Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 09-06-2011, n. 23154 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16.4.2008, il Tribunale di Catania dichiarò C.M. responsabile di truffa e – concesse le attenuanti genetiche – la condannò alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

L’imputata fu altresì condannata al risarcimento dei danni (liquidati in Euro 10.000,00) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili B.L., F.S., G. S., Z.G., Gi.An. e Fa.Gi..

Avverso tale pronunzia l’imputata propose gravame ma la Corte d’appello di Catania, con sentenza in data 18.11.2009, confermò la decisione di primo grado e condannò l’imputata alla rifusione delle ulteriori spese di giudizio a favore delle parti civili.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata deducendo: 1. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto nella condotta descritta nelle sentenze di merito non sarebbe ravvisabile il delitto di truffa: la promozione e messa in vendita del prodotto (consistente, fra l’altro, nel soggiorno in un dammuso nell’isola di Pantelleria) non sarebbe intervenuto fra le parti civili e l’imputata, ma fra queste ed un tour operator di Catania (Antica Corte Viaggi), intermediario per la vendita del pacchetto turistico confezionato da altra agenzia (Ruggeri Vacanze); l’imputata aveva stipulato un contratto solo con quest’ultima agenzia avente ad oggetto la fornitura di tre immobili del tipo dammuso; nessuna dichiarazione negoziale dell’imputata fu diretta alle parti civili e la Corte d’appello avrebbe dovuto porsi il problema della configurabilità della truffa contrattuale in capo ad un soggetto che non è parte del contratto; in particolare sarebbe stato necessario verificare se fosse stata lasciata immutata la rappresentazione dell’oggetto del contratto, in quanto l’opuscolo pubblicitario non è stato redatto dall’imputata e la sentenza di primo grado pone l’accento sul fatto che l’immobile fosse diverso da quello descritto nell’opuscolo informativo; nelle sentenze di merito si fa riferimento ad una condotta dell’imputata che avrebbe messo a disposizione della Ruggeri Vacanze un immobile che non sarebbe stato un tipico dammuso;

le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado non chiariscono se la mendace offerta avrebbe riguardato un dammuso o un immobile avente le stesse caratteristiche; per tutte le abitazioni site nell’isola di Pantelleria, al di fuori del Centro-Porto la legge impone una tipologia di costruzioni che le rende assimilabili ai dammusi (art. 44 Piano territoriale paesistico di Pantelleria, Decreto 11.10.2001. G.U. n. 253 serie generale); non è stata spesa parola su sulla consulenza tecnica prodotta dalla difesa ai sensi dell’art. 603 c.p.p.; le sentenze di merito sono incorse nell’equivoco di considerare "dammuso" solo quello in senso stretto, peraltro esistente solo in forma di ruderi; del resto l’ambiente protetto implica alcuni disagi; non si comprende inoltre quale sia stato il momento del raggiro, se si ritiene che l’imputata abbia mentito al momento della stipula del contratto con Ruggeri Vacanze ovvero che abbia consegnato un immobile diverso da quelli di cui aveva offerto la disponibilità; sugli aspetti segnalati, del resto posti a base della richiesta di archiviazione formulata dal P.M. e respinta, mancherebbe la motivazione, così come in ordine alla circostanza che le persone offese accettarono comunque di rimanere nell’immobile per tutta la durata della vacanza ed alla attendibilità delle parti civili, querelate dall’imputata per le minacce a lei rivolte;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla liquidazione del danno senza indicazione dei criteri a base della determinazione dello stesso;

3. violazione della legge processuale dal momento che la sentenza di secondo grado non contiene l’imputazione sicchè sarebbe nulla.
Motivi della decisione

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La mancata o incompleta indicazione in sentenza – nel caso di specie di appello – del capo di imputazione non ne determina la nullità, in quanto l’enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritti all’imputato può essere desunta dal contenuto complessivo della decisione. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1137 del 17.12.2008 dep. 13.1.2009 rv 242548).

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

Anzitutto va ricordato che il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11220 del 13.11.1997 dep. 5.12.1997 rv 209145).

Ciò premesso dalla sentenza di primo grado risulta che il proprietario dell’abitazione locata dalla C., E. G., aveva condotto le parti civili in contrada Rekhale, segnalando loro che tale abitazione non era un dammuso e chiedendo se la C. lo avesse qualificato come tale. Inoltre aveva lasciato loro candele nel caso fosse mancata la corrente elettrica.

Nell’abitazione in questione era possibile accendere solo l’illuminazione, perchè in caso di uso di frigorifero o condizionatori cessava l’erogazione dell’energia in quanto ciò comportava l’assorbimento di un quantitativo maggiore di quello consentito. L’acqua era sporca e calda, le camere da letto erano prive di finestre e l’abitazione sorgeva sopra una fa vara, cioè una sorgente termale. La C. aveva detto che si era trattato di un disguido e che avrebbe trovato un’altra sistemazione, cosa che poi non avvenne. Il (OMISSIS) B.L. aveva accusato un malore per il forte caldo dell’abitazione e le parti civili si erano poi trasferite in un albergo, mentre Fa. e Ga. avevano trovato ospitalità nel dammuso di loro amici. Il medico delegato d’igiene aveva rilevato il caldo eccessivo. E.G. aveva dichiarato di aver raccomandato alla C. di non qualificare l’immobile come dammuso in quanto non ne aveva dei requisiti. La C. aveva invece stipulato con l’Agenzia Ruggeri un contratto per la fornitura di dammusi standard. Tali immobili non erano stati specificamente individuati nel contratto, ma dovevano essere individuato di volta in volta dalla C..

In tale valutazione di merito non si ravvisa alcuna manifesta illogicità nè violazione di legge.

Infatti, contrariamente a quanto si sostiene nel ricorso, richiamando anche la richiesta di archiviazione, questa Corte ha affermato che "in tema di truffa contrattuale il reato è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorchè una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno" (Cass. Sez. 2^ sent. n. 9323 del 20.1.1988 dep. 21.09.1988 rv 179203).

Ciò è quanto i giudici di merito hanno ritenuto essere avvenuto anche in ragione dell’iniziale dichiarazione di disponibilità a sostituire l’abitazione. Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il Tribunale ha liquidato sia il danno materiale che quello morale nella somma complessiva di Euro 10.000,00.

In tema di liquidazione del danno morale, la relativa valutazione del giudice, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34209 del 17.6.2010 dep. 22.9.2010 rv 248371).

La motivazione posta a base della liquidazione è contenuta nella dettagliata ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado e nel richiamo, contenuto nella sentenza di appello, non solo alla somma pattuita, ma ai danni di natura biologica ed esistenziale.

E’ legittimo del resto il ricorso del giudice a criteri equitativi nella quantificazione del danno risarcibile ove in esso non siano rinvenibili componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43053 del 30.9.2010 dep. 3.12.2010 rv 249140).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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