappresentativa", è ulteriormente suscettibile di attribuzione in ragione dell’eccedenza dei seggi rispetto a queste ultime.

In tal caso, ritiene il Collegio che la concreta attuazione del principio pluralistico anzidetto esige la ripartizione dei seggi in modo da assicurare la più estesa presenza delle organizzazioni maggiormente rappresentative.

In altri termini, nell’ambito di un organo a composizione rappresentativa e nella disponibilità di un sufficiente numero di seggi da ripartire, il contemperamento del principio di pluralità con quello di proporzionalità postula la compresenza nell’organo anche di organizzazioni dotate di minore rappresentatività sul piano dei coefficienti numerici, specie allorché dette organizzazioni operino in specifici e peculiari settori di attività economica che altrimenti risulterebbero prive di rappresentanza.

Il principio proporzionale, che tiene conto della presenza di una certa categoria nell’ambito territoriale, deve dunque essere adeguatamente contemperato con il principio pluralistico, volto ad attribuire rilievo agli interessi categoriali nelle loro differenziate composizioni; giacché, diversamente, alla pluralità della rappresentanza non rimarrebbe altro senso se non quello meramente occupazionale dei componenti dell’organo, contro la più elementare razionalità organizzativa legata anche al maggiore grado di rappresentanza delle diverse componenti socio economiche nazionali (C. Stato, VI, 7 marzo 2007 n. 1067).

Per quanto superfluo, va tuttavia (conclusivamente sul punto) ribadito che la concreta operatività del principio di proporzionalità (al fine dell’individuazione delle organizzazione nei confronti delle quali operare la ripartizione dei posti disponibili) viene in considerazione esclusivamente in presenza della (presupposta, quanto necessaria) ricognizione del carattere di "maggiore rappresentatività": atteggiandosi tale modalità di distribuzione esclusivamente quale criterio (volto ad assicurare la più ampia partecipazione delle organizzazioni di categoria) subordinato alla accertata qualificabilità delle stesse quali "maggiormente rappresentative".

3. Tanto premesso in ragione della necessità di inquadrare l’ambito normativo nel quale si situa la controversia all’esame, anche per come definito in via giurisprudenziale, occorre dar conto del contesto provvedimentale investito dal presente gravame.

Al riguardo, si osserva che la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo, nell’ambito del procedimento di rinnovo della composizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro per il quinquennio 2010 – 2015, con atto del 12 marzo 2010 pubblicava, ex art. 4, comma 3, della legge 936/86, l’elenco dei rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato, includente, tra altri, nell’ambito del settore "commercio e turismo", quattro componenti designati da Confcommercio (tre per "commercio", uno per "turismo") e un componente designato da Confprofessioni (settore "commercio").

Confesercenti, non inclusa nell’elenco in relazione al settore "commercio", nel quale aspirava a rientrare, proponeva ricorso in opposizione ex art. 4, comma 4, della stessa l. 936/86.

In detta sede, Confesercenti deduceva sia avverso Confcommercio che avverso Confprofessioni.

Esperita la conseguente istruttoria, con l’acquisizione dei dati forniti dal Ministero del lavoro e delle controdeduzioni delle OO.SS. interessate e le audizioni, il ricorso veniva accolto con decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2010, che attribuiva un seggio a Confesercenti, sottraendolo a Confcommercio.

In esito a tale ultimo provvedimento, Confcommercio, nel rinnovo della composizione del CNEL, si vedeva nominare nel settore "commercio" due designati, in luogo dei tre indicati nel ridetto elenco.

4. Entrando nel merito delle questioni proposte in gravame, può anticiparsi che le stesse non possono essere condivise.

Il Collegio può, per tale motivo, prescindere dall’esame delle questioni pregiudiziali spiegate dalle parti resistenti.

5. Il primo ed il terzo motivo di gravame meritano una congiunta trattazione, che conduce alla loro reiezione.

5.1. E’ bene ricordare che con la prima doglianza Confcommercio sostiene l’illegittimità della nomina in seno al CNEL, categoria "imprese", settore "commercio", di un soggetto designato da Confprofessioni, poiché, secondo parte ricorrente, quest’ultima assume da statuto esclusivamente la rappresentanza dei liberi professionisti, categoria, vieppiù, già rappresentata in seno al CNEL, nell’ambito della categoria "lavoratori autonomi", da quattro soggetti designati proprio dalle medesime categorie professionali che Confprofessioni intenderebbe rappresentare con la contestata nomina.

Con la terza censura, formulata in via subordinata, parte ricorrente sostiene che Confprofessioni, non essendo organizzazione a carattere nazionale, difetta sia del requisito essenziale che legittima alla designazione di rappresentanti in seno al CNEL, sia di rappresentatività, avendo stipulato un solo contratto collettivo, volto alla disciplina dei rapporti di lavoro tra soggetti che svolgono attività professionali ed il relativo personale dipendente, e in un ambito estraneo al settore commercio.

5.2. Rileva il Collegio che l’argomentazione relativa alla carenza di legittimazione di Confprofessioni ad esprimere la propria rappresentanza nell’ambito del settore "commercio" del CNEL è stata spesa dalla Confesercenti, qui controinteressata, nell’ambito del ricorso in opposizione proposto avverso la propria esclusione dall’elenco di cui alla nota PCMDICA del 12 marzo 2010.

Con d.P.R. 28 luglio 2010 il ricorso è stato, per tale parte, respinto.

Infatti, il provvedimento decisorio ha rilevato:

– che il Ministero del lavoro, con note del 2 marzo e del 27 aprile 2010, nel precisare che Confprofessioni ha preso parte alla conclusione di un contratto collettivo relativo alla categoria dei dipendenti degli studi professionali, ha riferito che l’inserimento della medesima nell’elenco in parola "è stato determinato con riguardo al principio del pluralismo rappresentativo, per il quale anche le organizzazioni minori, ma che vantino un grado di rappresentatività apprezzabile, possono far parte del CNEL’;

– che Confprofessioni nelle deduzioni difensive ha rappresentato che "il contratto collettivo di cui essa è stata firmataria, relativo ai dipendenti degli studi professionali, è stato inserito proprio dal CNEL nell’archivio dei contratti relativi al settore del commercio, e che, per il diritto comunitario, gli studi professionali sono considerati alla medesima stregua delle imprese commerciali".

Ciò posto, nell’accogliere il ricorso in opposizione di Confesercenti, il decreto 28 luglio 2010 ha ritenuto che il seggio da attribuire alla Confesercenti dovesse essere sottratto a Confcommercio, e non a Confprofessioni, sulla base del principio del pluralismo rappresentativo, secondo il quale il grado di rappresentatività delle OO.SS. non può desumersi soltanto dal dato quantitativo della consistenza numerica degli associati, ma deve dedursi anche dalla presenza di elementi ulteriori, tra le quali assume rilievo la specialità, la qualità e la rilevanza degli interessi collettivi o professionali espressi dalle associazioni.

E tale specialità, qualità e rilevanza degli interessi di riferimento il provvedimento ha rinvenuto in capo a Confprofessioni, "associazione che annovera circa 450.000 iscritti nel peculiare settore dei prestatori di servizi professionali, i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 8, della Direttiva 2004/18/CE, sono equiparati agli imprenditori, atteso che a tenore di tale norma, i termini "imprenditore", "fornitore" e "prestatore di servizi" designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi".

Il provvedimento in parola ha rilevato anche che "i dipendenti degli studi professionali vedono regolato il proprio rapporto di lavoro da un contratto collettivo iscritto, nel CNEL, nel settore del commercio".

Il Collegio ritiene che le conclusioni assunte dal d.P.R. 28 luglio 2010 sono corrette e totalmente condivisibili in questa sede, anche atteso che, come emerge dal provvedimento di cui si è appena fatta ricognizione nelle parti di interesse nel presente giudizio, esse si sostanziano nel recepimento di consolidati indirizzi espressi, nella materia, dalle statuizioni della giurisprudenza amministrativa, come sinteticamente descritte al precedente punto 2, che, infatti, il provvedimento si dà cura anche di richiamare espressamente.

Per escludere, indi, la fondatezza della censura di carenza di legittimazione di Confprofessioni ad esprimere la propria rappresentanza nell’ambito del settore "commercio" del CNEL, basti qui rammentare che è principio pacifico giurisprudenziale, da cui in questa sede non vi è alcuna ragione di discostarsi, che, nell’ambito di un organo a composizione rappresentativa quale il CNEL, la necessità di contemperare il principio di pluralità con quello di proporzionalità postula la compresenza nell’organo anche di organizzazioni che operino in specifici e peculiari settori di attività economica, che altrimenti risulterebbero prive di rappresentanza.

E questa evenienza è dato rinvenire nella fattispecie e in capo a Confprofessioni, che è stata rappresentata nel CNEL nel settore commercio per il profilo e l’interesse relativo alla posizione datoriale che il professionista assume nel mondo del commercio, ove opera analogamente a qualsiasi altro datore di lavoro.

Tant’è che, come anche rilevato nel provvedimento in parola, il contratto collettivo dei dipendenti degli studi professionali è stato iscritto nell’ambito del medesimo CNEL, nel settore del commercio.

E allora, per un verso, risulta evidente che, contrariamente a quanto paventato dalla ricorrente, la specifica rappresentanza di interessi assicurata a Confprofessioni con la nomina contestata non è suscettibile di duplicare in alcun modo l’ambito della rappresentanza espressa, nella categoria "lavoratori autonomi", dai soggetti nominati in rappresentanza delle libere professioni, che esprime sì i liberi professionisti, ma per un segmento dei loro interessi tutt’affatto diverso da quello che viene in evidenza nel presente giudizio.

Per altro verso, non è dubitabile che proprio il contratto collettivo dei dipendenti degli studi professionali di cui Confprofessioni è stata firmataria fa emergere in capo alla medesima la sussistenza del requisito della rappresentatività, e in un ambito che non può ritenersi estraneo al settore commercio, alla luce delle risultanze istruttorie e delle considerazioni riassunte nel citato decreto decisorio. E non può non rilevarsi, sotto tale profilo, l’erroneità dell’impostazione della censura volta a contestare la rappresentatività di Confprofessioni ponendola sic et simpliciter a confronto con quella di Confcommercio, laddove, invece, chiarita come sopra l’obiettiva consistenza dell’associazione controinteressata, va riconosciuta l’operatività, insieme al criterio della rappresentatività, anche del criterio della specialità, espressione del principio del pluralismo che, in forza di quanto già precedentemente esposto, trova piena cittadinanza nelle norme dell’ordinamento di settore considerato.

6. Con altra ed ultima censura parte ricorrente espone che il d.P.R. di nomina impugnato non sarebbe motivato, non risultando, neanche per relationem, le ragioni per le quali a Confcommercio sono stati assegnati due soli rappresentanti in luogo dei tre precedentemente indicati.

La censura è palesemente infondata.

Il comma 3 dell’art. 3 della l. 241/90 ("3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama") consente l’uso della motivazione per relationem con riferimento ad altri atti dell’amministrazione, che devono essere indicati nei loro estremi e resi disponibili.

La giurisprudenza ha chiarito che tale disponibilità dell’atto va intesa nel senso che all’interessato deve essere consentito, a sua richiesta, di prenderne visione, e non nel senso di un obbligo dell’amministrazione di notificare all’interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento.

In particolare, si è osservato che il concetto di disponibilità nella motivazione per relationem comporta non che l’atto amministrativo menzionato per relationem debba essere unito imprescindibilmente al documento o che il suo contenuto debba essere riportato testualmente nel corpo motivazionale – come erroneamente sembra ritenere la ricorrente – bensì che esso sia reso disponibile a norma di legge, vale a dire che possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi, laddove concretamente esperibile; in sostanza, detto obbligo determina che la motivazione per relationem del provvedimento debba essere portata nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, con la conseguenza che in tale ipotesi è sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi o la tipologia dell’atto richiamato, mentre non è necessario che lo stesso sia allegato o riprodotto, dovendo essere messo a disposizione ed esibito ad istanza di parte (da ultimo, Tar Lazio, Roma, II, 4 febbraio 2011, n. 1076).

Tanto premesso in punto di diritto, osserva il Collegio che il preambolo del decreto di nomina dà chiaramente atto che nel procedimento in esame, successivamente alle designazioni delle OO.SS., sono intervenuti i decreti del Presidente della Repubblica 28 luglio 2010, decisori dei ricorsi presentati dalle confederazioni ed organizzazioni sindacali nonché dalle associazioni delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico, privato e imprenditoriale.

Indi, a mezzo delle indicate premesse, gli interessati sono stati posti in condizione di conoscere non solo che successivamente alle designazioni si è aperta la fase procedimentale contenziosa di cui all’art. 4, comma 4, della legge n. 936 del 1986, ma anche, per l’effetto, che la eventuale non corrispondenza tra le designazioni effettuate e le disposte nomine era ascrivibile a successivi provvedimenti, ben individuati nei loro connotati formali e di contenuto.

Risulta, pertanto, evidente, che, con il chiaro rimando in parola, che ha posto gli interessati in condizione di individuare l’atto recante l’iter logico delle ragioni della suddetta eventuale ipotesi di non corrispondenza nonché di esperire eventualmente istanza di accesso in relazione a tale atto, l’amministrazione ha soddisfatto pienamente l’obbligo di motivazione per relationem.

7. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente C.G.I.D.I., delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo – ConfcommercioImprese per l’Italia, al pagamento delle spese di giudizio in favore delle resistenti amministrazioni per Euro 1.000,00 (euro mille/00) ed in favore delle parti controinteressate, costituitesi in giudizio, Confederazione Sindacale Italiana delle Libere Professioni – Confprofessioni, nonchè Confederazione Italiana Imprese Commerciali Turistiche e dei Servizi – Confesercenti e Marco Giuseppe Venturi, in ragione di Euro 1.000,00 (euro mille/00) per ciascuna delle due.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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