T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 855 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’impugnato provvedimento il Questore di Bergamo si è pronunciato sfavorevolmente sulla richiesta presentata dal cittadino marocchino Sig. H.O., regolarmente in Italia dal 1998 a seguito di rilascio dei permessi di soggiorno negli anni 2000 e 4000. In data 20 giugno 2006 presentava nuova domanda di rinnovo, respinta con il provvedimento emesso in data 26 gennaio 2007 ed impugnato con l’odierno ricorso.

Il diniego si fonda sulla condanna (ex artt.444 e 445 cpp) ad un anno di reclusione, e 14.000 euro di multa pronunciata dal Tribunale di Bergamo in data 21/3/2006 per il reato di cessione illecita di sostanza stupefacente (cocaina), emessa a seguito di arresto in flagranza di reato.

Risulta, inoltre, dagli atti depositati da parte della Questura che il ricorrente era stato deferito nel 1999 all’A.G. per falso, nonché nel 2005 per mancata esibizione dei documenti personali.

Ciò dà conto del mancato inserimento del ricorrente nel contesto sociale e sull’omesso svolgimento nel frattempo di attività lavorativa malgrado fosse già in possesso di un titolo di soggiorno.

Con il ricorso all’esame, il ricorrente deduce in primo luogo la violazione degli artt. 4, 5, 6 e 13 del D. Lgs. 286/98 e l’eccesso di potere per carenza di istruttoria, inadeguatezza della motivazione, in quanto l’amministrazione non avrebbe effettuato alcun valido accertamento sulla personalità del soggetto e sulla attuale pericolosità sociale dello stesso.

In secondo luogo deduce eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti, soprattutto con riferimento alla patologia medica denunciata (diabete mellito) che l’aveva costretto a raggiungere la sua patria di origine per sottoporsi a migliori accertamenti, nonché con riferimento al nuovo posto di lavoro conquistato nel 2007.

Alla Camera di Consiglio del 18/10/2007 (ord. n. 801/07) è stata motivatamente respinta l’istanza di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo la reiezione del gravame.

Il ricorso è infondato nel merito.

1. Come affermato ripetutamente da questa Sezione (sentenze 29/8/2008 n. 911; 2/10/2008 n. 1134; 17/10/2008 n. 1337; 9/12/2008 n. 1725; 13/2/2009 n. 267; 26.2.2009, n. 468), il gravame deve essere respinto alla luce della sentenza 16/5/2008 n. 148 della Corte Costituzionale.

Dopo aver ribadito che "la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione e tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, limitata, sotto il profilo della conformità alla Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli", la Corte ha rilevato che non risulta manifestamente irragionevole "condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, osservando che la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sé, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi". E ciò in quanto il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno non costituisce sanzione penale, sicché il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità, valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità, anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione.

Riguardo ad eventuali valutazioni di diversa natura effettuate dall’autorità penale, la Corte – statuendo sull’ipotesi di eventuale concessione del beneficio della sospensione della pena – ha osservato che "il fatto che la prognosi favorevole in merito all’astensione del condannato, nel tempo stabilito dalla legge, dalla commissione di ulteriori reati sia condotta, ai fini della non esecuzione della pena, con criteri diversi da quelli che presiedono al giudizio di indesiderabilità dello straniero nel territorio italiano, non può considerarsi, di per sé, in contrasto con il principio di razionalitàequità, attesa la non coincidenza delle due suddette valutazioni".

La Corte ha poi affermato che "… l’inclusione di condanne per qualsiasi reato inerente agli stupefacenti tra le cause ostative all’ingresso e alla permanenza dello straniero in Italia non appare manifestamente irragionevole qualora si consideri che si tratta di ipotesi delittuose spesso implicanti contatti, a diversi livelli, con appartenenti ad organizzazioni criminali o che, comunque, sono dirette ad alimentare il cosiddetto mercato della droga, il quale rappresenta una delle maggiori fonti di reddito della criminalità organizzata", mentre il cosiddetto automatismo espulsivo, che prescinde da uno specifico giudizio di pericolosità sociale "altro non è che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa (ordinanza n. 146 del 2002)".

In definitiva la condanna per spaccio di sostanza stupefacenti costituisce un elemento ostativo alla permanenza del ricorrente sul territorio nazionale.

2. Deve infine essere respinto il primo profilo di gravame, in quanto il provvedimento impugnato si fonda su un preciso elemento ostativo, il quale non può essere inciso dal dedotto svolgimento di attività lavorativa successiva, ovvero dalla patologia medica denunciata.

L’Amministrazione sostiene infine la pericolosità sociale del cittadino marocchino, dando conto con descrizione sufficientemente dettagliata della pessima condotta morale e civile, dell’abituale frequentazione di soggetti pregiudicati nella comunità locale, dell’appartenenza a gruppi dediti alla commissione di reati e dei numerosi pregiudizi penali. In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’amministrazione delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di euro 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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