Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-05-2011) 09-06-2011, n. 23243 Reati fallimentari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.G. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza 20.4.10 della Corte di appello di Catania con la quale, in parziale riforma di quella in data 14.5.03 del locale tribunale, previa concessione di attenuanti generiche prevalenti, gli è stata ridotta la pena ad anni due di reclusione per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in qualità di amministratore di fatto della s.r.l. "A & N Sicilia", dichiarata fallita in data 28.8.98. Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per avere i giudici affermato la responsabilità del L., a fronte dell’assoluzione dell’amministratore di diritto avvenuta in primo grado, sul presupposto dell’esistenza della sottoscrizione del medesimo in numerosi negozi giuridici stipulati dalla fallita, senza però considerare la mancanza di elementi tali da ricondurre il prevenuto all’esercizio di operazioni finanziarie o bancarie, di intestazione o sottoscrizione di titoli, ovvero ad attribuzioni di qualsivoglia tipo in ordine al settore contabile della società, per cui non potevano considerarsi operazioni di carattere altamente significativo, per dedurne l’esistenza di una gestione totalizzante, alcuni singoli negozi giuridici – peraltro effettuati sempre in forza di apposita procura speciale – non annoverabili come tali nella complessiva gestione dell’azienda così come qualificata ai sensi del disposto di cui all’art. 2639 c.c..

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per avere il giudizio di responsabilità del ricorrente trovato fondamento sulla scorta di atti inutilizzabili, quali le dichiarazioni rese in sede fallimentare dall’amministratore unico della società fallita, M.T., al curatore che le aveva poi trasfuse nella sua relazione ex art. 33 L. Fall., dichiarazioni che, pur dichiarate inutilizzabili già in primo grado, tuttavia avevano fatto ingresso nel processo quale presupposto per la sentenza di condanna, secondo anche quanto recepito e confermato dalla Corte di appello che – si lamenta con il terzo motivo – si era limitata a ripetere, in maniera sintetica, le argomentazioni del tribunale, senza rispondere ai motivi di gravame incentrati sulle dichiarazioni rese dalla M. al curatore fallimentare;

sull’impossibilità di ritenere il L. amministratore di fatto e sulla assoluta mancanza dell’elemento psicologico del reato, con specifico riferimento alla bancarotta documentale, con violazione quindi del precetto generale di cui all’art. 125 c.p.p..

Con il quarto motivo si deduce infine violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per avere la Corte di merito disatteso, senza alcuna motivazione, la richiesta, specificamente avanzata con i motivi di appello, di concessione della sospensione condizionale della pena ove si fosse accolta la richiesta di concessione delle attenuanti generiche con il criterio della prevalenza.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Ricordato come la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c., postuli l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica, senza tuttavia che sia necessario l’esercizio di "tutti" i poteri propri dell’organo di gestione, richiedendosi l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale, accertamento costituente oggetto di apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità ove sostenuto da motivazione congrua e logica (v. Cass., sez. 5^, 17 ottobre 2005, Carboni; Sez. 5^, 14 aprile 2003, Sidoli), ritiene questa Corte che nella specie la Corte catanese abbia adeguatamente indicato gli elementi in base ai quali attribuire all’odierno ricorrente la qualifica di amministratore di fatto della fallita "A & N Sicilia".

Essi, infatti, sono stati individuati nei numerosi negozi giuridici posti in essere dal L. per conto della società – e non contestati dalla difesa dell’imputato -, indicativi di continuità gestionale la cui significatività è stata sottolineata dalla Corte di appello con particolare riferimento alla apparente cessione, avvenuta circa 30 giorni prima della dichiarazione di fallimento, di un ramo di azienda in favore di una "sedicente società Scorpio s.r.l.", con sede in Catania, operazione non supportata dal idonea documentazione.

Nell’attribuire quindi al L. la qualifica di amministratore di fatto, i giudici di secondo grado non hanno utilizzato le dichiarazioni al riguardo rese dall’amministratore unico della fallita, M.T. – come paventato dalla difesa -, ma hanno indicato gli elementi oggettivi scaturenti dalla documentazione allegata dai creditori alle singole domande di insinuazione al passivo fallimentare, con conseguente infondatezza sia del secondo che del terzo motivo di ricorso, dal momento che i giudici di appello hanno fornito risposta a tutte le doglianze formulate con il relativo atto di gravame, evidenziando, quanto alla bancarotta fraudolenta documentale, il mancato deposito di diverse scritture obbligatorie e/o le infedeli scritturazioni in quelle consegnate, da cui erano assentì contabilizzazioni per l’importo di svariati milioni di lire, sì che non vi era contezza di movimenti di beni e di denaro risultanti far parte del patrimonio societario, per cui – hanno concluso i giudici sul punto – non di mere irregolarità si era trattato quanto di estrema lacunosità delle scritture contabili che aveva reso impossibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari della fallita, con conseguente sufficienza, quanto all’elemento psicologico del reato, del dolo generico.

Anche l’ultimo motivo di ricorso deve ritenersi non fondato, considerato che, se pure i giudici di appello hanno concesso all’imputato le circostanze attenuanti generiche con il criterio della prevalenza, riducendo la pena ad anni due di reclusione, tuttavia deve ritenersi che abbiano implicitamente, quanto legittimamente, respinto la richiesta di sospensione condizionale della stessa dal momento che hanno fatto espresso richiamo alla "gravità delle condotte ascrivibili all’imputato", cioè ai "criteri di cui all’art. 133 c.p. richiamati dall’art. 164 c.p., comma 1 ai fini della presunzione di astensione dell’imputato dalla commissione di ulteriori reati.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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