Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-05-2011) 09-06-2011, n. 23151

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1.12.2004, il Tribunale di Locri assolse D.A., I.L. e M.F. dall’imputazione di ricettazione perchè il fatto non costituisce reato.

Avverso tale pronunzia il P.M. propose ricorso convertito in appello e la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 20.7.2010, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò gli imputati responsabili del reato loro ascritto e – con le attenuanti generiche – condannò ciascuno dei predetti alla pena di anni 1 mesi 4 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, pena sospesa.

Ricorrono per cassazione i difensori dell’imputato I.L. e M.F. personalmente.

I difensori di I.L. deducono:

1. vizio di motivazione in quanto l’elemento oggettivo del reato non potrebbe essere integrato dal fatto che l’imputato si trovava a bordo di un’autovettura, condotta da altro imputato, che trainava un’autovettura priva di targa e con numero di telaio parzialmente abraso; chi si fa trasportare su un’auto non ne assume il possesso e non può commettere il delitto di ricettazione; altri motivi su cui fondare la affermazione di responsabilità non sono indicati;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per le ragioni già espresse nel precedente motivo e perchè non sarebbe stato correttamente applicato l’art. 192 c.p.p.; in particolare gli indizi a carico di I. non sussisterebbero non essendo egli a bordo dell’auto rubata; quanto all’elemento soggettivo del reato lo stesso non potrebbe essere integrato dal dolo eventuale.

M.F. deduce violazione di legge in quanto la Corte territoriale non ha valorizzato l’osservazione del Tribunale secondo cui il fatto che i tre imputati trainassero palesemente il veicolo escluderebbe la consapevolezza della provenienza delittuosa dello stesso. M. si sarebbe limitato ad accogliere a titolo di cortesia la richiesta dei coimputati, ma ignorava la provenienza delittuosa del veicolo.
Motivi della decisione

Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha infatti rilevato che i tre imputati furono colti mentre trainavano un veicolo compendio di furto, privo di targhe e con il numero di telaio parzialmente abraso.

Contrariamente a quanto si deduce nel primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di I., tale situazione non è affatto assimilabile a quella di chi accetti un passaggio su un veicolo sottratto, da altri condotto.

Quanto alla consapevolezza della provenienza delittuosa anzitutto la stessa era conseguente alla natura del mezzo privo di targa e con il numero di telaio parzialmente abraso ed in tema di ricettazione, il dolo eventuale riguarda, oltre alla verificazione dell’evento, il presupposto della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità dell’esistenza del presupposto stesso e nell’accettazione dell’eventualità di tale esistenza.

(Cass. Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26.11.2009 dep. 30.3.2010 rv 246323).

La Corte territoriale ha peraltro evidenziato che nessuno degli imputati ha allegato un legittimo titolo di ricezione del mezzo.

E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere desunta anche dall’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. (V. Cass. Sez. 2 sent. n. 25756 in data 11.6.2008 dep. 25.6.2008 rv 241458).

Non vi è, in ragione di tale orientamento, alcuna inversione dell’onere della prova in capo all’imputato, dal momento che la prova a carico è rappresentata dall’essere stato costui in possesso dei beni di provenienza delittuosa, sicchè laddove egli li avesse ricevuti in buona fede, ha solo l’onere di allegare tale elemento in modo verificabile e quindi circostanziato.

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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