Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-06-2011) 09-06-2011, n. 23118

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 09.11.2010 il GUP del Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere perchè il fatto non costituisce reato nei confronti di D.F.M. in ordine:

– al delitto di calunnia in danno di S.D. e M. A., accusate, in un esposto del 06.02.2008, con relativo seguito del 18.07.2008, all’Ordine dei Commercialisti di Roma, e in un atto di citazione notificato il 18.07.2008, di abuso d’ufficio e falso consistiti nell’avere, quali consulenti tecnici del P.M. nei procedimenti n. 48896/05 RG e 8314/06 RG, perseguito interessi personali e fornito elementi parziali o falsi, atti a determinare iniziative giudiziarie finalizzate al discredito di esso D. F., in relazione al suo operato quale amministratore e liquidatore della fallita Lattuada S.r.l.;

– al delitto di diffamazione in danno di B.M. e D.L. F., indicati, nel suddetto seguito di esposto del 18.07.2008, come "coinvolti" in un procedimento penale (n. 7370/03 RG Proc. Perugia) nel quale la S., moglie del D.L., di cui il B. era collaboratore, aveva assunto l’incarico di consulente tecnico del P.M..

Rilevava in particolare il GUP:

– quanto alla contestazione di calunnia, che l’imputato, prosciolto dalle imputazioni scaturite dalle relazioni delle due consulenti, aveva riferito, nei confronti delle stesse, circostanze in parte vere o che tali potevano apparire, e in parte irrilevanti, ritenendole incolpevolmente frutto di una condotta abusiva;

– quanto alla contestazione di diffamazione, che il D.F. aveva incolpevolmente ritenuto il D.L. e il B. "coinvolti" nel procedimento penale e comunque nessuna intenzione aveva di offenderne la reputazione.

Contro la sentenza propongono ricorso per cassazione le parti civili S., D.L. e B..

La S. sottolinea anzitutto che l’imputato:

– nell’esposto all’Ordine dei Commercialisti:

– le ha mosso ingiustificate accuse, non prese in considerazione dal GUP, quale in particolare il perseguimento di interessi personali, da ravvisarsi nell’ottenimento di ulteriori incarichi e della relativa remunerazione, richiesta peraltro due volte per la medesima attività, e nella profonda inimicizia nei confronti del D. F., con la connessa finalità di precludergli, ponendo in essere un’attività di concorrenza sleale, incarichi in ambito pubblicistico;

– le ha, in modo consapevolmente falso, attribuito una condotta dolosamente diretta a sollecitare il P.M. a riaprire le indagini nei confronti di esso D.F., accusandola anche di omissioni deliberate, incompatibili con le allegazioni alla relazione, e di un’ingiusta attribuzione di mancata consegna della cassa sociale della Lattuada Srl;

– le ha, in modo consapevolmente falso, attribuito una manipolazione dei fatti, diretta a far apparire il D.F. come colpevole di appropriazione indebita;

– ha, in modo consapevolmente falso o comunque meritevole sul punto di approfondimento dibattimentale, affermato che lei e la collega M. sollecitarono il P.M. a disporre la perquisizione nei confronti del D.F. per perseguire il proprio interesse ad acquisire informazioni di carattere riservato sull’organizzazione, la clientela e l’attività del D.F.;

– nell’atto di citazione civile, ha ripreso e integrato le precedenti accuse, aggiungendone altre, relative in particolare alla violazione di obblighi di astensione. Tanto premesso, la ricorrente rileva che il GUP:

– ha omesso, benchè sollecitato, di analizzare in maniera logica e compiuta, ai fini della valutazione (anche prognostica) della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di calunnia, la dedotta falsità dei moventi addotti dal prevenuto per spiegare le supposte condotte fraudolente;

– non ha tenuto conto dell’inverosimiglianza della prospettazione, fatta dall’imputato, di un vero proprio "raggiro" operato dalle consulenti ai danni del P.M.;

– ha erroneamente considerato l’imputato come ignaro di conoscenze inerenti al procedimento penale, di contro alla sua conclamata esperienza di "consulente" giudiziario.

Conclude, quindi, nel senso che il prevenuto, contrariamente a quanto opinato disinvoltamente dal GUP, non ha semplicemente frainteso alcuni fatti per il sentimento derivante da una presunta ingiustizia subita, ma ha formulato delle gravi accuse del tutto ingiustificate, in quanto non fondate su elementi seri e concreti, attribuendo in particolare alle due consulenti specifici e gratuiti moventi di avversione nei suoi confronti, sui quali certamente si potevano avere utili sviluppi in sede dibattimentale.

Il D.L. e il B. deducono che il GUP ha escluso l’elemento soggettivo del reato di diffamazione nei loro confronti, senza considerare che:

– il riferimento alla consulenza della S. nel procedimento in cui i predetti sarebbero stati "coinvolti" era estraneo alle finalità dell’atto in cui era contenuto;

– la consulenza di cui sopra atteneva a un procedimento penale in cui i ricorrenti non erano coinvolti in alcun modo;

– anche la relazione ministeriale da cui il predetto procedimento era scaturito non riguardava in alcun modo comportamenti censurabili dei ricorrenti.

Ha presentato memoria la difesa del D.F..
Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati.

Per quanto concerne, invero, il delitto di calunnia, deve osservarsi, in via generale, che, perchè si realizzi il dolo di tale reato, è necessario che chi formula la falsa accusa abbia certezza dell’innocenza dell’incolpato. L’erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude, quindi, l’elemento soggettivo.

Si è tuttavia precisato (v., per tutte, Sez. 6, 14 marzo 1996, Gardi) che tale esclusione opera solo se il convincimento dell’accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni. A quest’ultimo riguardo, occorrono però alcuni chiarimenti. Se, invero, l’originaria incertezza sulla colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o comunque di corretta rappresentazione nella denuncia, la omissione di tale verifica o rappresentazione determina effettivamente la dolosità di un’accusa espressa in termini perentori. L’ingiustificata attribuzione di un fatto dubbio come fatto vero presuppone infatti la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all’incolpato. Quando invece l’incertezza riguarda profili soggettivi della condotta posta realmente in essere dall’accusato, da un lato la verifica della loro veridicità si presenta come assai problematica e, dall’altro, la rappresentazione della incertezza dei medesimi è generalmente insita nella loro natura di elementi frutto di valutazione e non di cognizione. In tal caso, dunque, l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, sarà inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia. Applicando tali principi al caso di specie, deve osservarsi che, secondo la ricostruzione del GUP, la falsità delle accuse rivolte dal D.F. alle due consulenti attiene precipuamente proprio ai profili soggettivi del loro operare, ritenuto dall’imputato – per talune apparenti improprietà o possibili antefatti nonchè all’esito, e a cagione, del suo proscioglimento dagli addebiti seguiti agli accertamenti dalle stesse effettuati – come animato con ogni probabilità, pena la sua inesplicabilità, da finalità indebite, tali da connotarlo di illiceità anche penale – E’ stata, quindi, ravvisata una rappresentazione falsata, non di fatti, ma di intenti, determinata dalla lunga e dolorosa evoluzione della vicenda in cui il D. F. è rimasto coinvolto, che lo ha indotto a leggere, senza comprovata malafede, alcuni particolari passaggi della condotta delle consulenti in una luce ingiustamente persecutoria. Tale ricostruzione del GUP appare logicamente motivata e idonea a vincere anche le obiezioni sollevate nel ricorso, che insistono in particolare proprio sul punto, ritenuto argomentatamente giustificato dal GUP, della negativa connotazione soggettiva attribuita dal D.F. alle condotte delle consulenti. Puramente assertivo è poi al riguardo l’assunto di un utile sviluppo dibattimentale (del quale non si colgono assolutamente i presupposti) al fine di chiarire la possibile natura univocamente dolosa di tale attribuzione.

Passando ora a esaminare l’addebito di diffamazione, si osserva che il GUP ha dato ampio e logico conto, sia dell’assenza di qualunque intento offensivo nei confronti del D.L. e del B., sia dell’esistenza di presupposti idonei – al di là delle precisazioni tecniche fatte dai ricorrenti, inconferenti in relazione alla portata del riferimento fatto dal D.F. – a determinare l’equivoco in cui incorse l’imputato.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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