Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 09-06-2011, n. 23189 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gip presso il Tribunale di Tarante con decreto del 15/1/2010, disponeva il sequestro preventivo di un’arca territoriale, sita in località (OMISSIS), agro di (OMISSIS), ravvisando a carico di N.R., nella qualità di presidente della Betontir s.p.a., i reati di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 142 e 181, D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c).

Il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del riesame, chiamato a pronunciarsi sull’istanza di riesame, avanzato nell’interesse dell’indagato, con ordinanza del 13/7/2010, ha confermato la misura cautelare reale.

Propone ricorso per cassazione la difesa del N., con i seguenti motivi:

– insussistenza del fumus del reato ipotizzato, in quanto l’indagato aveva fatto intraprendere l’attività di coltivazione della cava oggetto di indagine in forza di regolare autorizzazione rilasciatagli (n. 115/07) dalla Regione Puglia. Assessorato Ecologia-Settore attività Estrattive. Peraltro, nessun reato poteva essere addebitato al N. perchè costui ha agito nella convinzione di esercitare un suo diritto.

La difesa del ricorrente ha inoltrato memoria nella quale specifica le ragioni poste a sostegno del ricorso, evidenziando, in particolare, la legittimità della attività svolta dal prevenuto di coltivazione della cava in questione, in quanto esercitala in forza del titolo abilitativi ad esso rilasciato e nel rispetto della normativa regionale in materia, con conseguente insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare reale.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale, svolta nella ordinanza oggetto di impugnazione, si rivela del tutto logica e corretta.

La difesa del N. sostiene la insussistenza dei presupposti per la applicazione della misura cautelare reale, in particolare del fumus del reato contestato, in quanto la attività della cava risulta legittimamente autorizzata da titolo abilitativi, ritualmente rilasciato.

Il decidente osserva, contrariamente a quanto sostenuto dal prevenuto, che la coltivazione della cava è da considerarsi in violazione del D.Lgs. n. 42 del 2001, artt. 142 e 181, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), rilevando, preliminarmente, che il nucleo fondamentale della vicenda ruota intorno alla efficacia della determinazione regionale n. 115/07 – efficacia che farebbe venir meno il fumus del reato contestato – a fronte della attuale classificazione della zona territoriale in questione come area protetta sotto il profilo paesaggistico, secondo quanto determinato dal Comune di Statte. Detta zona, intatti: è stata inserita, in base alla nuova perimetrazione. nelle aree di pertinenza degli Ambiti Territoriali Distinti Boschi, Macchie, biotipi – ove non è possibile autorizzare alcuna estrazione di materiale, anche se nell’ambito dei primi adempimenti del P.u.t.t.. risalenti al 2003, la stessa veniva sottratta agli A.T.D., tanto che ne scaturiva la determina n. 276/05 (autorizzazione paesaggistica rilasciata al ricorrente), in quanto la macchia mediterranea veniva rilevata solo all’esterno dall’area interessata al progetto di ampliamento.

Tuttavia nella Relazione Generale ai primi adempimenti del P.u.t.t. del 2003. la esatta classificazione delle aree veniva demandata a futuri piani di secondo livello, per cui esattamente il Tribunale ha rilevato che, l’autorizzazione paesaggistica n. 276/05 risulta fondata su un errato presupposto, smentito dal successivi atti, assunti dal Comune di Statte, che rivengono non da un inaspettato mutamento dello stato dei luoghi, rispetto a quanto verificatosi nel 2003, ma, più semplicemente, da una analisi più puntuale dello stesso, preannunciata nei primi adempimenti del prefitto P.u.t.t..

Il dato rilevante, al fine del decidere, correttamente localizzato dal Tribunale, consiste nel fatto che l’area in cui insiste la cava è sottoposta a vincolo; che in essa è vietata qualunque attività estrattiva; che nessuna rilevanza può essere attribuita alla determina regionale n. 115/07, in quanto l’ente territoriale (Comune di Statte), uniformandosi alla programmazione del P.u.t.t., con l’adozione dei piani di secondo livello, ha fatto rientrare l’area in questione tra quelle che trovano diretta tutela legale nel D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, lett. g).

11 giudice del merito, pertanto, a giusta ragione, ritiene che ad oggi l’esercizio della cava determina la violazione della predetta disposizione normativa e che sussiste il fumus della fattispecie illecita contestata, compresa la violazione in materia edilizia, per l’assenza di un atto autorizzatorio, nonchè la ravvisabilità del periculum in mora, atteso che la restituzione del bene all’avente diritto implicherebbe il prosieguo della attività illecita, con protrazione delle conseguenze della stessa.

In dipendenza di quanto osservato anche le ulteriori ragioni, esplicitate con la memoria aggiunta, a sostegno dei motivi di ricorso, si rivelano infondate, in quanto non inficiano la correttezza del discorso giustificante il mantenimento della misura cautelare sviluppato nella impugnata ordinanza.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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