Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 09-06-2011, n. 23152

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19.3.2008, il Tribunale di Taranto, fra l’altro:

dichiarò P.E. responsabile dei reati di ricettazione (così riqualificato il delitto di cui al capo g) e di patrocinio infedele di cui al capo h, unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 4 mesi 10 di reclusione ed Euro 5.100,00 di multa;

dichiarò R.A. responsabile del reato di ricettazione (così riqualificato il delitto di cui al capo g) e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 3 mesi 4 di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa;

dichiarò Fi.Fr. responsabile di falso in testamento olografo e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 2 mesi 8 di reclusione;

dichiarò non doversi procedere nei confronti F.A.B., Fi.An. e Fi.Fr. in ordine ai reati di appropriazione indebita, circonvenzione d’incapace e furto per difetto di querela;

assolse F.A.B., Fi.An., Fi.Fr. e P.E. dal reato di associazione per delinquere perchè il fatto non sussiste; assolse F.A.B., Fi.An. e Fi.Fr. dal reato di appropriazione indebita di cui al capo l perchè il fatto non sussiste; assolse F.A.B. e F. A. dal reato di falso in testamento olografo per non aver commesso il fatto;

assolse Fo.An. dal delitto di falsa testimonianza perchè il fatto non sussiste;

dichiarò la falsità del testamento olografo;

ordinò la restituzione dei beni in sequestro all’asse ereditario di Fi.Gi.;

condannò P.E., R.A. e Fi.Fr. al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese processuali a favore della parte civile Fi.

G.L. rappresentato dall’esercente la potestà di genitore M.K..

Avverso tale pronunzia proposero gravame il P.M. e – con altri – gli imputati F.A.B., Fi.An., Fi.Fr., P.E. e R.A..

La Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza in data 4.5.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, fra l’altro:

– dichiarò F.A.B. e Fi.An. responsabili del reato di falso in testamento olografo e – esclusa l’aggravante e concesse ad entrambi le attenuanti generiche – condannò ciascuno dei predetti alla pena di anni 2 mesi 8 di reclusione;

– dichiarò Fo.An. responsabile del delitto di falsa testimonianza e – concesse le attenuanti generiche – lo condannò alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione;

– dichiarò non doversi procedere nei confronti di P.E. in ordine al delitto di appropriazione indebita originariamente ascritto al capo g perchè estinto per prescrizione e rideterminò la pena per il delitto di patrocinio infedele in anni 1 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, pena sospesa;

– dichiarò non doversi procedere nei confronti di R.A. in ordine al delitto di appropriazione indebita originariamente ascrittogli al capo g perchè estinto per prescrizione;

– dichiarò non doversi procedere nei confronti di F.A. B., Fi.An. e Fi.Fr. in ordine al delitto di appropriazione indebita, nonchè nei confronti di Fi.Fr. in ordine ai delitti di circonvenzione di incapace perchè estinti per prescrizione;

– condannò Fi.An., F.A.B. e Fo.An. al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) a favore della parte civile, per i reati per i quali è intervenuta condanna in appello;

– confermò le statuizioni civili nei confronti di Fi.Fr., P.E. e R.A.;

– condannò gli imputati F.A.B., Fi.An., F. F., Fo.An., P.E. e R.A. in solido fra loro e con altro imputato alla rifusione a favore della parte civile delle spese di giudizio per il grado di appello (liquidate in Euro 3.500,00 oltre accessori), nonchè F.A. B., Fi.An. e Fo.An. alla rifusione delle spese a favore della parte civile per il doppio grado di giudizio (liquidate in Euro 11.000,00 oltre accessori).

Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati F.A. B. e Fi.An., Fi.Fr., Fo.An., P.E. e R.A..

Il difensore di F.A.B. e Fi.An. deduce:

1. violazione della legge penale in relazione alla ritenuta procedibilità dei reati di cui agli artt. 643 e 646 c.p. in quanto la sentenza impugnata si sarebbe rifatta ad orientamenti giurisprudenziali e segnatamente alla massima di cui alla sent. Cass. Sez. 2^ penale 4.12.2003, ma tale principio non conterrebbe affatto la regola generale per cui il concorso del terzo estraneo renderebbe sempre perseguibile d’ufficio il delitto di circonvenzione d’incapace commesso dai prossimi congiunti della persona offesa, ma solo la eseguibilità di provvedimenti cautelari reali indipendentemente dal concorso nel reato della persona detentrice di quanto oggetto di sequestro; non può parlarsi di giudicato, dal momento che la pronunzia cautelare non può vincolare il giudice della cognizione;

2. violazione di legge in quanto mancherebbe la contestazione formale del concorso di un terzo nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p., ritenuta contestata in fatto, ma ciò sarebbe in contrasto sia con l’art. 111 Cost., sia con pronunzie della Corte europea dei diritti dell’uomo; peraltro la conseguente indeterminatezza comporterebbe la nullità dell’imputazione ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. b);

3. violazione di legge in relazione alla restituzione dei beni sequestrati all’asse ereditario sia perchè il sequestro preventivo non avrebbe potuto essere disposto in ragione dell’improcedibilità, sia perchè i beni non possono che essere restituiti alla persona alla quale sono stati sequestrati;

4. violazione di legge in relazione alla valutazione della testimonianza della parie civile, dovendosi escludere che la posizione di questa possa essere assimilata a quella del terzo disinteressato;

5. vizio di motivazione in relazione alla mancata valutazione delle prove testimoniali ed al contrasto fra le stesse e le risultanze delle prove scientifiche;

i 9 test somministrati dalla dott.ssa C. a Fi.Gi. sono durati da 30 minuti ad un’ora e mezza, ad una media di 9 minuti a test; tali test potrebbero essere stati inficiati sia dall’età avanzata del paziente che dai primi effetti del morbo di Parkinson;

la parte civile ha riferito di continua alternanza di momenti di lucidità e di confusione in capo al de cuius, mentre la dott.ssa C. ha confermato che l’aparassia poteva dipendere dal morbo di Parkinson e non da disturbi neurologici; manca inoltre l’allegato ai test, sicchè è impedita ogni diversa valutazione; nello stesso anno il Prof. f., in occasione del ricovero di Fi.Gi. a (OMISSIS) nei giorni 23.2.2000 – 26.2.2000, ha affermato che Fi.

G. era capace di badare a se stesso, ma che la demenza riscontrata era medio grave; peraltro, a dire del medesimo, Fi.Gi. era ancora in grado di comprendere il significato del termine demenza, tanto che egli nella cartella clinica usò il termine "involutivo";

f. vide il paziente una sola volta per poco tempo e l’anamnesi fu effettuata da un’assistente; la terapia rallentò sicuramente l’evolversi della demenza; che le condizioni psichiche di Fi.Gi. non fossero eccessivamente pregiudicate risulta dalle deposizioni del notaio Fa., dell’avv. Na., di Co.Fr., Ca.Co. ignorate nella sentenza impugnata; il Prof. A. si sarebbe concentrato solo sull’aspetto motorio e quello psicotico e non sull’aspetto cognitivo; alla seconda visita Fi.

G. si presentò da solo; il teste Gr. ha riferito di aver incontrato Fi.Gi. a passeggio con il figlio; il teste Go. ha riferito circa la capacità di Fi.Gi. di compiere attività economiche e bancarie; la teste Fo.An.Ch. ha confermato l’attendibilità delle dichiarazioni di Go.; il dott. L. avrebbe effettuato una diagnosi solo su quanto dichiarato dai parenti; la visita del dott. V. non presenterebbe criteri di certezza;

6. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il falso nel testamento olografo, basata su una perizia che si fonda su un ragionamento tecnico non condivisibile, smentita dalla consulenza tecnica del Prof. Ve., ed indebolita dalle dichiarazioni dello stesso perito Prof. Br.;

peraltro il perito avrebbe trascurato gli effetti del morbo di Parkinson. Il difensore di Fi.Fr. deduce:

1. violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 649 c.p. in quanto la Corte territoriale, pur riconoscendo che i reati di appropriazione indebita e di circonvenzione d’incapace erano stati posti in essere quando Fi.Gi. era in vita e che lo stesso non ha mai presentato querela, ha ritenuto che i reati di circonvenzione d’incapace fossero perseguibili d’ufficio essendo il reato di circonvenzione d’incapace ascritto anche al notaio Pi.;

la sentenza della Corte di cassazione resa in materia cautelare reale non condurrebbe alla conclusione alla quale è pervenuta la Corte d’appello; quanto ai reati di appropriazione indebita ha ritenuto da un lato il concorso (che non sussisterebbe) di P. e dall’altro che fosse contestato in fatto l’abuso di prestazioni domestiche da parte dei fratelli; peraltro il Tribunale aveva escluso con motivazione razionale l’abuso di prestazione d’opera in capo a P., mentre non sarebbe contestato in fatto e non sussisterebbe alcun abuso di relazioni domestiche in capo ai fratelli;

2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per la falsificazione del testamento olografo; la Corte territoriale avrebbe ritenuto apoditticamente fondata la perizia del Prof. Br., nonostante le censure mosse nei motivi di appello, che sarebbero rimaste senza risposta; in particolare il perito avrebbe omesso di trattare l’analisi degli effetti del morbo di Parkinson (di cui era affetto Fi.Gi.) sulla grafia; il perito nel corso delle dichiarazioni rese in sede di incidente probatorio sarebbe caduto in contraddizione; l’incoerenza e l’inattendibilità della perizia emergerebbe dalla consulenza tecnica del Prof. Ve.;

3. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta incapacità di Fi.Gi. a compiere atti dispositivi; non sarebbe stata data adeguata risposta alle doglianze svolte nei motivi di appello; già nella prima querela sporta da M.K. si riferisce che, nell’anno 2001, anche se con alcuni momenti di mancanza di lucidità, Fi.Gi. era capace di intendere e di volere tanto da dialogare quotidianamente con il proprio figlio; anche nel 2002, fino al 20.7.2002 quando fu colpito da ictus Fi.Gi. era in grado di compiere atti, tanto che intervenne personalmente a due rogiti redatti dal notaio Se.Gi., in data 8.3.2002; il 28.3.2002 (4 giorni dopo la data del testamento olografo) Fi.

G. intervenne personalmente in un atto di compravendita redatto dal notaio Pi.Fr.; la M.K., che aveva costituito un nuovo nucleo familiare, avrebbe promosso un’azione di interdizione temendo che Fi.Gi. potesse sostituire il precedente testamento redatto nel 1994, con un altro, come poi avvenuto; l’avv. Na. ha testimoniato che Fi.Gi. era lucido quando gli diede mandato di resistere nella causa di interdizione; la stessa M.K. ha riferito di momenti di lucidità alternati a momenti di confusione; negli stessi termini ha riferito M.A.; la teste Bi. ha riferito della lucidità di Fi.Gi. due mesi dopo la redazione del testamento, al momento del rientro dei capitali con lo scudo fiscale;

analogamente si è espresso il teste Go., responsabile della filiale della banca presso la quale si recava Fi.Gi.;

l’avv. Bu. rilevò un’intelligenza vivissima nell’estate 2002; varie foto ritraggono nel 2001 e nel 2002 Fi.Gi. ad eventi sportivi o familiari; tali deduzioni non sono state confutate dalla Corte d’appello.

Il difensore di Fo.An. deduce:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di falsa testimonianza; tale reato è integrato dalla volontaria difformità fra le dichiarazioni del testimone e le sue percezioni soggettive e non rispetto alla verità oggettiva; nel caso in esame invece le responsabilità di Fo. sarebbe stata affermata in relazione alla difformità fra le sue dichiarazioni e la verità accertata ex post del giudice sulla base di valutazioni operate da medici ignote al testimone; peraltro la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria laddove da un lato ritiene false le dichiarazioni di Fo. ove descrivono un Fi.Gi. lucidissimo e che parlava speditamente e dall’altro riconosce che Fi.Gi., anche se affetto da una grave patologia cognitiva aveva momenti di apparente lucidità (richiamando le testimonianze Na., Bi., Go., Ge., To., Bu., Pa., D’., Fo.Gi., to., Ca.);

la Corte territoriale, in linea con le dichiarazioni del Prof. L., da un lato afferma che Fi.Gi. era in grado di seguire discorsi semplici, mantenere ricordi remoti, instaurare un dialogo sul calcio, sicchè non potevano essere considerate false le dichiarazioni di coloro che, avendo avuto rapporti occasionali con lui ed essendo digiuni di cognizioni mediche, non avevo rilevato anomalie, ma dall’altro ha affermato la responsabilità di Fo.

A. che avrebbe avuto un rapporto occasionale e riferito alcune battute di spirito; anche il Prof. Gr.Or. ha riferito che le persone che avevano contatti con Fi.Gi. potevano aver avuto l’impressione di parlare con una persona normale e che il peggioramento dell’ictus si ebbe dal luglio 2002; il notaio Pi., innanzi al quale l’atto di compravendita fra F. G. e Fo.An. fu stipulato, giudicato separatamente, è stato assolto in primo grado;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al contrasto con gli atti del procedimento richiamati nella memoria difensiva in data 19.3.2008, riportata nel ricorso;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione secondo la quale Fo. aveva interesse a mentire per evitare il rischio dell’annullamento dell’atto stipulato, senza considerare che, nella specie, non sarebbe applicabile l’art. 428 c.c. non essendo configurabili il grave pregiudizio per l’autore dell’atto (a fronte del patrimonio di Fi.Gi. e del prezzo congruo) e la malafede di Fo.An.;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’idoneità delle dichiarazioni di Fo.An. ad ingannare il giudice;

5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla violazione della regola di giudizio del superamento del dubbio ragionevole per l’affermazione di responsabilità;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle statuizioni civili in quanto il delitto di falsa testimonianza non sarebbe pluri offensivo, ma lede lo Stato;

7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla duplice condanna di Fo.An. al pagamento a favore della parte civile delle spese per il giudizio di appello (liquidate in Euro 3.500,00) e nuovamente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile per il doppio grado di giudizio (liquidate in Euro 11.000,00).

Il difensore di P.E. deduce:

1. violazione della legge processuale in relazione all’immutazione del fatto operata dal Tribunale, che, a fronte della contestazione del reato di appropriazione indebita, ha ritenuto il reato di ricettazione;

2. violazione della legge processuale in relazione all’immutazione del fatto operata dalla Corte territoriale che ha dichiarato la prescrizione per il delitto di appropriazione indebita;

3. vizio di motivazione in quanto la Corte d’appello, investita della questione di nullità per immutazione del fatto l’ha ritenuta superata solo in ragione dell’aver ricondotto tale fatto al delitto di appropriazione indebita, senza perciò motivare;

4. violazione della legge processuale poichè la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere contestato il concorso nell’appropriazione indebita dell’intera somma rimpatriata da Lugano, mentre il Tribunale aveva ritenuto contestata a P. solo l’appropriazione di cui al capo G3;

contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello il capo G circoscriverebbe le singole condotte attribuite a ciascun imputato e non ipotizzerebbe il concorso di tutti in tutti i fatti descritti;

5. violazione di legge avendo la Corte d’appello ritenuto il reato perseguibile d’ufficio siccome aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, correttamente esclusa dal Tribunale sull’assunto che difettasse il nesso di causalità fra l’appropriazione indebita contestata e il mandato professionale ricevuto con la procura generale alle liti;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al concorso di P. nell’appropriazione indebita contestata ai fratelli di Fi.Gi.; l’operazione in cui P. è concorso non presentava carattere di illiceità essendo state fatte confluire le somme fatte rientrare con il c.d. scudo fiscale su un conto di gestione intestato a Fi.Gi.; la stessa Corte territoriale ha ritenuto consumato il reato di appropriazione indebita in un momento successivo al rientro dei capitali, con attività distinta, di cui P. non sarebbe stato neppure a conoscenza; del resto la Corte d’appello ha affermato che i pagamenti fatti a P. potrebbero essere stati compensi per la sua attività anzichè prezzo del reato; peraltro ha affermato che il fatto che i pagamenti siano per lo più avvenuti prima dell’appropriazione dei fratelli Fi. non escluderebbe il concorso di P. nell’appropriazione;

7. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’immutazione del fatto con riferimento al delitto di infedele patrocinio, essendo intervenuta condanna per un’attività processuale non oggetto di contestazione; la risposta della Corte territoriale alla doglianza sarebbe errata; la procura alle liti di cui all’art. 83 c.p.c. avrebbe solo il valore di una semplice designazione del difensore, mentre i limiti ed i poteri del difensore sono disciplinati dall’art. 84 c.p.c.; la procura alle liti non individua uno specifico mandato professionale; solo in relazione alla costituzione in giudizio sarebbe possibile identificare uno specifico rapporto professionale avvocato-cliente in relazione al quale valutare il comportamento eventualmente illecito del professionista;

l’imputazione contiene due distinti momenti che, secondo la Corte territoriale possono essere letti unitariamente:

il primo riguarda la violazione dei doveri professionali di P. derivanti dall’essere procuratore generale alle liti di Fi.

G. e colludendo con la parte avversa in quanto responsabile del reato associativo; il secondo riguarda l’essersi costituito in giudizio per conto dei germani Fi.; quanto al primo profilo sarebbe errato confondere la violazione dei doveri professionali connessi ad una specifica attività processuale con la commissione di un reato in danno di un cliente ed in ogni caso è intervenuta assoluzione dal reato associativo; quanto al secondo profilo nel capo di imputazione non è precisata alcuna costituzione in giudizio in favore di Fi.Gi. ed il mero riferimento alla procura generale alle liti aprirebbe la possibilità di contestazione implicita riferibile a qualunque atto giudiziale compiuto in rappresentanza di Fi.Gi.;

8. violazione di legge in relazione al reato di patrocinio infedele:

P. si era costituito in giudizio per contrastare la domanda di interdizione proposta dalla M.K., la quale era la controparte di Fi.Gi., sicchè non avrebbe colluso con alcuna controparte;

la Corte territoriale afferma che P. avrebbe potuto e dovuto rendersi conto delle condizioni di Fi.Gi. e quindi della legittimità della richiesta della controparte, attribuendo all’avvocato un obbligo di ricerca della verità materiale che egli non ha;

9. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il reato di patrocinio infedele in quanto, in ordine alla certezza dell’incapacità di intendere e di volere di Fi.Gi. e della consapevolezza di ciò in capo a P., ritenute dalla Corte territoriale, pur avendo la stessa affermato che Fi.Gi. aveva momenti di apparente lucidità, riferita da vari testi, tanto che la teste Bi.

E. discusse con lui dello scudo fiscale senza rilevare tale incapacità; la nomina del tutore provvisorio è di poco successiva alla costituzione in giudizio di P., sicchè sarebbe illogica l’affermazione secondo cui ciò avrebbe rallentato la suddetta nomina;

10. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla restituzione delle somme in sequestro a favore dell’asse ereditario di Fi.Gi.; i beni sequestrati non possono essere restituiti a soggetti diversi da quelli ai quali sono stati sequestrati; la Corte territoriale ha motivato solo con riferimento alle istanze degli imputati prosciolti, mentre P. era stato condannato per ricettazione; anche laddove si volesse attribuire al giudice penale la possibilità di delibare sulla proprietà, P. sarebbe il proprietario dei beni, essendo egli estraneo al delitto di circonvenzione d’incapace e non avendo mai controverso sull’eredità di Fi.Gi.; la stessa Corte d’appello ha affermato che non si potesse escludere che le somme ricevute da P. fossero il compenso per attività professionale svolta; in ogni caso tali somme erano state ricevute prima della commissione del reato di appropriazione indebita.

Con motivi nuovi il difensore di P.E. deduce:

1. violazione della legge processuale in relazione all’immutazione del fatto contestato da appropriazione indebita a ricettazione in primo grado, del resto implicitamente riconosciuta in appello con la rinnovazione del dibattimento;

2. violazione della legge processuale in relazione all’immutazione del fatto in secondo grado, attraverso l’estensione a P. di condotte contestate solo a coimputati;

3. violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione indebita, non avendo mai l’imputato conseguito il possesso di ciò della cui appropriazione è stato ritenuto responsabile;

4. violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, non configurabile nel caso in esame per difetto del nesso di causalità, con conseguente perseguibilità a querela del reato di appropriazione indebita;

5. violazione di legge in relazione alla ritenuta responsabilità per il delitto di patrocinio infedele non essendo stato leso alcun interesse del cliente.

Il difensore di R.A. deduce:

1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’immutazione del fatto operata dal Tribunale, che, a fronte della contestazione del reato di appropriazione indebita, ha ritenuto il reato di ricettazione; la Corte territoriale ha ritenuto superata la questione di nullità prospettata avendo dichiarato la prescrizione per il delitto di appropriazione indebita, ma sarebbe da escludere che ciò superi la nullità;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, limitatamente agli effetti civili, per il delitto di appropriazione indebita aggravata senza adeguata motivazione sul contributo causale dell’imputato;

3. violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione alle statuizioni relative al dissequestro ed alla restituzione dei beni, posto che non vi erano pretese di altri soggetti su tali beni, essendo stata proposta l’azione civile solo per il risarcimento dei danni.

Con memorie depositate il 5.5.2011 ed il 19.11.2011 il difensore della parte civile ha contrastato le argomentazioni contenute nei ricorsi e nei motivi nuovi.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di F.A. B. e Fi.An., nonchè il primo motivo proposto nell’interesse di Fi.Fr. sono fondati.

L’art. 649 c.p., comma 2 prevede la procedibilità a querela dei reati contro il patrimonio, esclusi quelli di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p. e quelli commessi con violenza, in danno di fratelli non conviventi, ferma la procedibilità d’ufficio nei confronti di eventuali concorrenti nei reati predetti.

Si deve escludere che il concorso di estranei in uno di tali reati li renda perseguibili anche nei confronti dei fratelli non conviventi.

Nulla infatti autorizza, in assenza di specifica previsione normativa, a ritenere perseguibile d’ufficio il reato nei confronti del prossimo congiunto in ragione del concorso di un estraneo al rapporto di parentela.

In materia di reati sessuali vi è una specifica deroga prevista dall’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, in forza della quale si procede d’ufficio se il reato è connesso con altro perseguibile d’ufficio.

Tale disposizione non è invece prevista in relazione alla disposizione di cui all’art. 649 c.p., comma 2 e – trattandosi di legge penale – non è consentita un’interpretazione analogica in malam partem.

Neppure può ritenersi, come ha fatto la Corte territoriale, che questa Corte, con sentenza di questa Sezione n. 815 in data 4.12.2003, dep. 14.1.2004, abbia affermato l’opposto principio, posto che tale pronunzia si limitava ad affermare che "il sequestro probatorio, essendo un mezzo di ricerca della prova, non presuppone un accertamento dell’esistenza del reato, bensì la semplice indicazione di un reato astrattamente configurabile, oltre alla rilevanza probatoria dell’oggetto che si intende acquisire in relazione al reato ipotizzato; ne consegue che è legittimo il sequestro anche ove non sia stata presentata la querela in relazione all’ipotizzabile reato, atteso che, nel procedimento di riesame di un provvedimento di sequestro, non è ammissibile l’esame della questione di improcedibilità per mancanza di querela, attenendo detta questione al merito dell’imputazione".

Si deve quindi ritenere che, in ipotesi di concorso di soggetti estranei al rapporto di parentela con soggetti indicati nell’art. 649 c.p., comma 2 in taluno dei reati richiamati da tale norma, il reato sia perseguibile d’ufficio nei confronti dei soggetti estranei ed a querela nei confronti dei prossimi congiunti.

Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di F.A.B., Fi.An. e Fi.Fr. in relazione ai reati di circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita perchè l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.

La decisione assunta e rende superfluo l’esame del secondo, quarto e quinto motivo di ricorso proposti nell’interesse di F.A. B. e di Fi.An., nonchè del terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Fi.Fr..

L’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per difetto della condizione di procedibilità per i reati di circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita comporta l’annullamento delle statuizioni civili conseguenti a tali reati, venendo meno la cognizione del giudice penale, sicchè la parte civile dovrà avanzare le sue richieste in relazione a tali ipotesi di reato in sede civile.

Il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di F.A. B. e Fi.An. ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Fi.Fr. in parte attengono a valutazioni di merito e sono peraltro generici.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.

Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

I motivi di ricorso in esame prospettano una lettura diversa delle risultanze di merito attraverso la deduzione del vizio di motivazione ipotizzato da un lato nell’aver trascurato le consulenze tecniche di parte e dall’altro nella mancata valutazione delle dichiarazioni rese dal perito Prof. Br..

Tuttavia nei ricorsi non sono integralmente trascritte le consulenze e non sono allegate le dichiarazioni del Prof. Br. e ciò rende generici i ricorsi.

Questa Corte ha infatti affermato che, in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale (e ciò vale anche per le dichiarazioni di periti e consulenti tecnici) ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cass. Sez. 4^, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023).

Questa Corte ha anche affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze. (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 11910 del 22.1.2010 dep. 26.3.2010 rv 246552).

I predetti motivi di ricorso sono pertanto inammissibili.

Il primo, secondo e terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Fo.An. sono fondati.

La Corte territoriale ha affermato la falsità della deposizione testimoniale di Fo.An., solo sull’assunto che lo stesso aveva riferito che, in occasione della stesura dell’atto pubblico di cui l’imputato e Fi.Gi. erano parti, " Fi.Gi. era lucidissimo e parlava speditamente e scambiammo alcune battute di spirito", contrariamente alle altre risultanze processuali.

Anzitutto va ricordato che i predicati "vero" e "falso" si applicano alle dichiarazioni di scienza e non ai giudizi, mentre l’espressione "lucidissimo" è un giudizio.

Infatti i giudizi non sono veri o falsi, ma esatti od errati.

Veri o falsi possono essere solo i fatti riferiti.

Manca nella sentenza impugnata uno specifico esame dei fatti riferiti dal testimone in rapporto alla percezione che egli ne ebbe.

In secondo luogo manca una qualunque argomentata valutazione della reale contrarietà dei fatti riferiti sia alle conoscenze del testimone che alle altre risultanze, posto che altri testimoni hanno riferito circostanze simili e che i medici esaminati hanno riferito che le patologie da cui era affetto Fi.Gi. potevano non essere immediatamente rilevabili.

In terzo luogo manca una adeguata confutazione delle ragioni poste dal Tribunale alla base dell’assoluzione e cioè la breve durata temporale dell’incontro e la non immediata rilevabilità della situazione in cui si trovava Fi.Gi..

Questa Corte ha affermato che "Il giudice di appello è libero, nella formazione del suo convincimento, di attribuire alle acquisizioni probatorie il significato ed il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento, obbligo che, in caso di decisione difforme da quella del giudice di primo grado, impone anche l’adeguata confutazione delle ragioni poste a base della sentenza riformata". (Cass. Sez. 1^ sent. n. 4333 del 9.2.1990 clep. 29.3.1990 rv 183848).

Infine non è stata presa in considerazione e confutata la memoria difensiva dell’imputato.

Nell’ipotesi di omesso esame, da parte del giudice, di risultanze probatorie acquisite e decisive, la condanna in secondo grado dell’imputato già prosciolto con formula ampiamente liberatoria nel precedente grado di giudizio non si sottrae al sindacato della Corte di cassazione per lo specifico profilo del vizio di mancanza della motivazione "ex" art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), purchè l’imputato medesimo, per quanto carente di interesse all’appello, abbia comunque prospettato al giudice di tale grado, mediante memorie, atti, dichiarazioni verbalizzate, l’avvenuta acquisizione dibattimentale di altre e diverse prove, favorevoli e nel contempo decisive, pretermesse dal giudice di primo grado nell’economia di quel giudizio, oltre quelle apprezzate e utilizzate per fondare la decisione assolutoria.

In detta evenienza al giudice di legittimità spetta verificare, senza possibilità di accesso agli atti, ma attraverso il raffronto tra la richiesta di valutazione della prova e il provvedimento impugnato che abbia omesso di dare ad essa risposta, se la prova, in tesi risolutiva, assunta sia effettivamente tale e se quindi la denunciata omissione sia idonea a inficiare la decisione di merito.

(Cass. Sez. Un., Sentenza n. 45276 del 30.10.2003 dep. 24.11.2003 rv 226093).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infine, "il vizio di mancanza della motivazione sussiste non solo quando questa è materialmente assente nel provvedimento impugnato, ma anche allorchè la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti" (Cass. Sez. 1^, sent. n. 4787 del 10.11.1993 dep. 3.2.1994 rv 196361;

cfr. nello stesso senso: Cass. Sez. 3^ sent. n. 1448 del 9.4.1990 dep. 10.5.1990 rv 184266; Cass. Sez. 2^ sent. n. 4008 del 9.3.1993 dep. 26.4.1993 rv 193928; Cass. Sez. 4^ sent. n. 6499 del 21.4.1994 dep. 1.6.1994 rv 198050; Cass. Sez. 2^ sent. n. 4830 del 21.12.1994 dep. 2.5.1995 rv 201268; Cass. Sez. 1^ sent. n. 3262 del 25.5.1995 dep. 6.7.1965 rv 202133; Cass. Sez. 4^ sent. n. 10456 del 15.11.1996 dep. 5.12.1996 rv 206322, quest’ultima ha affermato: "Il vizio derivante dal difetto di motivazione deve ritenersi sussistente quando sia mancata del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice, di tal che la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti").

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti di Fo.An. con rinvio alla Corte d’appello di Lecce per un nuovo giudizio.

La decisione assunta rende superfluo l’esame degli altri motivi dedotti nell’interesse del predetto.

Il primo, secondo, terzo e settimo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P.E., il primo dei motivi nuovi proposti nell’interesse dello stesso ed il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R.A. sono manifestamente infondati.

Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, "per aversi violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza – che è espressione della necessità, ribadita dall’art. 6, punto 3, lett. A) della convenzione europea dei diritti dell’uomo, di garantire, in un "processo giusto", il contraddittorio sul contenuto dell’accusa – Occorre una sostanziale immutazione del fatto contestato, nel senso che il complesso degli elementi di accusa formalmente portati a conoscenza dell’imputato abbia subito una tale trasformazione, sostituzione o variazione, da incidere concretamente sul suo diritto di difesa, comportando una effettiva menomazione dello stesso". (Cass. Sez. 1^ sent. n. 8328 del 22.3.1982 dep. 28.9.1982 rv 155229 nella specie, contestato il delitto di omicidio volontario consumato, è stato ritenuto quello di tentato omicidio, e la cassazione ha ritenuto che non vi sia stata immutazione del fatto, v. Mass n.149140; n.148470; n.148029; n.147852; n. 146925; n. 146913;

n. 146684; n. 146552; n. 145163; n. 145098, e vedi inoltre, parere commissione europea, dir. Uomo, ric. Ofner c. Austria, ann. 3, p. 323).

In ragione di tale principio questa Corte ha affermato che, nel caso in cui nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza e ciò tanto nell’ipotesi di riqualificazione del furto in ricettazione, quanto in quella opposta di riqualificazione della ricettazione come furto.

(Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 38889 del 16.9.2008 dep. 15.10.2008 rv 241446).

Tale orientamento è perciò applicabile anche nell’ipotesi della riqualificazione del reato di appropriazione indebita in quello di ricettazione e viceversa.

E’ irrilevante l’ipotizzato vizio di motivazione in quanto, nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito. (Cass. Sez. 2^, sent. n. 3706 del 21.1.2009 dep. 27.1.2009 rv 242634).

Infatti non può esservi ragione di doglianza allorquando la soluzione di una questione di diritto, anche se immotivata o contraddittoriamente ed illogicamente motivata, sia comunque esatta, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.

Quanto alla ipotesi di immutazione del fatto relativamente al delitto di infedele patrocinio, appare corretta la valutazione della Corte territoriale, dal momento che, benchè non vi fosse esplicita menzione nel capo di imputazione della costituzione per conto di Fi.Gi. nel giudizio di interdizione nei confronti di costui, vi era il richiamo sia al giudizio in questione che alla procura generale alle liti, sicchè nessuna violazione del diritto di difesa vi è stato.

Il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di P.E. ed il quarto dei motivi nuovi proposti nell’interesse dello stesso sono infondati.

Nella ricostruzione operata dalla Corte territoriale P., contattò il notaio Fa. e la M.K. ed il padre della stessa. Con quest’ultimo P. parlò delle precarie condizioni di salute di Fi.Gi. e tentò di coinvolgere al M.A. nella suddivisione del capitale poi fatto rientrare dalla Svizzera.

La Corte territoriale ha ritenuto che in tanto era possibile a P. svolgere tale attività, prodromica al rientro delle somme ed alla successiva appropriazione indebita, in quanto egli era stato Avvocato di Fi.Gi. ed investito di procura generale alle liti a lui rilasciata dal predetto Fi.Gi..

In siffatta valutazione non vi è alcuna violazione di legge.

Ha infatti affermato questa Corte (ed il Collegio condivide l’assunto) che "la nozione di abuso di relazione di prestazione d’opera, previsto come aggravante dall’art. 61 c.p., n. 11, si applica a tutti i rapporti giuridici che comportino l’obbligo di un facere, bastando che tra le parti vi sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza". (Cass. Sez. 2^ sent. n. 895 del 23.10.2003 dep. 16.1.2004 rv 227248).

Il quarto motivo di ricorso proposti nell’interesse di P.E. ed il secondo dei motivi nuovi svolti nell’interesse dello stesso sono infondati.

La Corte territoriale ha osservato che i capi G1, G2 e G3 sono articolazioni del capo G, nell’ambito del quale, mentre la prima parte fa riferimento alla ricezione della complessiva somma di Euro 5.236.724,93 le specificazioni chiariscono la ricezione delle singole parti di tale somma da ciascuno degli imputati.

Benchè la formulazione del capo di imputazione non sia delle più felici, appare corretta la valutazione della Corte d’appello secondo la quale nella prima parte del capo di imputazione si precisa che tutti gli imputati, compreso P., del quale è specificata la qualità di avvocato e procuratore generale alle liti di Fi.

G., si appropriavano indebitamente dell’intera somma.

Il sesto motivo di ricorso proposto nell’interesse di P.E. ed il terzo dei motivi nuovi svolti nell’interesse dello stesso sono infondati.

La Corte territoriale ha ritenuto che l’operazione di rientro delle somme dalla Svizzera, in cui P. è concorso, benchè le somme fossero state fatte rientrare con il c.d. scudo fiscale su un conto di gestione intestato a Fi.Gi. era finalizzata alla successiva appropriazione indebita, sicchè ne consegue il concorso di P. nel reato contestato.

Si tratta di valutazione di merito non manifestamente illogica e come tale incensurabile in questa sede.

Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R. A. è inammissibile perchè manifestamente infondato e svolge censure di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto il concorso di R.A. nell’appropriazione indebita sotto il profilo del previo concerto e della ricezione della somma.

L’ottavo e nono motivo di ricorso (anche alla luce di quanto dedotto anche con il settimo motivo di ricorso) proposti nell’interesse di P.E., nonchè il quinto dei motivi nuovi svolti nell’interesse dello stesso sono infondati.

La Corte territoriale ha osservato che nel giudizio di interdizione proposto dalla M.K. nei confronti di Fi.Gi., P. si costituì sia in nome di Fi.Gi. (utilizzando la procura generale alle liti a lui rilasciata nel 1968) che dei fratelli di costui, perseguendo esclusivamente gli interessi di questi ultimi in danno di Fi.Gi., le cui condizioni di salute psichica gli erano note.

La non dispersione del patrimonio di Fi.Gi. conseguente ad una tempestiva interdizione è stata ritenuta nell’interesse di Fi.Gi. e la costituzione in nome di Fi.Gi. per contrastarla è stata ritenuta finalizzata a favorire i fratelli dell’assistito, quantomeno ritardando il corso del procedimento.

Ciò la Corte d’appello ha desunto, oltre che dalle complessive risultanze, dal fatto che P., il quale pur in epoca recente si era costituito in altro giudizio con specifico mandato a lui rilasciato da Fi.Gi. a margine di comparsa di costituzione e risposta, utilizzò per costituirsi nel processo di interdizione, di cui Fi.Gi. "non aveva lucida consapevolezza" (p. 35 sentenza impugnata) la procura generale alle liti risalente al 1968.

Da un lato si tratta di valutazioni di merito non censurabili in questa sede in quanto non manifestamente illogiche e dall’altro nelle stesse non vi è alcuna violazione di legge.

Infatti questa Corte ha affermato che il patrocinatore o il consulente tecnico sono tenuti a rispettare, nella singola situazione processuale concreta, quell’insieme di norme tecniche, legali ed etiche, generalmente riconosciute, che costituiscono la deontologia professionale.

Dalla infedeltà a tali doveri il risultato del procedimento può essere pregiudicato o ritardato e, di conseguenza, può arrecarsi nocumento agli interessi della parte, integrandosi il reato di cui all’art. 380 c.p. (Cass. Sez. 3^, Sentenza n. 8751 del 19.12.1978 dep. 22.10.1979 rv 143204).

Il decimo motivo di ricorso proposto nell’interesse di P.E. ed il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di R. A. relativi alla restituzione dei beni sono fondati.

Questa Corte ha chiarito che la restituzione conseguente alla revoca del sequestro, postulando il venir meno dei presupposti del sequestro, va disposta a favore del soggetto al quale il bene fu sequestrato, e si distingue da quella che consegue come effetto della perdita di efficacia (a seguito di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere) del sequestro, che va disposta in favore dell’avente diritto (il quale in ipotesi può essere anche un soggetto diverso da quello al quale il bene è stato sequestrato), sempre che non sussistano contestazioni sulla proprietà, nel quale caso deve applicarsi – per analogia – il disposto dell’art. 324 c.p.p., comma 8 (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 39247 del 8.10.2010 dep. 5.11.2010 rv 248772).

Poichè nella specie è contestata, da parte di P., la proprietà essendo egli estraneo al delitto di circonvenzione d’incapace, non avendo egli mai controverso sull’eredità di Fi.

G. ed avendo la Corte territoriale ritenuto di non escludere che lo somme ricevute fossero compensi per l’attività professionale, mentre R. contesta che vi fossero sul punto altre pretese, la decisione della controversia deve essere rimessa al giudice civile, mantenendo il sequestro dei beni operato nei confronti di P. E. e R.A..

Al giudice civile deve essere rimessa anche la decisione sulla richiesta di spese avanzata dalla parte civile nei confronti degli imputati diversi da Fo..

La decisione richiesta di condanna alle spese nei confronti di Fo.

A. deve invece essere rimessa al giudice di rinvio.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F. A.B., Fi.An. e Fi.Fr. in relazione ai reati di circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita perchè l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela ed annulla le statuizioni civili conseguenti a tali ipotesi di reato.

Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di F.A.B., Fi.An. e Fi.Fr..

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce nei confronti di Fo.An..

Annulla il dissequestro delle somme di denaro operato nei confronti di P.E. e R.A. e la restituzione all’asse ereditario del defunto Fi.Gi., rimettendo la decisione della controversia sulla proprietà dei beni al giudice civile.

Rigetta nel resto i ricorsi di P.E. e R.A..

Rimette al giudice civile la decisione sulla richiesta di rifusione delle spese della parte civile tranne che nei confronti di Fo.

A. su cui provvederà il giudice di rinvio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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