T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 853 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso notificato il 5.9.2007 e depositato presso la Segreteria della Sezione il successivo giorno 7, il cittadino extracomunitario D.A. impugna il decreto del Questore di Bergamo in data 30.7.2007, notificato l’8.8.2007, di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno del permesso n. D409048, con scadenza al 28.3.2006.

Il ricorrente articola le seguenti doglianze: "Illegittimità e/o nullità e/o inefficacia del decreto impugnato per carenza della pericolosità sociale e/o omessa e/o errata valutazione delle circostanze idonee al rinnovo e/o alla proroga e/o alla conversione del permesso di soggiorno; eccesso di potere per disparità, errore, carenza di motivazione; violazione del principio di uguaglianza, ragionevolezza, logicità e proporzionalità dell’azione amministrativa."

Si è costituita in giudizio l’intimata Amministrazione, chiedendo il rigetto del gravame.

L’Avvocatura dello Stato ha depositato, il 19.10.2007, la relazione della Questura di Mantova in data 5.10.2007 con allegata documentazione.

Alla Camera di consiglio del 18.10.2007 (ord. N. 793/07) la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

In data 8.7.2009 il legale del ricorrente ha depositato istanza di prelievo, illustrando le ragioni a sostegno della richiesta di fissazione dell’udienza di merito.

Alla pubblica udienza del 25.5.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il rinnovo del permesso di soggiorno è stato negato al cittadino senegalese D.A., in quanto è risultato che egli ha riportato – con le proprie generalità ovvero con i differenti alias forniti, di cui si è accertato la riconducibilità al medesimo a mezzo riscontri AFIS – le seguenti condanne penali:

1) 11.5.1998 condanna dalla Corte d’appello di Torino – irrevocabile il 16.6.1998, alla pena di anni 3, mesi 8 di reclusione e alla multa di Lire 24.000.000 per i reati di cui all’ art. 73 DPR 309/90 e all’art. 495 c.p.;

2) 23.12.1998 condanna del Pretore di Torino – irrevocabile il 14.5.1999 – alla pena di mesi 4 di reclusione per il reato di cui all’ art. 495 c.p.;

3) 20.10.2003 condanna dalla Corte d’appello di Brescia – irrevocabile il 5.12.2003 – alla pena di anni 4, mesi 4 di reclusione e alla multa di Euro 30.000,00 per reati di cui all’ art. 73 DPR 309/90;

4) 18.9.2006 condanna dal Tribunale di Bergamo – irrevocabile il 1.12.2006, alla pena di anni 1, mesi 4 di reclusione e alla multa di Euro 2.600,00 per i reati di cui all’ art. 73 DPR 309/90.

Il ricorrente lamenta che il diniego si fonda esclusivamente su tali sentenzedi condanna, senza alcuna disamina della concreta pericolosità sociale del soggetto anche in relazione alla condotta susseguente al reato e alle condizioni di vita del medesimo, che si caratterizzano per la presenza regolare nel territorio nazionale dal 2000 e per la sussistenza di attività lavorativa continuativa.

Il ricorso non risulta fondato.

Sotto un profilo d’ordine generale, va rilevato (cfr. TRGA Trento 27.3.2006 n. 101, 3.4.2006 n. 107 e 19.2.2007 n. 25) che l’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1 lett. b della legge 30.7.2002 n. 189 c.d. BossiFini), nel prevedere la non ammissione e l’impossibilità di continuare il soggiorno in Italia per quei cittadini di origine extracomunitaria che siano stati condannati (anche con sentenza c.d. patteggiata") per determinate categorie di reati oggettivamente gravi e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un automatismo che opera solo nel caso in cui la responsabilità del cittadino straniero risulta essere stata accertata dall’Autorità Giudiziaria a seguito di procedimento penale e conclusiva sentenza di condanna nei suoi confronti.

In altri termini, il citato art. 4 D. Lgs, n. 189/2002, individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali menzionate dalla norma, e le considera come oggettivi indici di pericolosità sociale. Esse, dunque, vengono considerate dalla legge come requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità nazionale.

Il riferimento legislativo alle inerenti condanne deve quindi ritenersi come volto ad individuare i fatti probanti (cioè le condanne) la sussistenza di quei requisiti negativi.

Si tratta, in definitiva, di una valutazione di pericolosità sociale già effettuata dal legislatore che ha ritenuto, del tutto ragionevolmente e nell’ambito della discrezionalità che gli compete, la sussistenza di tale elemento nella responsabilità del soggetto, accertata giudizialmente, per la commissione di reati di particolare gravità (cfr., sul punto, TAR Parma 7.4.2005 n. 207).

Può condivisibilmente affermarsi (cfr. TAR Parma 26 gennaio 2006 n. 21) che in tal caso sussiste un automatico impedimento al rinnovo del permesso di soggiorno, senza necessità di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità sociale, in quanto si tratta di una preclusione che non costituisce un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto amministrativo che la legge fa derivare dal fatto storico consistente nell’avere riportato una condanna per determinati reati, quale indice presuntivo di pericolosità sociale o, quanto meno, di riprovevolezza (non meritevolezza, ai fini della permanenza in Italia) del comportamento tenuto nel Paese dallo straniero.

In merito all’applicazione della norma in questione in relazione a condanne intervenute, come nella fattispecie all’esame, dopo l’entrata in vigore della legge BossiFini, occorre porre in rilievo che, alla stregua dell’art. 5, 5 comma D.Lgs. n. 286/1998, il permesso di soggiorno è revocato, ovvero il rinnovo dello stesso è rifiutato quando vengano a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.

In altri termini, i requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno sono sempre i medesimi, sia che si tratti di prima richiesta del permesso che di rinnovo dello stesso.

Dal che consegue che la condanna per determinati reati (tra cui rientrano quelli per droga ex art. 73 DPR 309/90 attribuiti all’odierno ricorrente), come è ostativa per l’ingresso nel territorio dello Stato e la concessione del permesso di soggiorno, ugualmente preclude la possibilità di ottenere il rinnovo dello stesso.

La norma in questione non consente all’Amministrazione alcuna autonoma valutazione in ordine ai fatti oggetto del giudizio penale derivando in modo del tutto automatico dalla sentenza penale la preclusione al rinnovo del permesso di soggiorno (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2866 del 17.5.2006).

Va poi posto in luce che la disposizione così come sopra interpretata non suscita dubbi di costituzionalità, poiché non appare irragionevole una norma che limita l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale degli stranieri a seconda che questi abbiano commesso reati sanzionati con pene superiori a determinate soglie o comunque ritenuti di particolare pericolosità sociale nell’attuale momento storico (cfr. TAR Parma 21 febbraio 2006 n. 60 e TAR Umbria 28 dicembre 2005 n. 638).

Con la sentenza n. 148 del 2008, la Corte costituzionale ha osservato che: "la principale norma concernente la condizione giuridica dello straniero – attualmente, extracomunitario – è quella dell’art. 10, comma secondo, Cost., la quale stabilisce che essa "è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali", rilevando quindi che: "Da tale disposizione si può desumere che, per quanto concerne l’ingresso e la circolazione nel territorio nazionale ( art. 16 Cost.), la situazione dello straniero non è uguale a quella dei cittadini, dall’altro, che il legislatore, nelle sue scelte, incontra anzitutto i limiti derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ed eventualmente dei trattati internazionali applicabili ai singoli casi".

Inoltre, la Corte ha ritenuto che non sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, osservando che la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sé, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi. E ciò in quanto il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno non costituisce sanzione penale, sicché il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità, valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità, anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione.

Passando alla disamina della posizione del ricorrente, va rilevato che l’impugnato decreto del Questore di Bergamo non solo richiama le sentenze riportate dal D.A., ma opera la concreta valutazione della pericolosità sociale del soggetto, avendo evidenziato che: "la gravi ed allarmanti modalità di realizzazione dei delitti di specie, ingessati dal giudicato penale che indica l’odierno argomentato come "…infaticabile fornitore di numerossissimi acquirenti: quotidianamente il prevenuto cedeva sostanza stupefacente a chiunque gli facesse richiesta, con un ritmo davvero sconcertante…", elementi che oggettivamente inducono a ritenere lo straniero persona ormai definitivamente incline ad una condotta criminosa perché ncapace di aderire alle regole sociali ed etiche e privo di capacità di revisione critica di pregressi crimini come dimostrato dalla continua reiterazione dei delitti di specie;".

Sotto altro profilo, il ricorrente – producendo ponderosa copia di documentazione medica – evidenzia di essere affetto da gravi patologie richiedenti l’effettuazione di cure e di interventi chirurgici che asseritamente non potrebbe ricevere nel paese d’origine.

Va peraltro rilevato che in questa sede viene in rilievo un provvedimento di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per ragioni di lavoro e non già un diniego di rilascio di permesso per cure mediche e neppure risulta che le ragioni di salute e la necessità di usufruire di cure mediche specialistiche siano state rappresentate all’Amministrazione all’atto della richiesta di rinnovo.

Al riguardo – per completezza espositiva – va ricordato che:

– il D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 all’art. 2 riconosce allo straniero "comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato…i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti";

– l’art. 34 del citato T.U. prevede che lo straniero regolarmente soggiornante nello Stato e i suoi familiari siano in linea di principio obbligatoriamente iscritti al servizio sanitario nazionale; l’art. 35, commi 1 e 2, disciplina l’ipotesi in cui lo straniero sia regolarmente presente nel territorio dello Stato, ma non sia iscritto al servizio sanitario nazionale, mentre il comma 3 dispone per lo straniero non in regola con le norme sull’ingresso e sul soggiorno che "sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva"; l’art. 36, infine, prevede la possibilità di ottenere uno specifico visto di ingresso ed un permesso di soggiorno a favore dello straniero che intende entrare in Italia allo scopo di ricevere cure mediche;

– la Corte Costituzionale – nella sentenza 17.7.2001, n. 252 – ha ribadito, conformemente al proprio costante orientamento, che il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è "costituzionalmente condizionato dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti", salva la garanzia di "un nucleo irriducibile del diritto alla salute" protetto come ambito inviolabile della dignità umana, che impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela e tali da pregiudicare l’attuazione di questo diritto, affermando che lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato ha diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili e urgenti, secondo i criteri indicati dall’art. 35, comma 3 citato, trattandosi di un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito, così come disposto, in linea generale, dall’art. 2 dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998;

– sulla base di tale pronuncia della Corte, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che quadro normativo esposto non può che discendere la fondata pretesa dello straniero, anche se entrato o rimasto irregolarmente in Italia, di ottenere, per il tempo necessario ad effettuare cure mediche d’urgenza o che non potrebbe ricevere nel paese di origine, un permesso di soggiorno idoneo a regolarizzare la situazione di inespellibilità sancita dalla Corte costituzionale nella anzidetta pronuncia (cfr. T.A.R. Liguria 15.3.2006, n. 218; TAR Lombardia, Milano, 17.4.2007; n. 1792).

Conclusivamente, il ricorrente può avanzare, in via amministrativa, domanda di rilascio di permesso di soggiorno per cure mediche, che dovra essere esaminata dall’Amministrazione, ma le dedotte condizioni di salute non sono qui rilevanti in relazione al diniego di rinnovo opposto.

La natura della controversia suggerisce di compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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