Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-10-2011, n. 20985

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M. evocò in giudizio dinanzi al tribunale di Udine la s.r.l. Merilin per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di un incidente avvenuto nei locali della convenuta dove egli, dopo avere urtato leggermente una vetrina non distinguibile dallo spazio aperto, ne era rimasto travolto, subendo gravi lesioni.

Il giudice di primo grado, ritenuto che, dal materiale probatorio raccolto, era emersa la prova che era stato l’attore ad urtare con violenza la vetrina, respinse la domanda.

La corte di appello di Trieste, investita del gravame proposto dal P., lo rigettò.

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi.

Resiste con controricorso la società Merilin.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per patente inammissibilità dei quesiti così come formulati a conclusione di ciascuno dei motivi esposti (quanto al primo e al terzo) e per assoluto difetto di esposizione in via sintetica del fatto controverso e della sua decisività ai fini del giudizio (quanto al secondo).

All’esame delle doglianze mosse dalla difesa del ricorrente va premesso che, alla luce di una più che consolidata giurisprudenza di questa corte regolatrice in ordine alla corretta interpretazione della norma ex art. 366 bis c.p.c., questo giudice di legittimità ha già avuto modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2- 12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice. La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Quanto ai presupposti della sintesi necessaria per l’esame del denunciato vizio di motivazione (motivo sub 2) da parte della Corte di legittimità, ancora le sezioni unite di questa corte hanno specificato (Cass. ss.uu, 20603/07) l’esatta portata del sintagma "chiara indicazione del fatto controverso" in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea. a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, cioè, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, (la Corte ha ritenuto che il motivo non fosse stato correttamente formulato in quanto, esattamente come nel caso che oggi occupa il collegio, la contraddittorietà imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente). Tanto premesso:

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di principi generali dell’ordinamento in relazione all’art. 2051 c.c. – nonchè agli elementi costitutivi di tale previsione – in ordine alla ritenuta insussistenza della responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo alla società convenuta.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica la corte suprema se violi l’art. 2051 c.c. la sentenza impugnata nella parte in cui abbia ritenuto non applicabile la responsabilità per danni da cose in custodia in capo alla società Merilin per i danni tutti subiti dal ricorrente in data (OMISSIS) con riguardo alla vicenda meglio descritta in giudizio e comunque per avere ritenuto che il contegno del ricorrente, integrando colpa gravissima consentisse di ritenere non responsabile ex art. 2051 c.c. la società convenuta.

Con il secondo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa la denunciata responsabilità ex art. 2051 c.c. della società convenuta. Il motivo (al di là di una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito della causa da parte del giudice di legittimità) appare privo del tutto della esposizione in via di sintesi del fatto controverso e decisivo per il giudizio che si assume oggetto di erronea interpretazione sul piano motivazionale da parte della corte giuliana.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di principi generali dell’ordinamento ( art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’art. 112 c.p.c. – art. 115 c.p.c., comma 1 – art. 116 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove orali assunte in giudizio e poste a fondamento della decisione impugnata.

Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Dica la corte suprema se violi l’art. 112 c.p.c. – art. 115 c.p.c., comma 1 -art. 116 c.p.c. la sentenza impugnata nella parte in cui abbia ritenuto "poco credibili" i testimoni intimati ed escussi nell’interesse del ricorrente in quanto legati da un rapporto di amicizia allo stesso, e pertanto abbia adottato una decisione non conforme alle risultanze probatorie frutto di rituale deduzione da parte del ricorrente e altrettanto ritualmente assunte.

Alla luce delle premesse poc’anzi esposte, i quesiti relativi ai motivi 1 e 3 non possono che essere dichiarati inammissibili – non senza ulteriormente considerare che, quanto alla prima censura, del tutto inammissibile si presenta, ancora, il quesito che, in violazione del principio della propria intrinseca autosufficienza, conclude il motivo rinviando "alla vicenda meglio descritta in giudizio" (f. 21 del ricorso), mentre, quanto alla terza doglianza, la sua patente inammissibilità consegue alla formulazione di un quesito (già di per sè inammissibile, alla luce dei sopra ricordati principi ermeneutici) scaturente da un motivo già di per sè contrario al principio di autosufficienza, non essendo in alcun modo riportato, nel corso della sua illustrazione, il contenuto delle deposizioni testimoniali la cui efficacia probatoria si pretende misconosciuta e disconosciuta dal giudice di merito.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 9200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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