Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 09-06-2011, n. 23153

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6.4.2005, il Tribunale di Belluno dichiarò Z.S.G. responsabile del reato di estorsione e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (liquidato in Euro 4.000,00 ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile F.V.).

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Venezia, con sentenza in data 8.10.2010, confermò la decisione di primo grado e dichiarò condonata la pena di anni 3 di reclusione e l’intera pena pecuniaria.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata qualificazione del fatto quale esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quantomeno sotto il profilo putativo, dal momento che l’imputato agì per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nell’erogazione delle sue spettanze, come emerge dalle complessive risultanze rassegnate nel ricorso.

Peraltro la minaccia non era tale da integrare l’estorsione posto che non esistevano i documenti da consegnare alla Guardia di Finanza o all’A.S.L.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tenta di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta con L. n. 46 del 2006, ed inoltre è manifestamente infondato.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

Nel caso in esame i giudici di merito non hanno travisato risultanze processuali, ma ne hanno dato una lettura diversa da quella prospettata nel ricorso.

Peraltro la Corte d’appello ha escluso che vi fosse alcuna proporzione fra la richiesta di L. 10.000.000 e possibili diritti vantati, posto che la retribuzione dovuta all’imputato era stata corrisposta, sia pure con ritardo.

La sottolineata entità sproporzionata della somma implica l’esclusione anche della putatività dell’esercizio di un diritto.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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