Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-05-2011) 09-06-2011, n. 23103

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ela.
Svolgimento del processo

1. R.A. propone ricorso avverso la sentenza del 4/2/2009 della Corte d’appello di Trento con la quale, qualificata l’azione da lui compiuta come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è stata confermata la sua responsabilità.

Si rileva con il primo motivo violazione di legge per aver ritenuto la Corte presente negli atti idonea querela, malgrado la denuncia orale formulata dall’interessato non contenesse alcuna richiesta di punizione ed il comportamento successivo del denunciante evidenziasse il suo totale disinteresse riguardo al procedimento; si richiama in argomento giurisprudenza di questa Corte che legittima la valorizzazione del comportamento complessivo della parte lesa, al fine di accertare la volontà di proporre querela.

2. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione, poichè si assume che la Corte non abbia espresso alcuna articolazione argomentativa su tale ritenuta qualificazione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato. L’esame degli atti del procedimento, introdotto con rito ordinario per la valutazione di sussistenza del delitto di estorsione, procedibile d’ufficio, successivamente qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non ha consentito di ravvisare la presenza di un formale atto di querela, come risulta del tutto fisiologico alla luce del rito svolto, che consente l’allegazione al fascicolo dei soli atti essenziali, non ripetibili, tra i quali non rientra la denuncia formulata dalla parte lesa.

Sulla base dei dati ricavabili dall’esame degli atti è possibile però accertare l’inequivoca volontà di formulare richiesta di punizione dei colpevoli avanzata dalla parte lesa dinanzi alle forze dell’ordine, poichè nel corso del suo esame dibattimentale questa ha chiaramente riferito di essersi rivolta a loro per denunciare l’accaduto il pomeriggio dello stesso giorno nel quale aveva subito le pressioni che hanno dato origine al provvedimento in esame, elemento univocamente sintomatico della volontà di richiesta di punizione dei colpevoli, nel che deve ravvisarsi l’essenza del diritto a proporre querela (Sez. 6, Sentenza n. 40770 del 09/11/2006, dep. 14/12/2006, imp. Baronelli, Rv. 235442).

Costituisce dato del tutto pacifico ed acquisito che la querela non richieda l’uso di formule predeterminate, e che possa equivalere a tale atto anche una denuncia che contenga la specifica richiesta di punizione del colpevole, a prescindere dalla qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, Sentenza n. 12799 del 21/01/2010, dep. 01/04/2010, imp. Pandolfi, Rv. 246683), circostanza che deve ritenersi presente nella specie ove la cognizione dei fatti è stata esplicitata alle forze dell’ordine proprio dalla denuncia estremamente tempestiva e dalla contestuale richiesta di aiuto formulata dalla parte lesa, e dove la qualificazione giuridica del fatto non è conseguita ad una iniziativa della parte lesa, cui potesse intendersi limitata la sollecitazione all’intervento delle forze dell’ordine, ma ad una iniziativa di queste.

Per contro il ricorrente fa riferimento ad un preteso comportamento concludente, incompatibile con la persistente volontà di richiedere la punizione del colpevole, che il denunciante avrebbe manifestato esprimendo il suo sostanziale disinteresse per il procedimento; tale prospettazione contrasta con quanto espresso in precedenza in ordine alla mancata sollecitazione alla punizione e sembra ipotizzare una remissione di querela tacita, la cui ammissibilità in diritto risulta esclusa dalla giurisprudenza (Sez. U, Sentenza n. 46088 del 30/10/2008, dep. 15/12/2008 imp. Viele, Rv. 241357), che continua a richiedere, per la remissione, l’esplicitazione della revoca dell’istanza di punizione, anche nel caso, sicuramente più significativo di quello in esame, in cui l’assenza dell’interessato sia stata preceduta dalla comunicazione di una citazione nella quale si preannunciava che tale condotta sarebbe stata intesa come revoca dell’istanza di punizione.

Per di più, in fatto, l’istante identifica la pretesa volontà di remissione da un canto nell’incompletezza della deposizione resa in primo grado, cui si fa richiamo in maniera del tutto generica, e che, a fronte della reiterazione delle accuse, risulta inconferente rispetto alle deduzioni che da essa si intenderebbe ricavare, ed in secondo luogo la mancata comparizione dell’interessato nel giudizio d’appello, non solo del tutto irrilevante sul piano di merito, ma anche impossibile ad esplicarsi, in quanto la parte lesa, non essendosi costituita parte civile, non ha ricevuto alcuna convocazione per tale giudizio e conseguentemente non è stata posta in condizione di parteciparvi.

2. Del tutto inammissibile è poi il motivo di ricorso del difetto di motivazione sulla responsabilità, poichè è pacifico che il giudice debba esporre il percorso argomentativo limitandosi ai punti controversi, mentre nella specie nell’impugnazione di merito non risulta richiesta l’assoluzione dall’imputazione, ma, per l’appunto, la derubricazione del reato, richiesta il cui esame non richiedeva l’esplicitazione delle ragioni dell’affermazione di responsabilità. 3. Al rigetto del ricorso consegue, in applicazione dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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