Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-01-2011) 08-06-2011, n. 22828

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con Sentenza in data 3 luglio 2010 la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia 31 maggio 2006 del Tribunale monocratico di Milano che aveva condannato S.S.F. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, per il reato di danneggiamento seguito da incendio, art. 424 c.p., comma 2, dopo aver così qualificato il fatto in imputazione originariamente rubricato come il più grave delitto di cui all’art. 423 c.p..

I fatti oggetto del giudizio si verificarono la notte del (OMISSIS) allorchè, intorno alle 4,00 del mattino una pattuglia di carabinieri a bordo di un’auto civile notava delle fiamme basse uscire da un cancello della (OMISSIS) ed una persona che, in prossimità del cancello, percorreva la via in direzione opposta a quella dei militari. La persona veniva fermata per controllo, identificata nell’imputato e, poichè che emanava forte odore di benzina, i militari provvedevano a perquisirlo rinvenendo il tappo di una tanica, che anch’esso odorava di benzina, e due accendini. Nel frattempo l’incendio era divampato investendo due furgoni parcheggiati all’interno del cortile, tanto da richiedere l’intervenivano i vigili del fuoco i quali, dopo l’evacuazione dei condomini prospicienti il cortile, provvedevano a spegnere le fiamme.

Era, quindi, accertato che le fiamme avevano danneggiato due furgoni di proprietà di F.P., esclusa la causa accidentale dell’incendio e stabilito che esso era stato appiccato direttamente ai due automezzi mediante l’impiego di liquido infiammabile, veniva individuato quale responsabile lo S. il quale, tratto in arresto, era poi condannato dal Tribunale monocratico di Milano.

La Corte di appello, così come il giudice di primo grado, non riteneva attendibile la tesi difensiva secondo la quale l’imputato: – si sarebbe trovato in prossimità del luogo dell’incendio in quanto cercava una farmacia per acquistare un medicinale per il figlio, – quando fermato dai carabinieri odorava di benzina perchè aveva poggiato i piedi su tale liquido che si trovava davanti al luogo dell’incendio, che era in possesso del tappo di tanica perchè poco prima gli era rimasto in mano mentre tentava di sottrarre una tanica ad un ragazzo che si trovava davanti al cancello di via (OMISSIS) e che era fuggito; – che i due accendini gli servivano per accendere la pipa che aveva con sè. Le incongruenze della versione dell’imputato e le chiare dichiarazioni dei testi Maresciallo C., F. P. parte offesa in quanto proprietario dei furgoni incendiai, e R.L., comandante dei vigili del fuoco, secondo i giudici di merito, confermavano l’ipotesi accusatoria in base alla quale l’incendio era stato appiccato dall’imputato ai furgoni di proprietà del F. a causa del rancore che egli nutriva nei confronti di questo, rancore originato da dissidi attinenti a questioni condominiali sfociate, anche in controversie civili.

1.2. – Avverso la sentenza della Corte d’appello propone ricorso il difensore di S.S.F., avvocato Piero De Rosi, assumendo a ragione:. 1) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Si duole il ricorrente che la sentenza non abbia preso in considerazione, in punto di responsabilità dell’imputato, le censure attinenti ala ricostruzione del fatto storico sviluppate nei motivi di appello e concernenti le dichiarazioni dei testi. La testimonianza del maresciallo C. lascia parecchi dubbi perchè non è credibile che nell’imboccare via (OMISSIS) provenendo da via (OMISSIS), egli possa aver visto delle fiamme basse uscire dal cancello nè vedere una persona a distanza di cinque sei metri dal magazzino. Così come le distanze tra l’auto dei carabinieri ed il luogo ove venne fermato l’imputato sono incongruenti e non portano ad escludere che l’incendio sia stato appiccato da persona diversa dal ricorrente che poi sia scappata in direzione opposta a quella dei militari. Anche la ricostruzione operata dalla corte in relazione alle cause dell’incendio è basata su argomentazione illogica e carente: infatti il teste R. ha riferito che non è stato rinvenuto nessun oggetto ricollegabile alla natura dolosa dell’incendio, invece il F., il giorno successivo al fatto ritrovò diverse bombolette di gas da campeggio sotto i mezzi bruciati. Sulla contraddittorietà delle due testimonianze la corte si è limitata a dire che la presenza delle bombolette non contrastava con la versione del R.. Manca, poi, qualunque valutazione sulla perizia sugli abiti sequestrati al ricorrente all’atto dell’arresto. Riguardo agli ulteriori indizi di colpevolezza considerati in sentenza vi è carenza di motivazione e, soprattutto, illogicità laddove è affermato che le liti giudiziarie costituiscono indicatori a carico dell’imputato il quale aveva controversia, invece, con il condominio e non con il F.. Non vi è, poi, prova in atti che i messaggi telefonici di minaccia al F. provenissero dall’imputato il quale ha sempre negato di averli fatti e l’utenza telefonica adoperata per effettuare gli stessi non era a lui intestata nè è mai stata in suo uso.

2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alle regole di valutazione delle prove poste dall’art. 192 c.p.p.. lamenta il ricorrente che gli indizi valutati dalla corte di appello non siano precisi, gravi e concordanti in quanto non confluiscono verso una ricostruzione unitaria del fatto e sono, tra loro, incongruenti.

2.- Il Procuratore Generale della Repubblica dott. Francesco Iacoviello ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con esso infatti sono proposte censure che solo apparentemente attengono a motivi di legittimità ed hanno, invece, essenzialmente natura di doglianze di merito perchè prospettano una rivisitazione delle risultanze probatorie già congruamente e compiutamente valutate dai giudici di merito. La mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), devono risultare dal testo della sentenza, o del provvedimento diverso, impugnati, per cui dedurre tale vizio significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione o palesemente illogico e non contrapporre alla logica valutazione degli atti, già effettuata dal giudice di merito, una diversa ricostruzione degli stessi. Secondo la previsione normativa il controllo di legittimità riguarda la coerenza strutturale in tema della decisione di cui deve verificare l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, pertanto, una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento del provvedimento, la cui valutazione spetta in via esclusiva al giudice di merito, non è consentita e non può, quindi, integrare vizio di legittimità la prospettazione da parte del ricorrente di una diversa valutazione delle risultanze processuali e probatorie ritenuta più aderente alla realtà (Cass. Sez. 4, Sent. 28 settembre 2004, n. 47891, Rv. 230568;

Cass Sez. 6, sent. 15 marzo 2006 n. 10951, Rv. 233708; Cass. Sez. 6, Sent. 16 gennaio 2008, Rv. 240056, Cass. Sez. 2, Sent. 25 settembre 2009, n.40685). E’, quindi, esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

La corte territoriale nella sentenza impugnata ha, con iter argomentativo logico, completo e consequenziale, valutato l’attendibilità delle circostanze riferite da Maresciallo C., il quale ha affermato di avere visto le fiamme basse fuoriuscire dal cancello a sbarre, ha dichiarato di non aver visto altra persona all’infuori dell’imputato e , come dimostrato dalle foto dei luoghi, in orario notturno l’illuminazione pubblica avrebbe sicuramente consentito ai militari di vedere eventuali persone, diverse dall’imputato, presenti nella stessa strada. Con eguale congruenza la sentenza rileva che la testimonianza del comandante di vigili del fuoco circa le cause non accidentali dell’incendio il non rinvenimento di oggetti atti a provocare l’incendio , non contrasta con quanto riferito dalla parte offesa F., circa il rinvenimento da parte di quest’ultimo di alcune bombolette di gas parzialmente esplose, in quanto, come affermato dai giudici, esse non erano idonee a cagionare le fiamme ma solo a potenziarne l’effetto.

Che poi la tanica usata per portare in loco la benzina non sia stata ritrovata è circostanza che, come riferito dal maresciallo C., che secondo quanto affermato dai vigili del fuoco poteva essere derivata dallo scioglimento dello stesso recipiente per il forte calore. Quanto ai contrasti tra l’imputato e la parte offesa essi, come argomentato dalla corte, erano stati inizialmente personali e successivi ad un periodo di frequentazione amichevole anche tra le famiglie e il condominio, come risulta da quanto riferito in sentenza era costituto da tre soli nuclei familiari compreso quello dell’imputato e della persona offesa, e era stato nominato un amministratore non condomino proprio a causa dei dissidi con il S.. Quanto alla provenienza dei messaggi minatori ricevuti dal F., la riferibilità di essi all’imputato è desumibile, secondo i giudici di merito, dal contenuto degli stessi, e dalla, evidente, poca padronanza della lingua italiana che se ne evince. Che poi nulla venga detto in motivazione sugli abiti sequestrati è circostanza di tutto priva di rilevanza a fronte della copiosa mole di prove ed indizi che attingono, secondo quanto ampiamente illustrato in sentenza, l’imputato.

1.2.- Ugualmente inammissibile il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192, c.p.p., non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie e per le ragioni più sopra esposte – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della attribuibilità all’imputato delle condotte antigiuridiche a lui contestate.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende .

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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