Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-05-2011) 09-06-2011, n. 23242 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.P. ricorre avverso la sentenza 20.1.10 della Corte di appello di Palermo che ha confermato quella, in data 3.3.08, del locale tribunale con la quale è stato condannato, per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, alla pena di anni quattro di reclusione, oltre le pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile curatela fallimentare Allevamento Valtanaro piccola soc. coop. a r.l., dichiarata fallita con sentenza 24.1.10 del Tribunale di Palermo e di cui il C. era stato amministratore unico dal gennaio del 1998 fino alla dichiarazione di fallimento.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per avere misconosciuto i giudici di merito che amministratore di fatto della fallita dal 1993 fino alla data del fallimento era stato F.L., mentre il C. era solo una mera "testa di legno" la cui responsabilità era stata affermata in totale assenza di prove in ordine all’elemento psicologico del reato, non avendo considerato, a dimostrazione dell’assenza di qualsivoglia intenzione fraudolenta ai danni dei creditori, che l’istanza di fallimento era stata presentata in proprio dal C. e che le passività più consistenti si erano registrate negli anni 1996-97, periodo in cui il ricorrente non rivestiva alcun ruolo nella compagine sociale e relativamente al quale non poteva assumere alcuna responsabilità neanche per il mancato reperimento della documentazione contabile, riferentesi peraltro a soggetto giuridico diverso, essendo la Allevamento Valtanaro Cooperativa stata trasformata in Allevamento Valtanaro Piccola Società Cooperativa a r.l. nel dicembre del 1997. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Il ricorrente reitera infatti in questa sede doglianze che hanno trovato compiuta confutazione da parte dei giudici palermitani i quali, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, hanno dato conto degli elementi di responsabilità emersi nei confronti di C.P. in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale ascrittogli.

Hanno anzitutto evidenziato i giudici di appello come il C. abbia assunto la carica di amministratore della fallita in data 27.1.98, all’atto cioè della trasformazione dell’impresa – avente ad oggetto l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti di salumeria ed altro – da Allevamento Valtanaro coop. a r.l. in Allevamento Valtanaro piccola soc. coop. a r.l. e del trasferimento della sede legale da Cuneo a Palermo, non senza però aver prima proceduto all’acquisto dai fratelli F. delle quote societarie.

Pertanto – hanno sottolineato i giudici del merito – il C., lungi dall’essere una mera "testa di legno", collocato da altri alla carica di a.u. per celare i manovratori occulti, era divenuto proprietario ed amministratore reale della società, essendo risultato che i due fratelli F. non si erano più interessati della stessa una volta cedutala all’acquirente al quale si erano poi rivolti tutti i fornitori rimasti creditori della cooperativa.

Quanto all’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta documentale, hanno rilevato i giudici palermitani come sia rimasto accertato che l’odierno ricorrente avesse depositato solo le scritture contabili della società relative agli anni 1998-99, mentre quelle relative agli esercizi precedenti non erano state prodotte nè rinvenute neanche a seguito delle espletate indagini di p.g. presso la precedente sede legale piemontese ed inoltre, anche con riferimento ai libri e alle scritture contabili depositati, era mancante la documentazione di supporto, quella cioè relativa alle fatture attive e passive e ai partitari, sì che era stato impossibile ricostruire l’attività di gestione condotta negli esercizi immediatamente precedenti il fallimento, anche perchè le annotazioni riportate nella situazione patrimoniale al 31.12.99, depositata dal C. ed allegata all’istanza di fallimento dal medesimo presentata, si era rivelata sostanzialmente inattendibile.

Infatti, i dati riportati non avevano trovato rispondenza negli accertamenti svolti dagli organi fallimentari, tanto che all’atto della redazione dell’inventario presso la sede della società erano stati rinvenuti pochissimi beni, del valore di L. 945.000, mentre la situazione contabile al 31.12.99 riportava l’esistenza di attrezzature per il valore di L. 31.500.000, di veicoli per un valore di dieci milioni di lire e di altri beni per un valore di circa 50 milioni di lire, mai rintracciati e senza che il C. ne avesse giustificato in alcun modo la mancanza, come pure l’omessa esposizione di un credito per L. 75 milioni, vantato nei confronti della soc. "Qualità e Sconto", nonchè dei maggiori debiti contratti e per i quali i creditori avevano poi ottenuto l’insinuazione al passivo.

Del tutto correttamente, pertanto, i giudici territoriali hanno concluso sul punto nel senso che il C. aveva fatto predisporre, per il periodo della sua gestione, un documento di comodo da parte della studio Scalia – consulente contabile della società dopo il trasferimento della sede a Palermo -, non fornendo allo stesso i dati necessari per la corretta e fedele tenuta della contabilità, al fine di occultare la reale situazione debitoria e le distrazioni compiute, tanto che – hanno ad ultimo rimarcato i giudici di appello – si era determinata una vistosissima ed ingiustificata sproporzione tra l’attivo, ammontante a sole L. 945.000, ed il passivo, pari ad oltre L. 4 miliardi.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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